Ecchec………….

Eccheccazzo lo chiamano così perché ha questo intercalare particolare che sputa fuori ogni dieci parole in un linguaggio sconnesso tipico di chi non solo non ha studiato, ma si è sempre rifiutato di imparare qualunque cosa,  il suo vero nome però è Ernesto, “come Che Guevara”  dice lui, confondendolo con un calciatore peruviano del River Plate.

Ernesto è un bruto, un animale privo di lessico e grammatica, e anche di una qualsivoglia forma di educazione, abituato a chiedere le cose direttamente senza troppi giri di parole che sia il pane al fornaio, le sigarette al tabaccaio o un giro di ballo a una damigella seduta al tavolo del Risciò, un locale da puttanieri nei pressi delle terme che frequenta la domenica sera: donne ingresso libero, uomini venti euro con bevuta e tanta robina di seconda e terza mano, si fa per dire, da guardare con bramosia ed invitare in un allacciato ballo del mattone.

Lasciamo perdere lo stile del ballo, a Ernesto della tecnica di base, dei passi e delle figure non gliene frega niente, come non è in grado di distinguere un tango da un valzer, tanto lui balla tutto allo stesso modo, afferrando subito in una stretta letale la malcapitata e spingendo avanti le cosce  “Eccheccazzo, siamo qui per rimediare non per fare mossette da finocchi “ è la sua filosofia piuttosto elementare.

Si presenta in sala agghindato col vestito della domenica, un gessato comprato all’outlet,  grigio con strisce bianche tanto larghe che pare un carcerato, scarpe a punta e camicia aperta sul collo, impomatato e profumato di colonia al pacciuli.

Si piazza su uno sgabellone del bar e ordina subito una sambuca con la mosca.

“Eccheccazzo, non c’è giro stasera mi pare “ vocia al barista che fa cenno di si con la testa, poi si mette a scrutare scientificamente metro per metro la sala in cerca di qualcuna da trascinare in pista col suo fascino da uomo delle caverne “niente fronzoli effeminati di chiacchiere e sguerguenze, eccheccazzo”.

Inquadratane una nel mirino non pone tempo in mezzo e si avvia rapido verso la sventurata,

Ernesto di modi spicci e grevi che quando si avvicinava al tavolo dove sta seduta una femmina per rinvitarla a ballare partiva sempre con un “andiamo !” accompagnato da un movimento della testa, ha avuto nel tempo centinaia di rifiuti e rispostacce fino a  convincersi a cambiare tattica e moderare i toni. Qualcuno con uno sforzo disumano gli ha spiegato un po’ di buone maniere, ora si presenta con un “permette signora” decisamente forzato e molto formale al quale però, se segue un tentennamento della dama, fa seguito un energico “allora, ti decidi o no, eccheccazzo”  che non promette niente di buono.

Qualche coraggiosa o distratta accetta l’invito, diciamo non più del due per cento di quelle a cui chiede, e si incammina verso il supplizio: appena lo sentono stringere e spingere il bacino si rendono conto  di che pasta è fatto “tu vedrai che la sentono la differenza  fra un gne gne gne di ballerino rifinito e uno sodo come me”  si illude lui,  ma ormai l’errore è stato fatto e per buona educazione non si molla il ballerino a metà ballo a meno che questi non allunghi le mani per tastare dove non è consentito.

Con Ernesto ogni tanto accade anche questo obbrobrio e di conseguenza vola qualche sberla di femmine infuriate alle quali Ernesto risponde con aria stupita “eccheccazzo vieni a fare a ballare se non ti garba pomiciare !“ che rappresenta poi la sua regola di vita sociale.

E’ evidente che Ernesto non raccatta molto, non è insomma molto popolare come cavaliere, se la cava un po’ di più con certe tardone allupate che piglierebbero volentieri anche un  maniaco  pur di passare la serata in compagnia e che abbondano al Risciò. Con una di queste, di nome Donata,  si è piano piano instaurato un rapporto fatto di maniere brusche e schiette, strofinamenti nel mezzo della pista e palpate sulle poltroncine fino a amplessi furibondi sui sedili della opel tigra di lui parcheggiata nel piazzale vuoto dell’ipermercato.

Non si può dire sia una coppia anche se a forza di esclusioni e rifiuti delle altre è rimasta praticamente la sola a dargli spago, diciamo che non ha fatto fatica a sbaragliare la concorrenza.

La Donata del resto si accontenta di poco:  dopo una vita burrascosa ed una fama di ragazza poco seria  meritatamente conquistata sul campo, si e ritrovata sola proprio nell’età di mezzo e con un fisico che la tradiva debordando in diversi punti.

Con cellulite, smagliature e dieci chili di troppo distribuiti fra seno e fianchi diventa difficile poter scegliere l’uomo per la serata, anzi diventa difficile che qualcuno ti scelga per la serata, così Ernesto le va di lusso, non è così male come sembra, basta saperlo prendere e sopportare qualche ruvidità, ma, suvvia, non siamo educande !

Perché racconto di lui ? Perché lo conosco da una vita e so che in fondo, ma proprio in fondo, è un brav’uomo, migliore di quanto appare e fa un po’ tenerezza vedere che mette quasi paura agli estranei mentre sotto sotto è un timido. Certe volte ho dovuto scusarmi con gli altri per il suo comportamento greve, altre l’ho difeso dalle malelingue e dagli scherni, un paio di volte l’ho portato via di peso prima che lo menassero.

Insomma io gli sono un pochino amico e lo sopporto, c’è di peggio nella vita, e poi sono convinto che non si può giudicare sempre  dalle apparenze, eccheccazzo !!!!

La posta del cuore: Val di Forfora

Gentile dottor Libanore, fermo posta del cuore del SAMBA

Le scrivo con il cuore in mano perché il mio è un caso disperato.

Mi sono perdutamente innamorata di un mascalzone che ho conosciuto quindici giorni fa al Pigia Pigia, un locale dove non avevo mai messo piede e dove mi ha trascinato quasi a forza la mia amica Priscilla.

Era un bel tipo vestito alla moda, magro e tirato a lucido, e con una parlantina che mi ha fatto subito innamorare. E’ stato molto carino con me, mi ha chiesta per ballare un cha cha cha, e io detto si, ma ho notato che si muoveva poco e si guardava in giro come a cercare qualcuno.

Alla fine del ballo si è allontanato ed è tornato dopo un’oretta e mi ha chiesta per un mambo, ed io ho detto si. E intanto parlava e parlava e mi raccontava di quanto fosse solo e disperato, mi ha chiesto se lo capivo veramente,  ed io ho detto si, anche se proprio tutto tutto non avevo capito.

Poi ci siamo seduti a bere e mi si è avvicinato moltissimo e intanto mi raccontava di tutti i suoi guai, poverino gliene sono successe di tutti i colori, e mi ha messo una mano sulla coscia. Io ho lasciato fare per non avvilirlo più che mai.

Poi siamo andati a ballare un lento e lui mi ha stretto e ha cercato di baciarmi ed io ci sono stata, mi faceva tanta pena. Verso l’una di notte mi ha chiesto se lo accompagnavo  a vedere le stelle e io gli ho detto si, era tanto triste, e intanto parlava e mi palpava da tutte le parti, sembrava un polpo. Siamo stati un pochino in macchina sua e si è fatto consolare per benino poi ha messo in moto e mi ha proposto di bere qualcosa da lui, ed io naturalmente ho detto si, mi sembrava che avesse proprio bisogno di sfogarsi con qualcuno.

Così siamo saliti da lui, ma era strana come casa:  un appartamentaccio tutto pieno di specchi anche al soffitto e di tende nere e rosse, credevo fosse la sede di un milan club, ma poi ha estratto da un armadio un enorme lettone ribaltabile ad acqua  e ho capito che non era un circolo di tifosi, ma oramai era troppo tardi.

Mi ha chiesto se gli davo la prova di amore per ridargli un po’ di fiducia nel mondo e, è ovvio, gli ho detto si, non potevo mica lasciarlo proprio sul più bello.

Dopo un certo tempo e alcune prove di amore ripetute mi ha riaccompagnato un po’ svogliato al Pigia Pigia e sono tornata  a casa con una strana sensazione e tanta compassione per lui.

Questo mascalzone si chiama Nunzio e mi ha dato il numero di telefono di un altro, quando l’ho chiamato domenica pomeriggio per chiedergli come stava mi ha risposto il posto di vedetta della guardia forestale della Val di Forfora ed io sono rimasta veramente male.

Sono stata da cani per tutto il giorno, il sabato dopo sono tornata al Pigia Pigia nella speranza di rivederlo e ricominciare daccapo e invece l‘ho visto che ballava tutto appiccicato con la mia amica Priscilla, che dico ballava, pomiciavano piuttosto.

