08 – Sexto dia: de Azoja de Baixo a Alcanena

Buongiorno. Sesto giorno, penultimo di cammino,  terca feira (martedì), 29,03 chilometri  in 7 ore e 23 minuti: il giorno più lungo e il più bello del mio cammino. Tanti, tanti chilometri con un passo ottimo di 15’16” al km che significa 4 l’ora di media compresi i rallentamenti e i dubbi avuti. E’ la tappa più lunga del mio viaggio, almeno sulla carta, domani se Dio vorrà sarò a Fatima.

Ho dormito bene, alle 21 ero già a letto. Stamani mi sono svegliato prima delle sette, ho compiuto la mia missione in bagno con mille precauzioni, sempre  troppo poche, e alle sette e mezzo ero in strada bello sveglio. Il problema è che oltre al mezzo digiuno di ieri non ho un cavolo da mangiare e anche poco da bere e non ci sono paesi dove fermarsi per colazione per diversi chilometri, ma la mattina è ancora fresca e le gambe girano che è una meraviglia, strano a dirsi ma la notte in ostello è stata la migliore fin qui.

Cammina e cammina e in attesa di mangiare  succede pure che mi scappa ! Cosi, visto che non ci sono bagni pubblici in zona, anzi in zona non c’è assolutamente niente, devo provvedere “au naturel” per dirla alla francese, o nel “logomano” come direbbe il mio amico Andrea.

Caso vuole che nel piattume circostante senza alberi né cespugli mi imbatta in  un pittoresco baracchino di ex voto, una specie di memoriale di devozione molto rustico arrangiato alla bell’e meglio con ricordi di pellegrini e viandanti. Chi passa da lì per recarsi a Fatima o tornare da Fatima, lascia un ricordo di se. Come si nota sul retro di detto baracchino sussiste pure un piccolo boschetto di olivelle, è lì che anche io nel mio piccolo ho lasciato un ricordo di me.

la baracca degli ex voto

E’ stato un pochino dissacrante lo ammetto, ma il bisogno era tanto e defecare in codesto boschetto è stato necessario e ineludibile visti gli strizzoni di corpo.

E andiamo avanti !

il primo posto dove fermarmi a fare colazione è stato dopo 10 chilometri, nel villaggio di Santos in un barettino che si chiama  “Nossa Lojinha” con annesso mini alimentari piccolo e malmesso ma con signora gentilissima, tradotto in italiano sarebbe “Il nostro piccolo negozio” e mai nome fu più appropriato. Colazione abbondante, preso pane formaggio e biscotti per pranzo e molta acqua, sto cercando di bere molto anche perché non vorrei mi venisse male ai reni, non che ne abbia sintomi, ma col caldo e la disidratazione tutto può accadere e non voglio rovinare tutto proprio adesso. Dimenticavo una cosa importante (?!), effettuata pure una ulteriore defecazione al “Nossa”, del resto pare che il problemino del giorno sia questa incontinenza ingiustificata visto il semi digiuno di ieri. Il locale merita una foto a imperitura riconoscenza.


Nossa Lojinha

Sto viaggiando con un bel carico perché  ho acqua in abbondanza e il pranzo di oggi, ma  alle 11,43 mi sono già fatto 14 km e 7 e cammino in posti molto belli, saliscendi, paesini tranquilli semideserti, saranno tutti a lavorare nei campi, bel panorama, sole assordante, stanchezza incipiente. Sono così preciso perché consulto spessissimo il mio orologio Garmin, è una sicurezza per me.

Verso le 13, in vetta a una delle  colline che sto attraversando su e giù  intravedo in lontananza un campanile che potrebbe essere quello del Santuario di Fatima,  in verità potrebbe essere anche una ciminiera, ma fa niente, mancano meno di quaranta chilometri e la meta si avvicina. Sono così euforico e pieno di energia che mi metto a cantare a squarciagola e mando messaggi cantati a tutti, è un momento da condividere assolutamente con chi segue con partecipazione questo viaggio. Ora non mi va di essere solo.

Canto questa cosa qui:

euforia

Euforia, gioia, leggerezza e fiducia, cammino fra colline dolci e belle, la stanchezza è una compagna tollerabile e non vedo l’ora di arrivare a domani.

Gran bella sensazione oggi !

Ho visto il video di Alessandro che cammina, fantastico, e ho regolari contatti Wathzapp con Monica e Fulvio perché ho bisogno di sostegno e compagnia e loro me la danno, certe volte basta una foto per alleggerire la fatica.

Credo che dovrò fare ancor almeno 15 chilometri, un po’ tanti, nota negativa per chi lo farà: questo tratto non è segnalato tanto bene, ho avuto due o tre volte timore di aver sbagliato, poi non è accaduto e qualche indicazione me l’hanno data un paio di signori gentili incrociati all’uscita di paesi deserti.

Dopo 20 chilometri, arrivato a Amiais de Baixo, si deve decidere se seguire il percorso ufficiale da qui fino a Monsanto e poi proseguire verso Alcanena o puntare direttamente verso questa cittadina tralasciando la traccia ufficiale e seguendo un percorso alternativo suggerito da Google Maps. Di fatto non c’è scelta: andare dritto verso Alcanena per risparmiare strada. Sono stati otto chilometri un po’ sofferti per il sentiero dissestato, perché comunque mi stavo allontanando dal cammino in direzione quasi opposta e l’ultima esperienza di due giorni fa a Cartaxo non è stata per niente positiva.

Ansia e fatica per il saliscendi continuo e finalmente arrivo a Alcanena dopo 29 chilometri da stamattina e scopro che l’albergo Eurosol è molto bello e  domani mattina mi chiameranno un taxi direttamente dalla reception e potrò farmi portare  a Monsanto sul percorso. Quindi direi molto bene.

Camera molto bella e ci voleva proprio, cena al Perola che sta proprio di fronte all’albergo  con “Pica Pau del Vaca”  che sarebbe un patto tipico portoghese di carne fritta tagliata in piccoli pezzi, accompagnata da sottaceti e patate ma che io ho ordinato al buio non sapendo assolutamente cosa fosse. E’ andata bene.