E’ stato un colpo veramente forte. Non voglio più vedere neanche lei

Cosa devo fare signor Libanore ? Come posso fare per riconquistarlo ?

Aspetto una sua risposta con tanta speranza

Trentenne disperata

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Mia dolce trentenne disperata

La tua lettera mi richiama alla mente tanti bei ricordi del tempo che fu.

Conosco bene le storie come la tua, sapessi quante ne ho fatte fuori di tipe come te quando ero giovane ! Del resto se tu mi vai al Pigia Pigia e ti lasci andare al primo bellimbusto che trovi cosa pretendi poi ?

Ma cosa credi che noi maschietti si vada a ballare per raccontarsi le novelle ?

Ricorda che l’uomo è uomo ed è sempre a caccia di passera facile. Io avevo un pied a terre delle parti dell’ipermercato, quante me ne sono fatte lì. Con le pollastrelle come te andavo  a nozze, una bella sequela di frottole, due moine, ti amo e sarò tuo per sempre, e poi una botta e via. Che bei tempi !

Ma veniamo a noi.

A queste situazioni non si rimedia, la rintronata l’hai presa e te la tieni, la cosa migliore è non  prendersela troppo. Cosa  vuoi che sia. E poi cercati un bravo giovine serio e onesto, lo troverai fra quelli tutti mogi a sedere rimpiattati in qualche angolo del Pigia Pigia, tutti timidoni e desiderosi di coccole, tu vattelo  a prendere e vendicati con lui, fagliene passare di cotte e di crude che tanto i maschi son fatti così, più li tratti male e più si attaccano, e se non altro farai pari col sesso maschile.

In quanto alla tua amica Priscilla ti suggerirei di prendere una chiave, un temperino o un cacciavite e rigarle la fiancata della macchina, io personalmente prediligo il chiodo ritorto e arrugginito.

Lezioni di ballo fai-da-te: Polka

Per far cosa gradita a quelle coppie che non possono uscire la sera per frequentare un corso di ballo a causa di bambini, anziani, difficoltà a relazionarsi con gli altri o lontananza dai centri abitati, ospitiamo con soddisfazione una nuova rubrica: le lezioni di “Ballo semplificato fai-da-te del maestro e architetto Isidoro Polvani, del Foro di Bagno a Ripoli”.

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Buongiorno, sono l’architetto e maestro di ballo Isidoro Polvani ideatore del “Metodo di ballo semplificato fai-da-te del maestro e architetto Isidoro Polvani, del Foro di Bagno a Ripoli”.

Le nostre lezioni che sono teorico pratiche, nel senso che io ci metto la teoria e voi la pratica, hanno il vantaggio di utilizzare l’ambiente familiare con notevole risparmio di tempo e denaro e senza la seccatura di dover conoscere altre persone, che non si sa mai come sono. Inoltre si possono fare esercizi a qualunque ora del giorno e della notte, vicini permettendo, e dare una ritoccatina di classe all’arredamento di casa.

E’ necessario solo un minimo di organizzazione degli spazi ed un riproduttore di musica per i pezzi giusti per quello che si sta imparando, per esempio se si sta ballando il valzer è bene non far suonare un tango e viceversa.

Innanzitutto, mie deliziose padrone di casa, procuratevi un appartamento di almeno ottanta metri quadri arredato con gusto e semplicità, meglio se è in centro e con una bella vista sul fiume, pur non essendo questo dettaglio obbligatorio.

Se disponete di una bel salotto spazioso siamo a cavallo, altrimenti andrà bene pure un tinello o due stanze comunicanti con un arco o una porta abbastanza larga da consentire il passaggio in coppia, sono sconsigliabili camere, cucine  e cucinotti, vietati gli angoli cottura, i ripostigli e sopratutto le mansarde, per via della testa.

Poi dovrete occuparvi dell’arredamento, che sarebbe bene fosse sempre in sintonia con l’architettura dell’edificio, e munito di ruote o, in subordine, di feltrini in modo da poter spostare i mobili al centro del locale individuato per l’esercitazione per poi riposizionare negli angoli giusti: dovrete infatti creare un percorso possibilmente rettangolare o ovoidale largo almeno un metro e mezzo e lungo dai dieci passi in su, tutto quel che viene in più è grasso che cola.

Poi togliete di mezzo soprammobili, abatjour, serviti di porcellana o di peltro e cornicette argentate, che ammasserete da qualche parte ed eliminate tovaglie pendenti a terra e tappeti che potrebbero intralciare il cammino, infine togliete le pantofole, sostituitele con un paio di scarpette da ballo e raccomandate l’anima a Dio di non farvi del male

Adesso siete pronti per iniziare

Inizieremo prima di tutto dalla polka, un semplice e tranquillo ballo da fare con rilassatezza nel vostro salotto dopo una giornata di duro lavoro.

In attesa di diventare dei provetti ballerini si può iniziare  a ballare la polka con una sequenza semplice in quattro movimenti: passo – chiusura – passo – saltello, dove per chiusura si intende quella dei piedi, per passo un semplice avanzamento a tempo e per saltello un sollevamento ritmico del ginocchio della gamba che non ha eseguito l’ultimo passo, quindi alternativamente destra e sinistra.

Facile, basta prendere il ritmo giusto, e uno, e due, e tre, e quattro, ma donne, fate bene attenzione a non piazzare la ginocchiata del saltello nei coglioni dell’uomo, cosa molto probabile. Se sentite un croc e vedete il vostro compagno disperatamente piegato in due e senza respiro, smettete di ballare e tornate subito all’acquaio a rigovernare facendo finta di nulla.

Con questa sequenza di passi si va avanti qualche mese perché  è vero che è facile  tuttavia mantenere il ritmo e il garbo senza incocciare i menischi e con un minimo di fluidità richiede tempo e applicazione, specialmente se il vostro partner non ne vuol sapere di ballare con voi a causa delle ginocchiate rimediate.

Quando avrete preso ben benino la dimestichezza necessaria con le assicelle ed i cerchietti potremo passar all’alfabeto vero e proprio come usava una volta in prima elementare, perché voi siete a livello di prima elementare è ovvio, ed attaccare con il giro a destra, detto anche giro naturale.

Aggiungere il giro se avrete confidenza con la base non sarà difficile, basterà coordinare lo spostamento del corpo della donna che dovrà essere accompagnata con delicatezza e decisione sulla destra dell‘uomo, passandole davanti e poi facilitando a lei il passaggio, tutto questo a una discreta velocità  e possibilmente a tempo e non dimenticando  il saltello.

Per questo passo occorre essere precisi e non ondeggiare troppo per non finire addosso al comò, che dovrà essere di noce chiaro finemente intarsiato,  e ribaltare tutti gli oggetti sopra di esso riposti, tipo candelieri, elefantini di vetro, gondoline di Venezia ed altri souvenir che vi consiglio di disporre a ventaglio sul lato sinistro del mobile. Oltretutto l’impatto col comò, che può essere liberamente sostituito da un impatto con madie settecentesche, scrittoi liberty, ribaltine in ebano e tavoli pranzo di cristallo, è piuttosto duro da assorbire per gomiti e ginocchi e potreste dover ricorrere alla cure di un paramedico, è peraltro sempre auspicabile averne uno tra i condomini.

L’esecuzione del giro naturale potrà essere inserita ogni tanto nella sequenza di passi normali, diciamo tutte le volte che vi pare, senza regole, sennò che divertimento è.

L’importante è che eseguiate bene il cambio di posto e scorriate in avanti anziché girare e rigirare su voi stessi stando fermi nell’angolo tra il cassettone rococò e una poltrona a fiori color cremisi con alta spalliera e pouf abbinato, creando uno sbattimento senza  via di uscita che dopo venti o trenta minuti potrebbe annoiarvi.

Se riuscirete a scorrere lungo la vostra stanza, che è anche la vostra linea obbligata di ballo, anche a costo di qualche danno collaterale, potremo andare avanti col programma  e passare all’apprendimento del giro a sinistra o giro rovescio che vi proietterà dritti al livello delle scuole superiori del nostro ballo fai-da-te.

Il giro a sinistra è notoriamente più difficile di quello a destra, anche per i mancini: anche questo va inteso non come un giro, ma come un cambio di posto: l’uomo prima sposta la dama sulla sua sinistra e poi apre il passo in diagonale, col secondo passo le si posiziona di fronte quindi la lascia avanzare e poi si in incrocia un pochetto, poi lei ripassa a sinistra e lui la scansa e quindi ripassa lei, …… insomma un gran casino.

Tutto questo diverse volte finché si riesce a tenere il conto, comunque non andrei oltre la ventina di giri di seguito per non rischiare malori o scrostare l’intonaco dalle pareti.

Vi consiglio di fermarvi sulla pratica dei giri per un bel po‘, diciamo sette, otto mesi di esercizio perché sono la base di una buon programma di ballo. Quando avrete consumato le scarpe e non possederete più nemmeno un soprammobile integro sarà il momento di passare all’università del ballo: la figura chiamata apertura in promenade.

Dopo una serie di giri a destra i ballerini si aprono entrambi e ballano fronte linea di ballo disposti ad angolo ottuso con i lati dell’angolo che si possono aprire e chiudere, mentre la mano sinistra del cavaliere afferra la mano destra della dama per respingerla e recuperarla in coincidenza con i corpi che si avvicinano e si allontanano. E’ un movimento molto grazioso che porta con sé la certezza di rompere qualcosa di affettivo presente nella sala, chessò una piantana, un vaso cinese,  un portaombrelli, a proposito che ci fa un portaombrelli in salotto ?, però ne vale la pena perché siamo in fondo al nostro corso fai-da-te, infatti  l’ultima figura che mi spingo ad insegnarvi sono i

giri simultanei in promenade, e qui siamo al top.

Mentre state seguendo la promenade prima spiegata, potete accrescerne la complessità ed il pericolo girando verso l’esterno contemporaneamente: il giro della dama inizia col piede sinistro; il giro del cavaliere inizia col piede destro. Un giro completo viene effettuato con tre passetti, ed i giri possono essere anche consecutivi e senza limiti di velocità,  e in bocca al lupo.

Benissimo, ora che sapete ballare decentemente la polka  potrete finalmente divertirvi a ballarla in pubblico. Dove ?

Da nessuna parte perché la polka è bandita da dancing, discoteche e night,  e nelle balere e nelle sagre paesane la si esegue al massimo due volte per serata. Tuttavia avrete le carte in regola per imbucarvi in qualche manifestazione etnica di danze popolari occitane, austroungariche o moldave e mischiarvi assieme ai gruppi folcloristici senza che la cosa disturbi, a parte il costume variopinto che gli altri danzatori avranno e voi no.

In più a fine spettacolo potrete aggregarvi al rinfresco offerto ai ballerini dalla pro loco, mangiare a quattro palmenti e inciuccarvi in allegra compagnia, dimenticandovi per una sera delle brutture del mondo.

E ora, buon divertimento dal sempre vostro

Arch. Maestro Isidoro Polvani

Io e Caterina

Ho conosciuto Caterina quando aveva cinquantadue anni ed era separata da cinque. Aveva un figlio che viveva all’estero, lavorava come ragioniera  all’ufficio delle imposte ed aveva una autonomia economica che le consentiva una vita agiata.

Era stata una bella ragazza in gioventù e di quella bellezza graziosa se ne trovavano le tracce in una maturità distinta e un po’ sofisticata. Minuta ed elegante, non faceva colpo al primo impatto, ma attirava per la gentilezza. Sembrava molto fragile.

Era affettivamente sola da cinque anni, ma anche prima del divorzio non è che fosse meno sola, conseguenza di una storia amorosa decisamente sbagliata, libera quindi e con un poco di nostalgia delle forti emozioni che portano con sé corteggiamento e innamoramento. Ma non era per quello che veniva in pista, piuttosto per confondersi nella folla, guardare  con un po’ di invidia e di nostalgia le coppie, cercare nei loro comportamenti e nei loro gesti i ricordi sfuggiti.

Io frequentavo l’Orchidea Blu ogni venerdì sera da molto tempo, era la sera del liscio, al sabato facevano discoteca e domenica era aperto solo il ristorante al primo piano.

Conoscevo  tutti gli avventori abituali, le coppie e i singoli, conoscevo i camerieri e le orchestre che passavano con regolarità, conoscevo il battito del cuore segreto del locale, i ritmi nascosti della cucina che a mezzanotte sfornava la pizza per gli avventori, il bar ed i piccoli vizi dei suoi clienti, i problemi di scarico del bagno degli uomini e la ferocia dell’impianto di riscaldamento.

Avevo inquadrato Caterina già la prima volta che era venuta, un venerdì sera di maggio a stagione di ballo quasi finita, con il caldo che si faceva sentire e muoversi in pista voleva dire sudare in abbondanza.

Era in compagnia di altre coppie i cui uomini la facevano ballare di tanto in tanto a turno, questo gesto di cortesia faceva notare ancora di più il suo stato di solitudine sentimentale.

Si disimpegnava con garbo regalando un poco di grazia ai movimenti randellati dei suoi occasionali ballerini che sbattevano qua e la ridendo e sbracciando, chi sguaiato come a rimestare polenta chi rigido come un quarto di bue appeso al gancio, sembravano capitati lì per caso.

Io feci la mia solita serata di balletti saltuari e distaccati guardandola spesso, lei credo che non mi notasse, ed era la situazione normale per me.

Tornò una volta a settembre alla ripresa della stagione invernale, abbronzata e con la stessa compagnia di ballerini disastrati: stavolta mi feci coraggio e la invitai a ballare con la consapevolezza del rifiuto.

Con mio stupore, dopo un’occhiata di intesa con gli amici, acconsentì e mi seguì in pista, l’orchestra attaccava uno slow fox che avevo ballato molte altre volte.

Lo Slow Fox ha un ritmo che deve essere sentito fino in fondo e vissuto con grande ispirazione, è un ballo molto delicato e impegnativo, basato sul perfetto equilibrio fra le pause dei lenti ed i passaggi leggeri dei doppi veloci, nelle sale da ballo viene ballato  più semplicemente come fox lento.

Con una certa timidezza, come a timore di sciuparla, era molto più bassa e più esile di me, la presi in posizione ed avviai una serie di prudenti passi, greche semplici e piccoli pivot, lei si mantenne rigida per i primi passi, stando discosta e quasi distratta senza guardarmi, come a capire che tipo di ballerino e uomo fossi, se c’era da fidarsi o meno dell’uno e dell’altro aspetto.

Ero partito con molta cautela scusandomi se non fossi stato all’altezza, falsa modestia perché avevo visto come ballavano i suoi amici e sapevo che non avrei fatto brutta figura. Lei sorrise dicendomi che non importava il come, bastava ballare, poi mano a mano che la melodia procedeva, senza parlare, presi ad accentuare la pressione sulla sua scapola sinistra facendole sentire la guida, iniziai ad allungare un poco i passi e a dare più ritmo, lei sembrava apprezzare e soprattutto, seguiva senza esitazione, a metà della canzone mi guardò stupita e mi disse sorpresa “Oddio! Finalmente si balla !”, rimasi impassibile e spinsi ancora un poco di più.

Seguirono in quel primo interminabile slow tutti i movimenti ed di trucchi che conoscevo, quando la invitai in un difficile passaggio che Caterina seguì istintivamente senza neppure sapere di cosa si trattasse capii che non l’avrei più mollata.,

Al termine del nostro primo ballo lei ansimava un poco per lo sforzo, ma era raggiante. Ballammo ancora quella sera, e poi ancora molte altre volte.

Così abbiamo imparato a conoscerci, sulla pista nelle volute e nelle rapide discese dei fox e dei valzer che prediligeva fra tutti gli altri balli e che io assecondavo con piacere. Non so in quale modo, ma riuscì a convincere gli amici a venire all’Orchidea per molti venerdì prima che si stancassero, poi da sola, finalmente, senza legami di orari e convenevoli.

Erano le nostre serate fatte di passi doppi, agili scivolate e giri,   eravamo perfetti, una coppia nelle due ore della sala, sconosciuti  nel resto della settimana, mai un appuntamento, mai una cena o qualcosa di più, con naturalezza il nostro affiatamento aveva dei ristrettissimi limiti di tempo e di luogo, e funzionava.

A fine serata bastava che uno dei due dicesse “ci vediamo venerdì ?” per aver combinato un appuntamento.

Così per una intera stagione ci ritrovammo nello stesso locale alla stessa ora a fare gli stessi gesti, non c’era bisogno di approfondire niente, ci trovavamo e basta. Si era creata una strana complicità fatta di fiducia al centro delle sala e indifferenza per il resto della quotidianità: era paradossale che riconoscessimo immediatamente i movimenti ed i sussulti dei nostri corpi e volutamente non sapessimo niente l’uno dell’altra, una solida amicizia tra quelle mura tra due estranei che davano un significato alla settimana, senza pretendere niente di più, senza nemmeno conoscere indirizzo o telefono l‘uno dell‘altra.

Poi venne l’estate e non facemmo niente per affrontarla: l’Orchidea Blu chiuse per le ferie, ci ritrovammo presi ognuno per conto proprio da altri eventi, il caldo, un po’ di problemi di salute, il mare. Saltarono i primi  venerdì di giugno, davamo per scontato che la musica avrebbe modellato il nostro destino per noi.