Riflessioni prima di andare a nanna: è stato il giorno più gustoso della mia avventura, spero che sia l’antipasto di domani quando arriverò a Fatima (attenzione spoiler: non sarà cosi)

Ho voglia di finire in gioia e tornare a casa mia.

09 – Sétimo dia: de Alcanena a Fatima

29,76 chilometri oggi e non avrebbero dovuto essere così tanti, otto ore e mezzo di cammino, è stato il giorno più lungo e il più difficile.

Diciamo subito che nonostante l’ottimo albergo non ho dormito molto, sarà stata la cena di PicaPau un po’ pesante o la tensione per l’ultimo giorno di cammino.

Colazione superabbondante e taxi davanti  alla porta per correre a Monsanto, sette euro e ci togliamo la paura di questa deviazione di sette chilometri sotto il sole. Che lusso ! Eccomi dunque a Monsanto, partenza dell’ultima tappa del Caminho per Fatima.

Sono emozionato e contento, guardo un po’ tutto con occhi diversi, gli occhi di chi sa che ogni passo va verso la chiusura di questa esperienza, che questi paesaggi, questi paesi sono già il passato, che inizia il conto alla rovescia, ancora 25 chilometri, gli ultimi, i più faticosi, ancora un giorno da vivere con concentrazione e adrenalina, ma sarà una giornata difficile me lo sento, un mangiaebevi continuo.

Monsanto è un paese minuscolo e carino ma non ci sono possibilità di alloggio e quindi non so come possa rappresentare un punto di arrivo e di sosta per i pellegrini del Caminho, è un mistero che io ho risolto andando a pernottare in un altro paese e la scelta mi ha soddisfatto, fuori percorso ma opportuna.

Monsanto

Da Monsanto entriamo in una parte del Cammino ancora diverso, bel paesaggio, paeselli sperduti senza anima viva, e non è una novità, poche strade asfaltate e molti sentieri, e molta salita e poi discesa e poi ancora salita, 716 metri di ascesa totale, 521 di discesa totale, tanta roba, troppa per le mie gambe ormai stanche. Stamani ho un indurimento al polpaccio destro che mi provoca dolore costante (rimedio con Oki e due Cibalgine) e le dita dei piedi che reclamano riposo, tutti questi fattori mi fanno essere un po’ teso, poco tranquillo e non è un bene, sono partito con il morale non altissimo in previsione di questo ultimo giorno come se fossi consapevole che dovrò chiedere qualcosa di più a me stesso.

Verso le 11,30 il percorso si trasforma infatti in un sentiero ripido nella macchia, completamente sommerso dai cespugli e dai rovi. Pietre sconnesse, tralci di piante, salita ripida sotto il sole fiancheggiata da muri a secco abbandonati. E’ un sentiero  sperduto in una collina sperduta in mezzo a paesi deserti in una regione solitaria e soprattutto nessuno sa che sono qui, nessuno mi ha visto nell’ultima ora.  Mi sento solo e per la prima volta impaurito, mi assalgono  pensieri pessimistici: e se un animale, un serpente, uno sciame di vespe,  un cinghiale o che cavolo altro mi compare davanti ? e se scivolo su queste pietre sconnesse ? e se mi sento male adesso ? Tutti eventi ai quali  non avevo mai pensato prima, come si fosse arrivati alla resa dei conti con la spensieratezza. Sono molto preoccupato !

Ho la lucidità di fare due cose: inviare la posizione gps al mio amico Fulvio e registrare le mie paure .

momento di sconforto

Ascoltata adesso la registrazione fa sorridere, seduti in poltrona davanti ad un caffè chiacchierando fra amici con distacco emotivo appare esagerata e surreale.  Naturalmente non l’ho inviata a nessuno, non volevo fare stare in pena famiglia e amici, ma garantisco che non è una recita, quello ero io proprio io alle 11,30 di mercoledì 17 maggio sulle colline del Monsanto, uno dei momenti peggiori della mia esperienza.

Non so perché ma registrare un messaggio vocale e condividere la posizione con Fulvio mi ha dato un po’ di tranquillità. Il mio vecchio amico Fulvio è il solo di cui mi fido ciecamente in queste circostanze, è l’unico che per esperienza  e capacità  sarebbe in grado di tirarmi fuori da una situazione problematica in culo al mondo.

Dopo poco meno di un’ora angosciante finalmente il sentiero è sbucato in una piazzola di fianco alla strada provinciale, accolta come un’oasi nel deserto, qui  finalmente ho tirato il fiato e mi sono calmato  e da lì più o meno bene sono andato avanti fino al paese di Minde, 17 chilometri da Fatima: un bar per bere e mangiare, riordinare le idee, e ripartire.

La piazzola che mette fine alle mie angosce

Dopo Minde di nuovo salite e discese, fortunatamente solo un altro breve tratto nella macchia simile al precedente il resto su mulattiere o strade accessibili.

Minde

Si è acuito un dolore alla spalla destra  frutto di giorni con lo zaino addosso e di un bilanciamento non corretto, ma i chilometri li ho fatti lo stesso e dai e  dai  arrivo in un tratto di percorso rilassante, un bosco infinito di eucalipti che mi accompagnerà quasi fino alla fine. Un paesaggio e un sentiero ombreggiati  che ci volevano proprio, i chilometri poi calano con buon ritmo e incrociare i cippi che indicano 15 , 10 e poi 9, 8, 7 chilometri a Fatima dà nuova energia.

Tutto liscio fino al cippo dei 5 chilometri, il percorso è segnalato e ombroso, la strada pianeggiante e parlo al telefono tranquillamente con amici, mi sono ripreso dalla difficoltà della mattina e sento il traguardo vicino.

Inaspettatamente a questo punto, in questo preciso punto della foto qui sotto, vado completamente in bambola, non c’è altra spiegazione razionale se non la perdita completa di lucidità. Il segnale inquadrato nella foto è inequivocabile, la direzione per Fatima è indicata benissimo e non si può sbagliare, io invece sbaglio, incredibilmente, dopo 150 chilometri di concentrazione e lucidità succede che non mi fido della indicazione e vado sulla strada sbagliata.