Così, tra vacanze e lavoro, passarono anche luglio ed agosto. A settembre dovetti assentarmi dalla città per affari alcune settimane ed arrivò di nuovo ottobre senza che ci fossimo più sentiti.

Era per me naturale tornare all’Orchidea Blu il venerdì sera e ritrovarla al solito tavolo, era un impegno al quale avevo pensato spesso durante quei lunghi mesi di lontananza da lei e dal ballo, ma non accadde né quella volta né mai più.

Non so che fine abbia fatto Caterina nella grande città e non ho fatto niente per ritrovarla se non continuare ogni venerdì ad entrare all’Orchidea Blu con la speranza di vederla. E’ andata così che ci siamo perduti.

Ma tante notti prima di dormire penso a Caterina, la immagino mentre balla arrendevole seguendomi senza esitazione nei giri repentini del valzer, nei passi incrociati e rapidi del cha cha cha, nelle ampie volute della rumba o, come la prima volta, in un morbido slow fox: è la mia compagna segreta.

E’ vestita da sera, abito lungo rosa, certe volte fucsia, altre arancio, scarpe da ballo dorate, capelli raccolti sulla nuca, trucco profondo, adagiata sul mio avambraccio destro, il capo reclinato, sorride ad occhi socchiusi, forse sogna.

E’ più giovane e bella, forse nemmeno è lei o forse è la sua idealizzazione.

E’ un buon pensiero che mi conforta e mi fa addormentare tranquillo senza pensare agli anni che passano e ai dolori della schiena che rendono sempre più faticosi i risvegli: quelle notti non ho i pensieri cupi del buio, immagino come avrebbe potuto essere diversa la mia vita. E’ una malinconia dolce che a volte mi commuove, vita un po’ sprecata ed un po’ vuota, una possibilità di amore profondo mai compiuta, un salto mai fatto.

Il fatto che lei esista tuttavia mi rincuora, due percorsi diversi e lontani che un giorno si sono sfiorati e, almeno per quelle sere, almeno per il ballo si sono uniti in una armonia provvisoria e solida, legata solo a quei luoghi a quelle musiche e che tuttavia  mi fanno sentire meno solo..

Il sonno sopravviene leggero a ritmo di valzer lento, uno due tre, uno due tre, uno due tre, forse nonostante tutto raggiungere la serenità è possibile, grazie Caterina.

Val di Forfora

Vi voglio raccontare la storia di  Nunzio Rapolano, noto trombino della Val di Forfora emigrato in città a seguito della rilocalizzazione della cartiera per la quale fa il rappresentante con un certo successo grazie alla sua disinvoltura.

Nunzio, tassativamente scapolo per scelta di vita, è un uomo di quarant’anni o giù di lì col cervello di un diciottenne in crisi ormonale. Non  molto alto e tirato a lucido, ben vestito e dalla parlantina sciolta, giusta per vendere carta da pacchi o raccattare femmine, possibilmente in calore.

Ha un sesto senso per le donne pronte a darsi da fare, Nunzio, le individua tra cento altre e difficilmente sbaglia un colpo, è un mago per tutti i maschi della Val di Forfora.

In città e meno noto, ma in certi locali  come il Pigia Pigia o il Babaluba si è già fatto una nomea di galletto che lo precede e, incredibile ma vero, ne facilità l’azione anziché danneggiarlo. Certe donne se le cercano proprio le rintronate dei bellimbusti !

Le sue regole di vita sono note tra i maschietti aspiranti trombini della Val di Forfora che se le citano volentieri l’uno con l’altro, davanti ad un bicchiere ai tavoli dei bar degli sfigati:

“Le donne bisogna sbrancarle per acchiapparle una a una”  che significa che una donna sola è più malleabile di quelle che fanno gruppo, dove c’è sempre di mezzo la saggia che rovina la festa, generalmente la più racchia piena di consigli giudiziosi e prudenti.

Oppure l’universalmente noto “Ogni lasciata  è persa” che significa ovviamente che non bisogna rinunciare mai, o anche la meno nota “Ogni uomo ha una donna dentro, in genere è una lesbica” .

Oppure la volgarissima massima che può essere utilizzata pure come battuta, da usare però con moooolta cautela: “Per natura, la donna ideale deve soddisfare due sole regole: dartela e non rompere i coglioni” .

Beh, le regole lui le sa a memoria anzi c’ha l’imprinting nel dna e certi atteggiamenti conseguenti gli vengono naturali, senza sforzo né vergogna.

Un tipo pericoloso per le donnine avvedute, capace di stravolgere la vita delle ingenue credulone con promesse di fidanzamenti che mai si realizzeranno e prove d’amore richieste dopo tre balli.

Perciò donne, attente al Nunzio sempre affamato di topa, specie nella città dove vive  e nei locali che bazzica, io ve li ho segnalati per avvertirvi.

Anzi, vi dirò di più: come fare per riconoscerlo.

Vestito elegante quando va in sala, sempre in nero, pantalone, camicia e scarpe, e anche mutande e calzini per chi avrà la cattiva sorte di vederli, senza canotta della salute e solo con un pendaglino al collo a forma di cuore infranto.

Odore di  colonia muschiosa da vero maschio che non deve chiedere mai e che invece chiede di continuo, capello brizzolato e riccioluto, baffettini sottili e denti bianchi, un vero fighetto. Gli darei di quei ceffoni !!!

Nunzio balla, ma non si sforza troppo, per non sudare ed affaticare i lombi che servono  a ben altro, perciò lo troverete a fare passettini di salsa o di mambo senza scomporsi, non lo vedrete certo impegnato in veloci cha cha o scatenate merengue, piuttosto il suo momento clou è quando l’orchestra attacca i lenti da struscio, allora lui si accamperà nel mezzo alla pista con la vittima sacrificale di turno.

Nunzio difficilmente si sbaglia: quando balla con una donna è dopo una selezione di sguardi e soppesamenti caratteriali, analisi del sangue e introspezioni psichiche che il suo cervello latino e maschilista  elabora alla velocità di mille gigabyte al secondo e restituisce con un sorriso ammiccante e una regola inderogabile: attaccare solo con quella che ci sta.

Nove volte su dieci si sa come andrà a finire: la povera pecorella finirà nella tana del lupo, nella fattispecie il suo scannatoio arredato in stile sadomaso.

Una notte di passione con mille promesse e all’indomani arrivederci e grazie.

Senza scampo e senza futuro, e poi sarà pianto e stridor di denti.

Signore e signorine io vi ho avvisato, non ce l’ho particolarmente con Nunzio, del resto siamo compaesani, anche io sono della Val di Forfora, solo che mi spiace vedere tanto spreco di passione e sentimento con un mascalzone quando ci sono in sala dei bravi ragazzi come il sottoscritto!

La posta del cuore: bassina piacente

Gentile dottor Libanore, fermo posta del cuore del SAMBA

Sono una ragazza non più di primo pelo, piacente ma bassina. Dalle ultime misurazioni in farmacia misuro infatti neanche un metro e quaranta, anche quando metto i tacchi alti non arrivo a superare il metro e cinquanta e oltretutto rischio sempre di cadere perché ho i piedini del trentatre.

Sono una grande appassionata di ballo liscio ma riesco difficilmente a combinare qualcosa di costruttivo con i rari maschi che mi invitano,  si devono sempre incurvare su loro stessi e non abbiamo un gran bel portamento. Anche tenere il passo viene difficoltoso perché i miei sono passettini e quelli loro sono passi normali.

Insomma trascorro la maggior parte del tempo a fare tappezzeria e guardare gli altri divertirsi.

A me dispiace tanto perché i maschi ignoranti mi dicono “tu saresti anche bellina, peccato che tu sia così piccina“ che non è un gran complimento, e poi non mi fanno ballare perché dicono che fanno troppa fatica e gli viene il mal di schiena.

La prego dottore mi dica se posso fare qualcosa per tirarmi su, se non altro di morale

Sua bassina piacente

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Mia cara bassina piacente

Sapessi che nostalgia mi ha assalito leggendo la tua lettera !

Mi sono tornati alla mente quei tre mesi che molti e moti anni addietro  trascorsi con le gemelle Bolini del circo nazionale del Dniepr: erano due acrobate mignon, diciamo pure due nane energiche e brillanti, che mi hanno regalato una esperienza felice e spensierata. Inutile dire che erano di una agilità straordinaria ed una fantasia sfrenata. Fu un’esperienza tonica e irripetibile, ne combinammo di cotte e di crude.

Purtroppo dovetti staccarmi da loro quando l’amministratore del circo, un colonnello dell’armata rossa in pensione, si accorse che il loro rendimento in pista stava vistosamente calando e mi buttò fuori a calci dalla carovana, del resto non ero di alcuna utilità per il circo.