Una piccola giustificazione ad un comportamento tanto sciocco a quattro chilometri da Fatima la posso trovare nel fatto che sia il mio Garmin che Google Maps mi segnalavano come errato il percorso così chiaramente indicato. La spiegazione a posteriori è banale: le tracce gps erano vecchie.

Così accade che vado avanti con poca convinzione sulla retta via per un chilometro abbondante, poi guardando il gps torno indietro, controllo e rifaccio la stessa strada ancora per un chilometro e poi non convinto torno nuovamente indietro a questo maledetto cippo indeciso e confuso e chiaramente non c’è anima viva a cui chiedere e infine anziché seguire la logica ed il segnale seguo la traccia indicata dagli strumenti elettronici, una strada diversa e intanto mi sono fatto 4 chilometri e un’ ora di fatica per niente.

Sono frustrato, ho perso completamente in raziocinio e non mi sento sicuro nemmeno di questa scelta, faccio così un giro largo e non segnalato in mezzo al bosco senza sapere dove mi porterà e questo giro del tutto arbitrario mi fa camminare un’ora abbondante nell’incertezza per poi  finire in un grande piazzale con un cementificio e una fila di camion in attesa di caricare. Sono in un posto del tutto estraneo al cammino. Sono sfiduciato, chiedo informazioni  a un camionista che mi dice che a Fatima si può andare anche da lì seguendo la strada che è però molto transitata da camion. Vado, non mi resta altra scelta,  ma la gioia è sparita e pure l’attenzione, succede così che per la prima volta mi distraggo e cado a terra, rovinosamente, di lato, senza attutire il colpo, cado dall’asfalto sull’alzanella in terra sul fianco sinistro sotto il peso dello zaino. Fa male ! Mi rimetto in piedi preoccupato perché fa proprio male, ma non c’è altra possibilità che continuare. Dopo qualche centinaio di metri ecco un segnale, il più bello da quando sono partito: è posizionato di sbieco sul ciglio della strada: è il vecchio  percorso  che segnalavano i gps e Google e che si sta per ricongiungere  all’altro percorso, quello più pulito e nuovo.

il cippo della salvezza sul vecchio percorso

Sospiro di sollievo perché adesso i chilometri sono due e poi uno, ma la condizione fisica non  è quella di ieri e nemmeno di stamani, cammino completamente piegato perché mi duole un po’ tutto, sono sfinito, arrivo dolorante e con la lingua per terra, sono due ore che non apprezzo più niente, che non mi diverto più, che ho perso il bandolo della matassa  e vado avanti per forza d’inerzia, ho mollato la tensione nervosa quando ho sbagliato l’ultima strada e la fine del mio viaggio non è quella che avevo immaginato.

Anche la ricerca del Santuario è faticosa, bisogna attraversare un enorme parcheggio, avrei quasi voglia di tirare una fila di moccoli tanto il santuario pare ancora lontano, ma non è proprio il caso, e si sbuca infine sulla immensa distesa della piazza della Cattedrale di Fatima.

Il campanile del Santuario è laggiù in fondo al piazzale e il mio viaggio è terminato, ce l’ho fatta, ma la soddisfazione che credevo di provare è offuscata dal dolore al fianco e alla spalla, le gambe non reggono più, sono stracotto e demoralizzato, mi pare di aver rovinato tutto in questo ultimo giorno.

Nella foto ho una postura strana, ridicola, è il dolore alla parte sinistra che mi ha fatto camminare  tutto piegato gli ultimi interminabili chilometri e non mi consente di stare dritto. Vista la prima foto me ne sono fatte rifare un altro paio cercando di ricompormi ma sono tutte così, in tutte sono piegato 30 gradi a sinistra, le braccia secondo le mie intenzioni avrebbero dovuto essere aperte, allargate come nella foto che ho fatto all’arrivo a Santiago, ma più su di così non vanno. Le costole sono rotte o incrinate e mi porterò questa posizione  ancora un paio di giorni.

fine del viaggio

Qui si conclude il mio viaggio a Fatima:  sono partito dritto e sono arrivato storto, i pantaloni sporchi di terra,  le scarpe da azzurre diventate grigio calcinaccio, scorticato dal sole, i piedi con traumi, un polpaccio rigido, costole e fianco doloranti e no, non è stato facile, ma ci sono.

Sono dove volevo essere.!

E’ stato bellissimo e me la sono goduta tutta, ma non rifarei un metro della strada fatta.

Quando è  finita è finita!

10 – Io turista

Ci sono ancora tre giorni prima del rientro a casa, il Caminho è già un ricordo da rievocare con calma. Finita la frenesia dei chilometri da percorrere, delle salite e delle indicazioni, la missione è compiuta, l’adrenalina svanita, la determinazione esaurita. Non sono più un pellegrino  o un viaggiatore, sono un turista  a giro per Fatima senza pulsioni di fede e a giro per Lisbona senza curiosità. Tutto si è concluso. Poi c’è stata la consuetudine: confessione e messa, santini e souvenir a Fatima, visita a piazze e monumenti, il giro sul tram 28, la torre di Belem, la maglietta di calcio, le pasticcerie  e il baccalà a Lisbona, foto ricordo dappertutto quasi per dovere di cronaca. Un turista solitario e non mi piace fare il turista solitario. Vorrei poter tornare  a casa subito. Il viaggio si chiude qui.

Ho già detto che c’è stato molto tempo per  pensare durante il cammino, l’ho fatto a strappi vagando, divagando, a volte registrando sul mio piccolo Sony per non perdere impressioni, o per testimoniare paure. Adesso, dopo un mese, riascolto i miei pensieri fatti per strada e mi accorgo che non sono così profondi come sembravano allora, si tratta di ovvietà, riflessioni semplici ed emotive dettate dalla stanchezza e dalla solitudine. Non portano alcun valore aggiunto alla storia  se non rievocare lo stato d’animo di allora. Eccone alcuni.

Sui motivi del viaggio

Volevo fare un’esperienza solo mia,  niente di trascendentale, una cosa che esulasse da tutto ciò che avevo mai fatto e neanche pensato, una cosa difficile per me che non sono un camminatore, non ho senso dell’orientamento, sono un imbranato che si perde ad ogni bivio e ho meno risorse di quello che faccio credere.

Ho avuto un’altra volta la conferma che viaggiare è necessario per far nascere nuove idee, vedere, capire conoscere, farsi conoscere, non chiudersi nella propria gabbia nella propria ristrettezza ed è importante farlo in condizioni dove ci si mette in discussione  quando  la nostra corazza quotidiana non c’è come in questo momento, sono alla mercé del primo banditello che mi trova per la strada, del primo burlone che mi da un informazione sbagliata, sono alla mercé  della salute, del mal dei reni, del dolore ai piedi, del calore, della sete, della fame, dei segnali che indicano la strada, sono fragile, un precario sul Cammino, ma nonostante questa  fragilità ho voglia di mettere un piede dopo l’altro, cocciutamente, non ascoltando i dubbi, perché voglio arrivare.

Sul passato

Ho pensato al passato molto lontano: vorrei recuperare i miei vecchi diari di gioventù, le lettere scambiate con le innamorate, con gli amici e con la mamma, ebbene si c’è stato anche un periodo nel quale scrivevo a mia mamma (1975). Sono tutti in una scatola in soffitta. E’ un po’ che mi prude l’idea che sia arrivato il momento  di metterci le mani sopra altrimenti finirà che poi le leggeranno i miei figli e diranno “ma era citrullo il babbo ?” e getteranno via tutto come abbiamo fatto noi con i nostri vecchi. Certamente non  Tommaso che non le butterebbe mai, non le leggerebbe ma le riporrebbe in bell’ordine in una scatola dove ammuffirebbero per altri anni,  poi magari suo figlio, chissà quando, magari nel 2060 o nel 2070,  le troverebbe, darebbe uno sguardo qua e là  direbbe “via via, cos’è questa robaccia” e finalmente butterebbe via tutto, anche il mio inutile ricordo.

E’ meglio se questa operazione la faccio io: me le leggo un’ultima volta, guardo se c’è qualcosa di importante e faccio piazza pulita, del resto sono cinquant’anni che stanno in soffitta, mi sembra di averle fatte sopravvivere anche troppo agli eventi.

Molte cose hanno esaurito la loro funzione e sono diventate superflue e conservarle mi sembra svilire anche quello che hanno rappresentato. Vorrei lasciare meno strascichi possibile, un po’ come togliere il disturbo in punta di piedi.

Alla morte bisognerebbe arrivare  nudi, come quando si nasce. Passati semplicemente come un germoglio, una pianta  qualsiasi, siamo poco di più.

Rivelazione

Sono qui per dare un esempio ai miei figli Agnese e Tommaso, per dire loro: non state fermi, non vi nascondete, non temete le vostre idee, le speranze, non abbandonate i desideri che sembrano impossibili o semplicemente stravaganti, coltivate con amore e determinazione i progetti sui quali investire e per cui lottare, abbiate fiducia in voi stessi !

Siate ribelli, ribelli  rispetto al conformismo, rispetto a quello che la società vuole e richiede, e siate anche gentili, con tutti, sempre, perché il mondo è bello e col nostro passaggio dobbiamo cercare di danneggiarlo il meno possibile. Essere invisibili oggi è visto come un fallimento, una vergogna, ma ciò che conta veramente è quello che c’è dentro il  nostro animo, guardate gli invisibili, scoprite i valori dietro le apparenze, non vi accontentate di tirare a campare.

La vita è magnifica se si predispone l’animo, ci regala momenti come questo esatto momento nel quale mi sento in  pace con me stesso, con la natura circostante e con gli altri, si può stare da soli e commuoversi come sta accadendo proprio adesso, qui su questo sentiero sperduto nelle colline del Monsanto e adesso …… adesso non so più cosa dire, meglio il silenzio.

Chiusura

Questa mia piccola avventura è nata tutta dalla mente, dalla programmazione, dalla ricerca minuziosa, dagli strumenti tecnologici, “quasi quasi non c’era neppure bisogno di partire”, scrivevo all’inizio, ma in questi dieci giorni quello che mi ha fatto andare avanti quello che mi ha spinto, che mi ha dato felicità non è stata la ragione ma il cuore. E’ una metafora della vita che mi aspetta:

passo dopo passo fino alla prossima indicazione, alla prossima strada, una curva inattesa del sentiero, una  deviazione che porterà da qualche altra parte, c’è una fine  a tutto questo e sembra lontana, ma si procede sempre guardando solo al passo successivo,  attraverso mille diversi stati d’animo, ineluttabilmente, con caparbietà cercando di non sbagliare il movimento, di non cadere e rialzandosi quando ciò accade, andando avanti anche con il dolore. Ad un certo punto è più importante seguire il cuore della testa, così ci avviciniamo, conta quello che sarà a fine giornata e conta che ci arriviamo alla fine della giornata.  Lo schema più ampio, la fine del viaggio, ci attende più in là e più che averne una visione idealizzata non possiamo fare.

Poi sarà quello che dovrà essere.

Le indagini del maresciallo Battaglia – 16° – Reggio Emilia

Addì 20 luglio dell’anno corrente si verbalizza l’indagine portata a termine nei giorni precedenti dalla pattuglia mobile al comando del maresciallo Battaglia.

La pattuglia risultava così composta: autista alla guida agente semplice Gerardo Tasselli, sedente davanti maresciallo Battaglia al didietro del quale stazionava come d’uso l’ausiliario Rino Badalà.

Il giorno 15 luglio u.s., anniversario di San Camillo,  la pattuglia stava perlustrando l’area adiacente alla località Bagnolo dove segnalavasi la presenza di signorine di facili costumi, quando  veniva richiamata dal piantone di guardia per una indagine urgente e dirottata  presso il condominio Fatebenefratelli di via del Salsero su segnalazione di tale Erika Manescu, di anni 52, infermiera, nubile  e vegetariana, di genere rumena.