Non disperare, l’importante per la femmina è essere piacente, poi bassina o altina, grassa o magra, storta o dritta va sempre bene, l‘uomo ricerca l‘originalità.

Piuttosto il problema del ballo non è da sottovalutare: con le gemelle Bolini non ebbi da affrontare questo enigma perché loro ballavano sul trapezio o sul lettone e basta, ma mi rendo conto che un tango o un valzer inglese si adattino male ad un dislivello di altezza consistente. Pertanto vedo due sole possibilità: o ti trovi un nanerottolo della tua stazza che sappia ballare decentemente ed insieme affronterete le piste da ballo sovraffollate consapevoli di rimediare parecchie gomitate sulla testa, o, all’opposto, ti trovi uno spilungone ben messo che ti prenda in collo e ti faccia roteare avvinghiata con  le gambine  al suo busto.

Di questi tipi da cavalcare ne potrai trovare negli interstizi delle sale da ballo, occultati da tendaggi e paraventi, mentre spiano affranti dalla malinconia gli altri che si divertono. Ce ne sono sempre nelle sale, sono un po’ nascosti come gli acari, basta saperli cercare. Vedrai come saranno contenti quando una tipettina piacente come te si presenterà davanti e gli intimerà di farla ballare, gli sembrerà di giocare con una bambola. Del resto sono bravi ragazzi,  hanno solo bisogno di qualcuna che prenda l’iniziativa e li comandi  a bacchetta.

Pertanto su, datti da fare e non ti compiangere, ricordati sempre che donna nana, eccetera eccetera, come si suol dire.

S.A.M.B.A.

L’Associazione di Mutuo Soccorso Ballo Amico in acronimo A.M.S.B.A., meglio conosciuta con il più simpatico e ammiccante S.A.M.B.A., è una associazione di volontariato senza fine di lucro, nata con lo scopo di aiutare il prossimo che si trova in difficoltà esistenziali, proprio come la Croce Rossa, la Misericordia o Amnesty International.

Diciamo subito che opera con un profilo più basso e con finalità molto più semplici: sollevare dalle ambasce i ballerini soli o frustrati da delusioni cocenti, prima che compiano qualche gesto inconsulto e irreparabile, tipo smettere di andare e ballare.

Per questo fra i finanziatori occulti del S.A.M.B.A ci sono anche locali notturni e dancing che, se da un lato generano lo scoramento e le difficoltà de soggetti più deboli  con la dura legge delle balera, dall’altro cercano di porvi rimedio temendo di perdere una buona fetta di mercato, quella degli sfigati.

Tutto è nato un paio di anni or sono nella nostra ridente cittadina, grazie all’incontro occasionale e fortunato tra un’aspirante ballerina con disponibilità economiche e pochi ammiratori ed un vecchio avanzo di balera sul punto di andare in disarmo.

Lei è Petronilla Dehò, della quale parliamo in un’altra storia, lui è Ivano Libanore,  giramondo in pensione con tanto tempo libero, scapolo impenitente e sincero ammiratore di tutto il genere femminile.

L’incontro del tutto fortuito tra i due avvenne nel noto locale Baiadera nella ex zona industriale ora trasformata in area a rivalutazione ambientale, come dire che non c’è nulla.

Petronilla, al termine di una ennesima serata trascorsa in attesa di qualche disperato che la facesse ballare, incrociò lo sguardo compassionevole di Ivano, noto tombeur de bal, cacciatore di balle, che, impietosito, la coinvolse in una serie di ballabili ritmati composta da due fox trot, una viennese e una beguine, una sequenza che avrebbe distrutto qualunque ballerino della domenica, ma che per Ivano era semplice routine.

Lui infatti era nato dall’unione instabile tra una madre entreneuse ed un padre puttaniere ed era stato svezzato in balera, aveva frequentato locali di tutti i generi dall’età di quattro anni e sapeva ballare tutto quanto, ma veramente tutto, anche il rumore del passaggio del treno o il suono delle campane a festa della domenica. Ora aveva sessantacinque anni, una esperienza enorme e poca voglia di mettersi in gioco; vivacchiava navigando tra locali e localini a guardare gli altri, sparare giudizi e votazioni ai ballerini e spargere pillole di saggezza che nessuno stava a d ascoltare.

L’incontro tra i due si trasformò in una piacevole chiacchierata perché erano tipi di ampie vedute e basso profilo, e non viceversa, e parlando del più e parlando del meno Petronilla fece cenno alla sua difficoltà nel reperire materiale umano che la facesse ballare.

Ivano era chiaramente un esperto in materia e, trattandola con  dolcezza come una figlioccia, le spiegò le leggi immutabili della seduzione, che poi  sono quelle applicate inconsapevolmente in balera.

I due si dettero appuntamento alla settimana successiva per un altro giro di balli amichevoli, e così via, mentre nella testolina mora di Petronilla, testolina sveglia allenata a sogni e congetture, si stava affacciando un’idea bislacca: quella di fare incontrare cuori solitari non per far nascere amori, era troppo pudica per pensare a queste cose,  ma semplicemente per fare quattro salti in padella, volevo dire in pista.

Ivano si mostrò interessato assai dell’idea, era un modo per sentirsi ancora impegnato in qualcosa di utile, e fu così che si buttarono entusiasticamente nel progetto.

Così per caso e per amore del prossimo, nacque questa società che Petronilla organizzò subito con poche regole ferree: solo volontariato, niente sesso,  non più di un appuntamento, e, soprattutto, niente furbacchioni.

Per far capire lo spirito che anima l’associazione riporto la locandina  del S.A.M.B.A. come appare sulle pagine del quotidiano locale e sui volantini appesi nei bar e alla stazione dei pullman.

“Hai serate libere ? Sai  mettere insieme quattro passi di mazurca o un semplice giro a destra di valzer ? Sei sufficientemente educato e gentile  da sostenere una conversazione per un paio d’ore con un occasionale compagno di ballo che potrebbe rivelarsi non particolarmente fascinoso ? Vuoi renderti utile al prossimo in modo non convenzionale senza avere a che fare, iddio ce ne scampi,  con poveri, ammalati o, peggio ancora, immigrati non regolarizzati ?

Il S.A.M.B.A. fa per te.

Il nostro motto è  – Buttati subito in pista ! C‘è qualcuno che ti aspetta”

La regola del S.A.M.B.A. è intervenire con soluzioni mirate e immediate caso per caso, senza favorire nascite di relazioni, né sfruttamento di alcun genere.

Una specie di banca del ballo dove al bisogno ci si rivolge per avere dritte su come muoversi, dove andare a cercare compagnia danzante, come risolvere problemini di alitosi o di compresenza con il prossimo.

Ad ogni bisogno una risposta su misura, dice Petronilla, e Ivano, che ne ha viste di cotte di crude, fruga nella memoria e trova una strada per indirizzare il problema verso una soluzione.

Così ha iniziato facendo lo sparring partner per signore non accoppiate che si sentivano non desiderate, proprio come Petronilla. E’ bastato un mese di intense frequentazioni di balere e dancing con Ivano che faceva ballare tutte le donne sole e spiegava le regole del S.A.M.B.A. per far decollare l‘associazione.

Tre o quattro femmine entusiaste si sono subito offerte come volontarie per ricambiare il servizio a maschi solitari e depressi, alcuni dei quali a loro volta hanno aderito e, con coraggio e la scusa del volontariato, hanno ampliato il giro degli assistiti,  così il giro si è allargato a macchia d’olio e a chiazza di leopardo.

Certo all‘inizio ci sono state delle incomprensioni:  una delle volontarie, un vero  cesso,  sfruttava la propria posizione di socia del S.A.M.B.A. per invitare a ballare uomini  tranquillamente seduti al loro posto, che appena squadrata scappavano a gambe levate, questa pubblicità negativa è stata rimediata togliendo la poverina dalla pista e assegnandole mansioni di centralinista.

Un paio di  volontari maschi troppo furbi hanno tentato di agganciare donne sole con promesse di gite premio o impiego part time nel S.A.M.B.A. e sono stati radiati con ignominia.

Si è poi scoperto che un certo Anselmo  spacciandosi per socio S.A.M.B.A. chiedeva cinque euro a polka ad una sciagurata dislessica che nessuno faceva ballare per paura di avere  pestati i piedi.

Ma si sa, sono i prezzi da pagare nelle aziende giovani che devono trovare un assestamento nel mercato.

Oggi il S.A.M.B.A. conta ottantasei iscritti sparsi nelle sale da ballo della provincia e undici volontari, sei donne e cinque uomini, che si prestano a interventi di ogni genere in materia di ballo: dal ripasso delle figure del tango a serate a tema, da animazione di feste in casa, a cure di casi particolari, sempre una sola volta per cliente e sempre sopratutto gratis e col sorriso sulle labbra.