Giunti sul posto, interno 5, pianerottolo a destra, il maresciallo Battaglia e i suoi uomini raccoglievano la testimonianza della Manescu che in quanto rumena si esprimeva in una lingua del tutto incomprensibile:

 “Vecina mea are sex spinto, da,  și io zento rumore de toate note  și dimensiunile nu mă fac dormire niet. Essere io poverina  în terapie psichiatrica, da”

Non avendo capito niente ma notando un atteggiamento per lo più isterico della Manescu l’ausiliario Badalà, essendo il più istruito della squadra, suggeriva di usare il traduttore di Google sul telefonino e il maresciallo pure se diffidente delle tecnologie avanzate ne autorizzava l’utilizzo per mezzo del quale traducevasi:

«La mia dirimpettaia fa sesso spinto e i rumori di ogni genere e dimensione non mi fanno dormire la notte. Ora sono in terapia psichiatrica, povera me».

Facendosi uno spiraglio di luce nella conversazione la Manescu proseguiva a briglia sciolta: 
“E' Un incubo che dura da tre anni. Sono disperata, ho dovuto modificare le mie abitudini di vita, temendo di essere coinvolta nelle sue porcherie, come dite voi italiani sporcaccioni”.
“Este un dolor que  se întâmplă de trei ani. Sunt disperat, a devut changer ma vita , temându-mă să mă implic în murdăria lui porvcate come dite vuie Italiani sporcaccioni”.

Incuriositosi il maresciallo Battaglia decideva quindi di bussare imperiosamente alla porta di fronte, lato sinistro del pianerottolo, al campanello di tale Rita Belvedere oggetto di tali insinuazioni.

Apertasi la porta raccoglieva la testimonianza della Belvedere, in arte Genevieve, di anni 44, originaria di Lamezia Terme, divorziata e procace, di professione pedicure a domicilio la quale a sua volta intendeva denunciare la Manescu per le stesse ragioni erotiche, ovvero secondo la Belvedere la vicina intratteneva vieppiù rapporti sessuali violenti con estranei di vario genere e nazionalità, con  finestre che sbattono, porte che cigolano, pugni contro il muro, risate e radiosveglie che partono a ogni ora del giorno e della notte, dice ella.

A questo punto la situazione risultava alquanto confusa e completamente opposta alla versione dell’altra donna.

Il maresciallo Battaglia anche se esperto di liti condominiali, non sapeva più a quale delle due credere e nemmeno il ben noto acume del Badalà era in grado comprendere da quale parte pendesse la ragione e da quale il torto propendendo per un pareggio di responsabilità o al massimo una connivenza.

Essi trovavansi quindi fra i famosi due fuochi tanto più che le due contendenti venute a confronto diretto stavano alzando di molto il livello dell’alterco  e cominciavano a usare le mani in maniera impropria sul pianerottolo comune. Non  sapendo più a chi dare retta e non volendo addentrarsi in questioni femminili ad alto rischio e per garantire l’incolumità degli innocenti condomini che affacciavansi al vano scale, il maresciallo Battaglia decideva di trarre in arresto sia la Manescu che la Belvedere  per molestie e stalking reciproco e verso terzi condomini e le traducevano senza manette, ma con la forza persuasiva nell’auto di servizio.

Quivi inserite sul sedile posteriore ai due lati dell’ausiliario Badalà le due contendenti reiteravano il tentativo di  prendersi a ceffoni l’una verso l’altra al punto che l’ausiliario stesso, richiesta autorizzazione semplice al capopattuglia, provvedeva ad ammanettarle al maniglione sopra il  finestrino per non essere a sua volta malmenato.

Giunti al comando il maresciallo scioglieva le due vicine di casa e le traduceva in due  celle di rigore separate a regime di  pane e acqua. La Manescu attraverso le sbarre apostrofava il maresciallo Battaglia “Tu, militare, essere peggio di  Ponzio Pilato!”

Il maresciallo chiedevasi chi fosse questo Ponzio a lui ignoto ma pur sospettando che trattassesi di offesa soprassedeva  e utilizzando tutto il suo proverbiale buon senso non denunciava la Manescu per oltraggio a pubblico ufficiale.

Raccolte le reciproche denunce gli atti del caso venivano quindi inoltrati al giudice di pace affinché  si guadagni la pagnotta anche esso o essa che sia.

Il resto del carlino – luglio 2016

A Dio

Oggi ci lascia un collega, un compagno di avventure di ballo, un amico, con il quale ho trascorso gli ultimi quaranta anni, un esempio di come si possa affrontare la vita con leggerezza e ironia, non  prendendoci mai veramente sul serio nemmeno nei periodi difficili, per andare avanti sempre e comunque col sorriso sulle labbra. Solo adesso mi accorgo di quanta influenza abbia avuto sulla mia formazione e di quanto abbia sempre desiderato di assomigliarli. Come avrebbe detto lui “Mala tempora currunt”

Valoris, addio.

Le indagini del maresciallo Battaglia – 15° – Orbetello

In data di oggi 10 dicembre c.a. si presentavano qui davanti al sottoscritto piantone Paccosi Settimio i signori Fanfani Pietro e Ulivagnoli Demetrio, pensionati e incensurati almeno fino a questo momento, i quali intendono sporgere denuncia in forma anonima verso ignoti rei di atti vandalici e scritte imperscrutabili.

I fatti.

Da alcune settimane i denuncianti, dai più definiti umarelli, nel corso dei loro sopralluoghi giornalieri ai cantieri stradali atti a monitorare l’efficienza degli operai comunali, si imbattevano ripetutamente in scritte definite misteriose con vernice nera su muri, cartellonistica varia, panchine e proprietà private. Le scritte in questione attiravano l’attenzione dei denuncianti in quanto non trattavasi delle consuete frasi scurrili aventi per oggetto  organi cosiddetti genitali o espressioni di fede calcistica del tipo violamerda, bensì di una sigla denominata “Q.S.B.” , ivi compresi i punti.