Ivano non fa più molte serate, adesso  fa il maestro di  vita con gli altri volontari maschi e insegna mossette e galanterie da sala. Se ne sta parecchio tempo in ufficio a leggere la posta del cuore dei tanti clienti e ad ideare nuovi metodi di seduzione da applicare ai suoi casi.

Petronilla è la fondatrice, la presidente e l’anima del S.A.M.B.A., non lavora più nell’azienda di water closed del padre, ora  è presa  a tempo pieno dalla sua associazione grazie alla quale si sente realizzata e finalmente dentro al suo mondo.

Adesso non aspetta più che qualcuno le chieda di ballare: il sabato sera si taboga da donna fatale, tutta truccata e agghindata,  e va  nelle sale a reclutare volontari. Del resto il lavoro è lavoro !

Esibizioni

Quando ci si propone al pubblico si esprimono non solo i contenuti della danza che si sta interpretando ma anche tutto il proprio mondo emotivo.

Il rapporto con l’esibizione prevede una maturità psicologica tale da accettare che altri possano assistere alla manifestazione delle tue emozioni più profonde: è una messa a nudo della propria identità. Il rapporto che si crea tra l’interprete e il pubblico è condizionato dall’accettazione del proprio prodotto artistico che inevitabilmente coinvolge la stessa identità dell’interprete. La paura che assale deriva dal timore di una mancata accettazione e si ricollega con le angosce connesse con l’evento della nascita. Quando un interprete propone il suo prodotto artistico corre il rischio di non essere accettato e questo psicologicamente equivale al dubbio amletico “Essere o non Essere”.

La paura della prestazione può derivare da insicurezze tecniche, ed in questo caso solo l’assiduo esercizio e lo studio possono essere di aiuto. E’ tuttavia importante arrivare ad un atteggiamento psicologico che preveda una accettazione del non consenso da parte di chi guarda, rendendosi conto che la non accettazione non significa necessariamente “non esistenza in vita”. Il modo migliore per accettare i propri limiti è riconoscerli e ciò può avvenire soltanto attraverso lo studio, l’autoanalisi e la ricerca di obiettivi consoni alle proprie caratteristiche.

La sicurezza psicologica deriva dalla consapevolezza delle proprie capacità e dall’accettazione di un eventuale mancanza di consenso che, se prevista, non può determinare una paralisi o le crisi di panico tipiche di molti interpreti.

Occorre quindi liberarci dall’identificazione con il proprio ruolo permettendo di fruire delle gioie che l’espressione artistica può dare se vissuta come strumento di conoscenza e comunicazione con gli altri. La tecnica deve essere lo strumento principale che libera la persona dalle ansie da prestazione, garantendo una sicurezza dell’esecuzione ma anche un sano distacco da una eccessiva identificazione della propria identità, può quindi garantire un equilibrio, esaltando il “servizio” di comunicazione al pubblico attraverso l’evento artistico.

Hai voglia che dire, ogni volta che ci espone si rischia del proprio.

Noi facciamo una mezza dozzina di esibizioni a fine corso; è il momento cardine della stagione perché riassume gli sforzi e l’impegno profuso nell’arco di diversi mesi ed è anche la realizzazione del desiderio di mostrare agli altri ciò che si è imparato all’interno di un contesto ufficiale: una sala con presentatori, musica e pubblico.

Un atto di vanità un poco infantile che sta a dire: guardatemi come sono diventato bravo.

Ovvio che non sempre vada tutto liscio, può accadere di tutto durante una esibizione e questa imprevedibilità è allo stesso tempo affascinante e terribile.

  • Mancano cinque minuti all’ingresso in pista e ti scappa forte forte la pipi, c’è tutto il tempo, però la cerniera dei pantaloni si incaglia, tu tiri forte  e si rompe, era un po’ che veniva su male e non l’hai mai cambiata. Ora sono cavoli tuoi: cerca di ballare a gambe strette sennò ti si apre il fischio e si vedranno le mutande rosse a pois bianchi che hai messo per l’occasione come portafortuna.
  • Mancano due minuti al tuo turno e pensi che un caffeino possa darti coraggio, solo che sei già supereccitato e ti sbrodoli la camicia bianca. Non si rimedia, non puoi presentarti a torso nudo, l’unica è spillare la cravatta tutta storta a coprire la macchia, se ci riesci. Il discorso vale anche per succhi di frutta, cocacola  e altre bevande in genere. Ricordarsi di portare sempre qualche spilla da balia in tasca.
  • C’è anche di peggio: arriva la scarica di diarrea emotiva. Se vai in bagno e perdi il turno fai una figura in tono con quello che ti è appena accaduto perché in pochi minuti lo sapranno tutti, se tenti di fare il programma ed andare ad evacuare a esibizione terminata corri il rischio micidiale di fartela addosso appena apri le gambe in un medio cortè, però potrebbe pure andare bene. E’ una delle decisioni più difficili che ti capiterà di prendere in vita tua. Non ci sono consigli.
  • Corollario a quanto esposto sopra: si risolve tutto in una scarica d’aria puzzolente dalle viscere: insomma un peto immane e fetido mentre sei in fila con gli altri pronto ad entrare in pista. Ti conviene buttarla sul ridere, ma sarai marchiato a vita come lo scoreggione del gruppo.
  • Mancano venti secondi all’uscita in pista e dai un’ultima stretta alle scarpe per paura che non calzino abbastanza: tac, si rompe una stringa. Sono cazzi amarissimi. Dovrai ballare con una scarpa ed una ciabatta a rischio fuoriuscita del calcagno nel bel mezzo di un pivot. Stringi i denti, e gli alluci.
  • Sei già sulla pista e stai aspettando l’attacco della musica quando ti sale un bel riflusso gastrico da ernia iatale di origine nervosa. Sopporta ed inghiotti fiele mantenendo un’aria serafica. Una volta partito dovrebbe andare tutto a posto.
  • Non trovi la posizione giusta in sala, ed intanto la musica parte e devi attaccare da un angolo che hai sempre evitato, con tutta una sequenza da improvvisare e far capire alla tua dama in pochi secondi. Difficilmente si rimedierà, avresti dovuto pensarci prima.
  • Non si sa come mai, ma hai sbagliato l’attacco e sei fuori tempo e ti prende un immediato stato depressivo fulminante. E’ un disastro che si mitiga solo con sangue freddo, fortuna e esperienza. La cosa migliore è fermarsi di brutto ammettere l’errore e ripartire, questa volta a tempo.
  • La coppia di cari amici con la quale hai condiviso mesi di lezioni e serate va in confusione un metro davanti a te, ti vengono addosso mentre vorresti fare un giro spin e ti inchiodano all’angolo dal quale non esci che zompando e scavallando senza ritmo. Mantieni la calma anche se vorresti strozzarli tutti e due sul posto.
  • La tua dolce metà decide che è il momento di apportare varianti al programma studiato e provato per un anno e ti inventa un’apertura dove non dovrebbe esserci lasciandoti come un fesso ad annaspare nel tentativo di riagguantarla. Sorridi.
  • La tua dolce dama comincia a  farti notare i piccoli errori che fai e ti innervosisce proprio quando vorresti stare tranquillo, la conseguenza è che i tuoi errori aumentano via via di gravità e lei continua a rimbeccarti. Sorridi digrignando i denti.
  • La tua dolce compagna insiste a sbagliare l’ingresso del giro a sinistra del tango nonostante i miliardi di volte che lo avete provato. Fai finta di niente, se ne accorgeranno in pochi.
  • La tua dolce partner decide che per una occasione così importante è lei che guida e inizia a far resistenza e tirarti dove le pare. Cerca di darle una bastonata metaforica con lo sguardo, devi riprendere il comando ad ogni costo.
  • Arriva un irrefrenabile attacco di tosse canina, devi fare tutto a bocca chiusa a costo di diventare paonazzo e rischiare il soffocamento.
  • Qualcuno del pubblico ti chiama a gran voce o ti fa cenni assurdi e ti distrae col rischio di farti sbarullare la sequenza di figure. E’ l’equivalente del secchio d’acqua gelata tirato addosso ai ciclisti in salita. Tira dritto e smoccola piano.
  • Mentre sei impegnato in una promenade aperta intravedi tra il pubblico la tua amante che ti manda baci tutta estasiata. Te la sei cercata, chi te la fatto fare di accennarle a questa serata ? Non ti resta che sperare in una improvvisa catastrofe naturale che crei il caos assoluto in sala e ti consenta di scappare a gambe levate lasciando moglie e amante a vedersela fra loro.
  • Come sospettavi la pista non è l’ideale: è dura di cemento corrosivo e le scarpe si piantano, devi saltellare anziché scorrere con fluidità oppure è scivolosa e il bufalino delle tue suole e troppo liscio e ti partono piedi e gambe da tutte le parti. Dovevi pensarci prima e verificare la tenuta delle gomme.
  • Sei ormai in stato confusionale ed hai piazzato passi di fox nel valzer o viceversa. Fai finta di niente, se ne accorgerà e te lo farà notare solo qualche merdaiolo di compagno di squadra.
  • Hai fatto male il primo ballo e te ne aspettano altri due da affrontare col morale sotto i tacchi e non ci stai capendo più niente. Coraggio, c’è di peggio nella vita, sorridi e vai avanti.