La cosa faceva insospettire i denuncianti i quali, disponendo di molto tempo libero, si spingevano oltre il perimetro cittadino di loro competenza per verificare la presenza di tali scritte in altri luoghi. Con sgomento da questa verifica risultava che la scritta appariva qua e là come per dire ovunque, infatti  nel sottopasso della ferrovia la scritta QSB  spuntava a caratteri definiti cubitali sulla parete del tunnel, è poi appariva sul muro di un condominio, in via Sicilia era stato imbrattato il divanetto dipinto da un artista locale, creazione a cui i denuncianti erano molto affezionati e via via fino oltre la frazione di Albinia, passando per le campagne del Guinzone, dove è presente sui pali della luce, fino a Orbetello, quivi presente sulle pareti della pensilina che si trova alla fermata dei pullman e, come se non bastasse, le lettere sono comparse anche sui basamenti delle statue che si trovano proprio sotto il Comune.

Nella circostanza dei sopralluoghi i due pensionati venivano dati per dispersi in quanto rincasanti presso i loro domicili solo a notte fonda.

Numerosi  cittadini di Albinia e di Orbetello si ponevano domande prive di risposta sul significato della sigla misteriosa: essa poteva significare “Quanto sei bona” oppure “Quanto sei bischero” o “Qui si beve”. Ma nella realtà che ai più appariva romanzesca nessuno sa cosa significhi Q.S.B. e già alcuni mormoravano tratterebbesi di una sigla eversiva di origine islamica, visti i molteplici immigrati presenti in zona.

Nessuno sa darsi una spiegazione. L’interpretazione popolare dimostrava lo sdegno nei confronti di chi imbratta: quella scritta è infatti uno sfregio a proprietà di privati cittadini e a panchine e spazi civici e non.

Se una scritta poteva essere tollerata, le decine che sono comparse sono percepite come uno sgarbo alla comunità Albinese.

A questo punto la comunità locale omertosa invitava i signori Fanfani e Ulivagnoli a darsi da fare e sporgere denuncia contro ignoti.

E qui siamo alla data odierna.

A specifica richiesta i signori Fanfani e Ulivagnoli si rifiutavano tuttavia di firmare la denuncia in quanto  timorosi di vendette trasversali da parte di ignoti molestatori, la presente denuncia è pertanto redatta in forma anonima.

Visto il malcontento  popolare il comando generale decideva di assegnare un pattugliamento costante delle vie cittadine alla squadra volante composta dall’agente semplice Gerardo Tasselli, alla guida della vettura, dal maresciallo Battaglia sedente anteriore, e dall’ausiliario Rino Vadalà posto al suo didietro. La pattuglia che sarà dotata della più moderna tecnologia investigativa, veniva quindi distolta dal servizio di appostamento a fine contravvenzioni a raffica in località lungomare per dedicarsi anima e corpo alla soluzione del caso vandalistico.

Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto Agente scelto Settimio Paccosi fu Gerolamo

https://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2020/12/09/news/una-sigla-misteriosa-imbratta-muri-e-panchine-1.39641496

Le indagini del maresciallo Battaglia – 14° – Modena

Addì 16 ottobre dell’anno corrente si verbalizza l’intervento effettuato a seguito di una chiamata anonima presso la tabaccheria Caponcini posta in località Navicello.

L’agente di servizio al centralino contattava prontamente la pattuglia di ronda che risultava così composta: autista alla guida della vettura agente semplice Gerardo Tasselli, sedente anteriore destro maresciallo Battaglia al cui didietro era stabilmente posizionato l’ausiliario Rino Badalà.

I fatti:

La pattuglia volante sopra specificata stava stazionando di fronte al negozio di modista di  tale Iovanka Branescu detta “la rossa” di anni 45,  divorziata e incensurata, in località San Donnino. Ricevuta la segnalazione l’autovolante abbandonava la postazione di sorveglianza della modista e si recava a folle velocità verso la località del richiamante aiuto che trovasi al lato opposto della pacifica città di Modena. Il tragitto fu percorso nel tempo di 11 minuti, semafori rossi compresi, stabilendo un record definito invidiabile per le forze dell’ordine locali.

Il dichiarante fa presente che alcune autovetture transitanti in senso opposto di marcia del percorso sono state danneggiate in più punti e potranno rivolgersi alla locale agenzia SAI Unipol per richiesta di danni e non.

Giunto sul luogo del crimine il maresciallo Battaglia provvedeva alla ricostruzione dei fatti:

Alle ore nove del mattino circa Cesare Caponcini di anni settantadue, coniugato proprietario della tabaccheria omonima,  trovavasi da solo nel suo locale composto da un ingresso nella parte anteriore, sulla destra un lungo bancone con sigarette e altri articoli da spaccio, alla metà stazionava immobile il registratore di cassa, in fondo, di fronte all’ingresso eravi un bancone più piccolo, definito trespolo, con un’altra apparecchiatura che sembravasi erroneamente come una cassa atta invece a compilare schedine del Superenalotto. Il settantenne trovavasi dietro a quest’ultima, ovvero dietro al bancone piccolo.