Ecco, se dio vuole è finita.

Saluta, fai un inchino e torna al tuo posto teso e sorridente come una maschera di cera di Madame Tussaud dal titolo “danseur hésitante”.

E’ stato bello ?

Si, è stato bello.

Post Scriptum

Qualcuno vorrebbe sapere come è andata a noi ?

Tutto bene, ovviamente.

Petronilla cuore di vetro

Nata da famiglia facoltosa, una educazione classica spesa dalle suore crocifissine, magra cinquanta chili ed alta più di uno e settanta, occhialini d’argento e capelli neri raccolti in crocchia, vestiti di classe un po’ fuori moda, scarpe basse e calze spesse, spiritosa e riservata, con pochi amici e molti parenti: Petronilla Dehò della famiglia Dehò,  quella delle tazze di porcellana, intese come tazze del cesso.

Intelligente e istruita, una ragazza di buona famiglia come usava una volta, un ottimo partito col difetto di non essere appariscente e brillante, e, diciamolo, neanche una bellezza !

Così all’età di trentaquattro anni era ancora nubile e illibata, ed un tantino rassegnata.

Di innamoramenti ne aveva vissuti fin troppi, ma tutti introspettivi e ineluttabilmente solitari. Amina, la sua amica prediletta, la chiamava cuore di vetro perche era di una fragilità disarmante e di una trasparenza cristallina, un cuore, secondo lei, destinato a spezzarsi ogni volta che  veniva tirato in ballo, si sentiva quasi di proteggerla per questo.

I suoi slanci amorosi erano fantasticherie della sua fervida testolina mora, Petronilla era inguaribilmente romantica e aspettava un compagno che non aveva volto nè nome, e ancora non era fisicamente delineato nella sua testa, aspettava qualcuno che facesse vibrare quelle corde che sentiva di avere ancora intatte, nuove di pacca. Il resto non sarebbe stato importante.

Una inguaribile ottimista.

Ironia della sorte fu proprio Amina a mettere a dura prova il suo cuore trascinandola in una azzardosa avventura al termine di una giornata di mare settembrino: una serata al Fenicottero Rosa, dancing della riviera  rinomato per essere un ricettacolo di zitelle vogliose, scapoloni di mezza età e mariti in cerca di metter corna alle consorti,

Così per la prima volta mise piede in una sala da ballo e ne rimase segnata per sempre.

Non è che fosse sprovveduta al punto di non sapere come si svolgevano certe  serate, ma trovarsi immersa nella musica ad alto rimbombo di una orchestra di liscio con tanto di doppia cantante scosciata e ad un turbinar di ballerini in pista che roteavano apparentemente felici, la stregò oltre misura:  cosa c’era dietro quel divertirsi un po’ sguaiato ?

Carne viva e sudata,  desiderio, voglia di mettersi in mostra per attrarre in un gioco di seduzione scoperto che fece palpitare forte il suo cuore di vetro, senza che peraltro nemmeno si incrinasse.

Amina le parlava incessantemente dei suoi amori senza speranza, ma lei ascoltava distrattamente, troppo presa dal fascino del circo che si svolgeva sulla pista e dintorni. Guardava ed ascoltava e quell’ambiente a lei lontano le appariva viceversa familiare, come se nella precedente incarnazione il suo spirito avesse alloggiato nel corpo di una ballerina di saloon.

Sentiva le pulsioni che spingevano gli uomini al corteggiamento vistoso delle donne mentre le invitavano a ballare, sussurravano chissà quali frasi imperscrutabili vicino all’orecchio o ammiccavano con gesti ambigui. Sentiva l’attesa delle donne sedute  intente a perlustrare la sala senza farsi accorgere, gli sguardi obliqui che soppesavano gli uomini, tenevano le briglie della fantasia allentate pronte  a ritrarle sdegnose al primo approccio sgradito. Percepiva tutto questo e  si chiedeva dove avesse vissuto per tanti anni per essere sfuggita al quell’intrigante gioco delle parti, a quella recita fascinosa.

Ad un certo momento, inaspettatamente, la pista si spopolò e due candidi e evidentemente celebri  ballerini tutti bardati a festa si lanciarono improvvisamente in un  folle Quick Step per il godimento degli spettatori.

Se fino a quel momento la serata era stata affascinante e prodiga di promesse e emozioni quella esibizione fu la rivelazione. Petronilla seppe con assoluta certezza cosa voleva fare: ballare come loro.

La serata fini quando Amina ricevette la telefonata di uno dei suoi presunti spasimanti, un certo Felice impiegato comunale e rubacuori, ed insistette per andarsene incontro ad un appuntamento a suo dire chiarificatore, Petronilla mica poteva restare lì da sola e dunque se ne andò anche lei.

Ma qualcosa di inimmaginabile era accaduto: una scintilla di desiderio si era accesa e con essa la voglia di misurarsi in quel gioco sconosciuto pur non conoscendone  le sfaccettature e non  intuendone le possibili implicazioni.

Petronilla non aveva ballato che alle feste in casa, quando ancora usavano le feste in casa, e quindi solo con amici di una cerchia ristretta o conoscenti referenziati, non aveva alcuna nozione del ballo, sapeva solo che si creava un contatto fisico con un uomo, tanto vicino che  se ne poteva respirare l’odore e l’umore, se ne poteva guardare il viso nei minimi dettagli senza vergogna e senza scuse, si poteva parlare o stare silenziosi in un reciproco patto di riservatezza e di intimità.

Il pensiero della sala gremita di gente ansiosa di mettersi in mostra e di misurarsi nel gioco della seduzione le ritornò alla mente a sera prima di addormentarsi ed il giorno dopo e ancora per i giorni che vennero, fintanto che, dopo un mese di sensazioni e riflessioni, chiamò Amina e la pregò di accompagnarla di nuovo al Fenicottero Rosa il sabato successivo.

Petronilla trascorse il resto della settimana in una attesa piena di curiosità.

Arrivata al sabato  sera si acconciò con estrema cura come forse aveva fatto solo il giorno del matrimonio della cugina Camilla, quando si era ingenuamente illusa di condividere la felicità di lei, indossò una ampia gonna nera e una candida camicetta sbracciata, scarpine col tacco dodici che ne facevano una stangona, i lunghi capelli neri finalmente sciolti e unghie e labbra tinte di rosso fuoco, una femmina fatale nel giorno della festa.

Amina la passò a prendere e rimase a bocca aperta, non l’aveva mai vista così.

Eccole dunque al Fenicottero, Petronilla fa il suo ingresso in un mondo nuovo e si sente a casa. Eccole sedute al tavolo d’angolo che guardano curiose e ridono, ecco Amina che la prende per mano e la porta in pista a fare un ballo assieme a perfetti sconosciuti, Petronilla capisce al volo come  muoversi, si scioglie, le piace, esce il suo spirito cannibale, ha finalmente trovato la sua dimensione.

Il suo cuore è pronto, lei è pronta, Petronilla nasce una seconda volta  e questa volta e lei che decide come.

Hearth of glass – Cathy and the Swingatonics – Quick Step

Balli di gruppo

Il dancing & terrazza è un vecchio locale che sta lì da cinquant’anni: i nostri padri ci son passati per bere, giocare a carte o a biliardo, le nostre madri almeno una volta ci sono andate a ballare al ritmo di rock o di liscio o a vedere i complessini beat degli anni settanta. Da qualche tempo si è trasformato in locale dedicato prevalentemente alla social dance, volgarmente conosciuta come ballo di gruppo.

La moda del ballo di gruppo nasce da una esigenza reale: la necessità di potersi muovere in pista indipendentemente dall’avere un partner e in un modo libero, senza regole prestabilite. L’unica regola è quella di seguire il ritmo della base musicale lasciandosi andare a personali performances con la massima naturalezza.

Un po’ quello che accade con la discomusic con la differenza che questo è rivolto a tutte le età, anzi, la terza età è privilegiata nella esecuzione trattandosi di un misto di aerobica e ginnastica dolce delle gambe, senza sforzo, né allungo, sono la durata o l’affollamento della sala che fanno faticare

Il rito comincia quando qualcuno dell’orchestra urla nel microfono “….e ora un bel mambettino per cominciare, evvai…..!”

Allora una masnada di aspiranti ballerini si dispone in file disordinate occupando tutta l’area della pista fino alle poltrone emarginando i disperati che volessero affrontare un ballo di coppia tradizionale e che si ritrovano a camminare lungo i bordi della sala tra i tavoli con i gomiti strettissimi fino alla rinuncia definitiva.

Questa sera hanno sbagliato locale.

Non si sa come, ma l’orientamento delle file è sempre disordinato cioè qualcuna è rivolta verso ovest, altre verso la Mecca, altre ancora verso la stella polare, ma tant’è, mica stiamo parlando di una parata militare,  importante  e che almeno all’interno della stessa fila siano tutti rivolti in uno stesso verso altrimenti si creano incrocchi pericolosi per stinchi e menischi.

Certe orchestre manco si prendono la briga di suonare, attaccano sul computerino portatile una base di quelle che si scaricano gratis da internet e che  si sentono ad ogni karaoke, poi ci mettono sopra il rullo della batteria per accentuare il tempo e la voce della cantante, doverosamente una morona grassoccia e discinta oppure una bionda anoressica col vestitino bianco di ordinanza e gli stivali.

I passi sono praticamente i soliti per qualunque ballo, cambia solo l’ampiezza ed il ritmo. Generalmente si ha un primo passo incrociato a sinistra con gambetta destra proiettata in un calcetto stile gemelle kessler, poi lo stesso passo verso destra con conseguente gambetta sinistra e calcetto, poi stessi  passi avanti e poi indietro ed infine cambio di orientamento del corpo di novanta gradi verso destra e si ricomincia; come variante si possono battere le mani ritmicamente.

Gli sguardi sono fissi davanti a sé privi di ogni espressione e di qualunque barlume di intelligenza, la testa in alcuni casi è leggermente reclinata come  a concentrarsi sul ritmo.

E‘ un movimento meccanico: un, due, tre, incrocio, saltino ripetuto all’infinito cambiando solo il fronte che porta alla ripetitività ossessiva del gesto. E‘ l’antitesi del ballo  di coppia, che è fatto di regole  e programmi  contraddistinti e diversificati tra uomo e donna.

Come si può capire io non amo questo genere di balli e, quindi, non amo il Milleluci, ciò nonostante ritengo sia uno dei posti migliori per cuccare, specialmente donne di mezza età, sposate e non.

Intanto mi posso buttare in pista in qualunque posto desideri ovvero posizionandomi come se nulla fosse accanto a qualche bella mora, poi facendo finta di niente posso attaccar discorso disquisendo su passi e ritmi e tentando dialoghi indagatori senza eccedere, e da lì si vedrà.

La prima selezione avviene  al termine della prima serie di  balli quando le donne si riaccomodano perbenino ai loro posti e si capisce se sono accompagnate o no, per questo non conviene  fare un primo approccio deciso, ma solo esplorativo ed amichevole.

Una volta fatta la prima verifica delle accompagnate, che vanno subito scartate come la peste, ci si dedica alle altre: alla ripartenza del ballo ci si riposiziona nelle vicinanze di una o più di queste, il vantaggio infatti è quello di poterne tenere sotto osservazione più di una per volta: quella che sta nella fila davanti a noi, quella che sta nella fila dietro e le due ai lati. La conquista di una buona posizione centrale è quindi strategica perché ci offre quattro alternative possibili, a meno che qualche sfigato di maschio non ci venga accanto, cosa da impedire con ogni mezzo.

Si dà un orecchio alla musica, è necessario purtroppo, e ci si muove in sintonia con gli altri facendo finta che ci piaccia. Dopo un po’ di “macarena” e di  “meneito” e qualche cambio di fronte si tenta una prima avance cominciando da una qualunque delle quattro, tanto si deve provare con tutte: vanno bene risolini, commenti e battiti di mani.

Quelli che fanno i balli di gruppo sono gente di ogni età e capacità motoria, in effetti non è richiesto molto impegno basta seguire il tempo e fare quello che fanno gli altri, la regola è prendere a riferimento un solo ballerino e seguirlo sperando di non toppare.

Dopo un’oretta di questa solfa saremo tutti un po’ cotti e rintronati dalla musica, ma dovremo aver ristretto la cerchia ad un paio di bimbe, si fa per dire, da puntare.

L’approccio comincia in pista ma continua ai tavoli o lungo i bordi della stessa   mentre di tanto in tanto si fa una pausa per riprender fiato, commentando i movimenti del gruppone  ci si asciuga il sudore e si beve attaccati alla bottiglietta della minerale da quarto di litro.

Se non se ne può fare a meno, se lei lo richiede o fa la mossa di andare da sola, è consentito ributtarsi nella mischia per un altro giro di “alli galli (Hully Gully)” o di “moviendo la scalera“,  ma bisogna non esagerare per non omologarsi alla massa proteiforme.

Nei balli di gruppo infatti bisogna distinguersi se si vuole cuccare, infatti il più ambito è colui che guida il gruppo, diciamo il battistrada o il nocchiero, ovvero colui che tenta di non far perdere la bussola alla folla accalcata e minacciosa che si muove in pista. A volte è un brasiliano, vero o finto, meglio se di colore, altre uno pseudo maestro di ballo che mostra fianchi  e sculettamenti esagerati con aria di superiorità, altre ancora, e sono i casi più critici, è un tizio che si improvvisa condottiero senza avere l’esperienza per tenere a freno la folla inferocita e affamata. In questi casi lo sciagurato comincia  a guidare tutto convinto, poi si guarda le spalle e si emoziona e non regge più di un minuto. Coltane la debolezza, viene subito affiancato prima da uno, poi due ed infine da folle di aspiranti colonnelli ansiosi di mettersi in mostra.

E’ infatti nella profonda indole di questo genere di ballerini il bisogno di sentire l’armonia del gruppo ed il bisogno di un leader, qualcuno che guidi tutti gli altri, tuttavia nessuno può pensare di imporre uno standard per molto tempo perché la plebe si stanca velocemente dei capipopolo ed ogni schematizzazione di questo ballo è impossibile.

Per farsi notare dalle nostre bambole non ci si deve mai avventurare verso la prima fila perché rischieremmo di fare un brutta fine, piuttosto bisogna trasmettere una sensazione di sicurezza nelle nostre mossettine, far quasi immaginare alle prescelte che potremmo anche guidare il gruppo ma preferiamo dedicarci unicamente a loro. Questa è la mossa vincente !

Approfittando dell’attacco di “un dos tres maria“ si comincia  a mostrare varianti di passettini laterali o saltelli aggraziati tanto per invogliare le compagne  di ballo che, avendo la possibilità di una miniguida vicina, la preferiranno a quella lontana lassù, in cima alla pista che manco si vede.

Sarà facile a questo punto che ci seguano in tutte le fantastiche e originali trovate che ci verranno in mente tipo un piegamento sulle ginocchia, un braccio su ed uno giù, un saltello e così via, tutto quello che avevamo imparato all‘asilo, insomma.

Se poi affronteremo la “bomba” con tutte le figurazioni regolamentari e codificate avremo conquistato definitivamente la loro fiducia.

A questo punto però dovremo fare l’ultima scelta e puntare decisamente su di una sola femmina accalorata, penso questa moretta ricciolina ad occhio e  croce quarantenne con le calze a rete ed il vestito blu che sembra addomesticata dai passi che facciamo noi.

E’ con lei che affronteremo senza paura “el tipitipitero” a tutta gamba nonostante la fatica e qualche inizio di dolore alle articolazioni.

E’ andata, ci segue ciecamente, l’abbiamo conquistata.

Ma dopo questo salta su l’orchestra con una versione sfrenata del “ballo della casalinga” che la nostra  compagna non vuol perdere. E’ notevole che non abbia perso quasi nessun ballo in tutta la sera ed anche adesso  continua e continua, tra un “mueve la colita“ ed un “tuta tuca”. Deve essere una ex atleta della germania dell’est.

Intanto si sarà fatta l’una del mattino, avremo ballato strascicando i piedi anche l’ultima tarantella e saremo stanchi morti e completamente rincoglioniti con la camicia madida di sudore ed i piedi gonfi in vetta. E’ però finalmente arrivato il momento di raccogliere i frutti di questa immane fatica.

La nostra morettina di stasera sarà pure lei stanca, ci guarderà con occhio di pesce ed un sorrisetto stiracchiato e facendo ciao ciao con la manina  se ne andrà sottobraccio al marito che spunta fuori dal nulla e che ha passato una serata tranquilla nell‘altra sala a giocare al biliardo.

Sei contenta cara che ti ho portato a ballare ?”  fa lui

“Tanto, amore. Pensa ho incontrato un giovanotto gentile che mi ha fatto ballare tutta la sera, alla fine era ridotto uno straccio, poverino.” Risponde lei.