E qui viene riportata la sua testimonianza 

«A un certo punto sono entrati quei due tunisini o marocchini, insomma quei neri tanto sono tutti uguali di circa ventotto anni e si sono precipitati verso di me. Avevano non due coltellini, ma due coltellacci, con delle lame lunghe come una mano e anche di più. Me li hanno strofinati sul petto spingendomi con le lame e mi hanno urlato “Caccia li sordi, brutto rincojonito, li sordi, vojamo li sordi!” in un dialetto secondo me tendente all’ arabo o al laziale. D’istinto mi sono appoggiato indietro. Uno dei due allora ha spinto il trespolo verso di me, come per chiudermi all’angolo e  raggiungermi meglio col coltello. Mentre l’altro mi teneva sotto tiro, quello che si era sporto ha allungato un braccio rufolando a casaccio nella cassettiera del trespolo, ma i primi tre cassetti li tengo chiusi, lui prova e non riesce ad aprirli. Poi arriva all’ultimo cassetto, ci ha infilato la mano, e io furbo con un ginocchio ho spinto il cassetto che si è chiuso di scatto e gli ha schiacciato la mano. Lui si è messo a urlare “Li Mortacci tua. Cazzo che male, boia che dolore !”  e allora io gli ho menato alcuni cazzotti. Con l’altra mano nel frattempo ho afferrato  una bomboletta al peperoncino che tenevo da quelle parti ma mi è caduta. Quello picchiato intanto urlava all’altro “daje ‘na cortellata ! menalo!  ”. Allora io grido: “calma ragazzi, non vi agitate, vi do i soldi, non sono qui, ma là, in quella cassa dell’altro banco”. Così sono andato all’altra cassa e i banditi si sono un po’ calmati mentre uno si teneva la mano sanguinolenta. Ho fatto  finta di aprire il registratore dove sapevo di avere un’altra bomboletta spray al peperoncino più grossa, come un sifone, l’ho afferrata e ho iniziato a spruzzare lo spray in faccia ai due che si sono  coperti il volto urlando frasi irripetibili e si sono voltati saltellando, a quel punto ho preso la mazza da baseball che tengo dietro il bancone e l’ho abbattuta contro la schiena di un malvivente che si è piegato a libro,  l’altro nella foga è scivolato sul pavimento e ha battuto una craniata  nello spigolo di ferro della porta tirando una cosa che secondo me era una bestemmia araba o laziale. A questo punto i due sono fuggiti a gambe levate e mi sono calmato e ho rimesso a posto il trespolo e la mazza da baseball perché non si sa mai.

Avevo premuto anche il campanello del sistema d’allarme collegato con la polizia ma qualcosa non è andato, forse si è inceppato, meglio così, ma se ci fosse stata mia moglie sarebbe andata molto peggio per loro, lei è tremenda !».

Il maresciallo Battaglia chiedeva allora al Caponcini se intendesse sporgere denuncia verso i due malviventi ignoti fino a un certo punto, ma il tabaccaio asseriva di non aver fatto nessuna chiamata al pronto intervento perché tanto se l’era cavata da solo e non voleva problemi con la giustizia che non si sa mai, e neppure con la moglie che si arrabbia di nulla, infatti si stava domandando perché la pattuglia fosse lì a disturbare.

A questo punto, raccolta la testimonianza, il maresciallo Battaglia concludeva con perspicacia che la chiamata non era pervenuta dal Caponcini stesso bensì dai due ladri alias vittime della controaggressione mentre tentavano essi medesimi un aggressione al tabaccaio, come una specie di rinculo, e proponeva l’archiviazione della pratica come se nulla fosse in quanto nella fattispecie non era agevole individuare il colpevole.

Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto e dal maresciallo Battaglia Agente scelto Settimio Paccosi fu Gerolamo

Le indagini del maresciallo Battaglia – 13° – Aquileia

Alle ore 07.00 di questa mattina si è presentato qui davanti al sottoscritto piantone verbalizzante il signor Battistini Adolfo coniugato Pandolfi, incensurato per ora, originario di Pozzolatico, pensionato statale, in qualità di presidente onoris causa della associazione “Amici della zuppa” per sporgere regolare denuncia nei confronti di ignoti boicottatori della imminente sagra della zuppa di Aquilea.

Il denunciante riferiva di una serie di avvenimenti tesi a danneggiare la sagra. Il primo episodio avveniva pochi giorni or sono, alla vigilia del prima settimana della sagra della zuppa, allorquando accorgevasi che tutti i manifesti propagandistici della sagra attaccati nelle vie di Lucca erano stati abilmente strappati o impunemente imbrattati con vernice rossa. Dopo aver  constatato  con rammarico che evidentemente a qualcuno non piace la zuppa anche se tale circostanza sembra impossibile o quantomeno improbabile, visto che la tradizionale zuppa di Aquileia garba a grandi e piccini, provvedeva di persona coadiuvato dal segretario della associazione e alcuni  volontari all’uopo reclutati, ad affiggere un altro congruo numero di manifesti nelle vie cittadine. La mattina successiva anche questa serie di cartelli risultava lacerata e quindi illeggibile. E così deduceva che trattavasi di vandali che per propria iniziativa o ingaggiati da organizzatori di sagre concorrenti, avevano ben pensato di boicottare l’evento realizzato dal comitato paesano.

Nella notte di ieri, il terzo episodio, quello che toglieva qualunque dubbio sulla possibilità che trattassesi di un’operazione studiata a tavolino: «Abbiamo ancora una ventina di cartelli sparsi per Lucca – spiegava commosso il  Battistini – e li abbiamo trovati con sopra, attaccato, un foglio con la scritta “evento annullato, se Dio vole !”


Su Faceboc, che funge da tam tam mediatico, in tanti si domandano se questo significava che la sagra fosse stata annullata e rinviata, e gli organizzatori hanno avuto il loro bel daffare per spiegare che tutto è regolare.

Agli organizzatori non è rimasto altro da fare che salire in auto, controllare tutti i cartelli e sistemarli col pennarello aggiungendo la scritta “Invece si fa !” perché la sagra di Aquilea deve andare  avanti, nonostante il boicottaggio: nella circostanza il denunciante precisa che oltre alla parte gastronomica sarà presente il Dj Pippo Pieretti di Altopascio  e domenica 11 il gran finale con l’orchestra Amedeo che proporrà liscio e balli di gruppo, ricchi premi e cotillons.

Rimane, tuttavia, l’amarezza per qualcosa che non era mai successo in 44 anni di storia della manifestazione.

Per le indagini e gli accertamenti del caso è stato incaricato  il maresciallo Battaglia  e la sua squadra volante, già resisi protagonisti di scioglimento di casi intricati, il quale ha assicurato che non verrà tralasciato alcuno sforzo per assicurare i malviventi alla giustizia: come primo intervento ha provveduto nonostante le proteste del Battistini al sequestro dei manifesti corpo del reato per la rilevazione delle impronte digitali e ha assicurato la presenza costante della sua squadra negli orari di pranzo e  cena  alla sagra della Zuppa.

Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto verbalizzante Agente scelto Settimio Paccosi fu Gerolamo

https://iltirreno.gelocal.it/lucca/cronaca/2019/08/09/news/boicottati-i-cartelli-della-sagra-della-zuppa-1.37323935

Le indagini del maresciallo Battaglia – 12° – Cannigione

Addì ieri alle  ore 21.30 circa l’agente semplice Tumiriello Genesio stava approfittando del  turno di guardia notturno per godersi un meritato riposo quando veniva bruscamente svegliato da una telefonata anonima comminata dal proprietario del Bar Cristallo sito in località Cannigione che richiedeva l’intervento urgente di una pattuglia di forze dell’ordine.

Scossosi dal giustificato torpore l’agente Tumiriello richiedeva ulteriori informazioni al chiamante atte alla compilazione del modulo PIC 112 del manuale del pronto intervento celere: generalità, codice fiscale, domicilio, estremi della patente di guida e financo l’indirizzo dal quale stava chiamando che era appunto quello del bar Cristallo. Nonostante un apparente nervosismo l’individuo chiamante rispondeva esattamente alle varie domande di rito.  

Espletate le formalità l’agente Tumiriello procedeva con l’allertamento della  pattuglia di servizio  che nella fattispecie risultava essere quella della volante 41/bis comandata dal maresciallo Battaglia seduto in  auto con al fianco sinistro l’autista agente semplice Tasselli Gerardo  e l’ausiliario Rino Badalà posizionato direttamente alle sue spalle. La pattuglia era in servizio di perlustrazione sul lungomare alla ricerca di  passeggiatrici  abusive e non.

Ricevuta la chiamata l’auto procedeva ad una repentina  inversione a “U” sulla litoranea causando alcuni lievi tamponamenti e si dirigeva a velocità sostenuta e sirene spiegate e luci azzurre verso il luogo del delitto.

Quivi giunti il maresciallo Battaglia si accorgeva immediatamente che il Bar Cristallo trovavasi all’interno del Camping Bellavista della medesima località e ne faceva parte integrante.

All’interno del bar veniva rilevata la presenza di un uomo di tipo  romano di anni 50 che appariva su di giri e della moglie di genere procace e di un vacanziere austriaco di età imprecisata, anch’egli in modalità alterata. Erano presenti anche il gestore stesso del Bar Cristallo chiamante soccorso e un altro gruppuscolo di persone definite curiosi di circa un centinaio di capi facenti parte del gruppo vacanze del Camping sopracitato, tutti peraltro in  abiti succinti essendo la temperatura ancora elevata per la stagione.

Poiché gli animi risultavano ancora alquanto surriscaldati e maneschi il maresciallo Battaglia ordinava all’ausiliario Badalà di brandire minacciosamente il  dissuasore modello X26 in dotazione alla pattuglia in grado di procurare  ustioni e abrasioni varie.

Calmati i bollenti spiriti dietro la minaccia di scariche elettriche ad alta tensione si poteva finalmente procedere alla ricostruzione dei fatti dai quali risultava che il succitato turista austriaco, del quale non  faremo il nome per la privacy, aveva poche ore prima preso il mano il suo cellulare di origine cinese e scattato alcune foto nel locale da molteplici angolazioni ed altezze. Un gesto questo che faceva  andare su tutte le furie il 50enne della capitale convinto che oggetto degli scatti non fosse l’arredo del locale ma il lato B della moglie, dove per lato B si intende il posteriore anale della suddetta.

Avveniva quindi che senza ascoltare le parole giustificative dell’austriaco che in un tedesco che gli astanti definivano gutturale continuava a ripetere di aver fotografato solo il bancone e le sedie in pivvucci  il turista di Roma perdeva le staffe e procedeva a schiaffeggiare ripetutamente l’austriaco nonostante le reticenze della moglie procace.

Al termine del prolungato schiaffeggiamento gli asportava il telefonino e provvedeva  alla cancellazione di tutte le fotografie presenti nella memoria, odierne e non.

A questo punto il romano sembrava calmarsi ma  il  turista e austriaco non si riteneva soddisfatto e non faceva finta di niente. Lui che fino dal primo momento sosteneva di non aver immortalato nessun posteriore, al suo fianco c’erano anche la moglie e i figli,  non ha voluto assolutamente lasciar perdere e intendeva  denunciare  l’aggressore con la testimonianza  degli astanti che infatti provvedevano immediatamente a dileguarsi.

A questo punto al gestore del Bar Cristallo non restava che richiedere l’intervento delle forze dell’ordine.

Ricostruiti i fatti il maresciallo Battaglia provvedeva  a raccogliere pazientemente la denuncia del turista Austriaco e al sequestro del telefonino del medesimo che  in assenza di prove tangibili veniva inviato alla unità scientifica per tentare il recupero del corpo del reato ovvero le presunte foto del culo della signora.

All’uomo di genere romano in quanto sospettato di violenze ingiustificate su turista straniero venivano  ritirate la patente di guida e il libretto di circolazione in attesa di provvedimenti e veniva per il momento rilasciato a piede libero ma senza mezzi di trasporto.

Si procedeva infine a accogliere le  generalità e le testimonianze di tutti presenti ammontanti a un centinaio di astanti per gli atti processuali e alla segnalazione alla ASL competente per i tamponi resisi necessari in quanto partecipanti ad un assembramento non autorizzato in abiti succinti e senza la mascherina regolamentare. L’operazione si è protratta fino all’alba di questa mattina.

Scritto, letto e riletto e firmato dal sottoscritto verbalizzanteAgente scelto Settimio Paccosi fu Gerolamo

https://www.lanuovasardegna.it/olbia/cronaca/2020/08/25/news/cannigione-foto-al-lato-b-della-moglie-volano-gli-schiaffi-1.39231789