Tre umarell… – 23° Una noche en el aeropuerto

Aeroporto Adolfo Suárez, Madrid-Barajas

Come mai fu ideata una castroneria simile?  una serie di incontrollabili eventi condusse i nostri omarelli a quella sfida di resistenza che non avevano messo in preventivo. Il primo fattore fu che ogni tre per due il camminatore tirava fuori la solita solfa che gli avevano  rubato i soldi e doveva  spendere il meno possibile perché “….la mia pensione non é come la vostra e bla bla bla  e m’hanno rubato tutto e io non ho i mezzi che avete voi e bla e bla  e devo andare dal dentista e bla bla e maremma maiala…” , lamentazioni quotidiane.

Il secondo fattore fu l’orario: sarebbero arrivati a Madrid circa a mezzanotte e la loro idea barbina era di andare in centro al mattino successivo al più presto diciamo alle sette e ritornare in  aeroporto per le undici.

Quindi avrebbero dovuto  individuare un albergo vicino che li ospitasse cinque  e o sei ore al massimo con poca spesa. Impossibile. Tentarono più volte di individuare una sistemazione economica e facile da raggiungere, ma non c’era stato verso.

Dunque bisognava scegliere fra due alternative:  saltare il minitour  di Madrid o dormire in aeroporto, dove dormire è un termine del tutto inappropriato.

Scelta fatta perché Madrid lo avevano messo nel mirino e non ci avrebbero rinunciato.

Raccontare la  notte in aeroporto è facile. I nostri omarelli cercarono invano una sistemazione decente e non la trovarono, niente poltroncine, niente angoletti tranquilli magari in penombra, niente silenzio o solitudine. L’aria fresca della notte, lo squallore delle enormi sale d’attesa, i bar chiusi, una  tivvu accesa su una partita di calcio femminile  e parecchi altri disperati  notturni come loro con l’attenuante  che sicuramente erano in attesa di un aereo mattutino o di un arrivo nelle prossime ore. Erano cioè in transito. I nostri omarelli avrebbero avuto l’aereo per Bologna il giorno successivo alle 15 e quindi c’erano da trascorrere quelle lunghissime  ore di vuoto cosmico, non erano propriamente in transito erano solo arrivati molto prima della partenza.

Si decise che avrebbero preso la  corsa della metropolitana alle sei del mattino e il lasso di tempo dalla mezzanotte alle sei sarebbero stati cazzi amari, ma sei ore in confronto all’eternità rappresentano ben poca cosa.

i tre avevano mantenuto un briciolo di dignità e si rifiutarono di sdraiarsi per terra come  barboni: adocchiarono due file di scomodissime sedie di acciaio e le posero una davanti all’altra sottraendole agli altri miserabili in transito e cercarono di svaccarcisi sopra con contorsioni decisamente non più alla loro portata. Il ballerino riusciva a reggere in quelle posizioni scomposte dieci minuti per volta dopodiché doveva alzarsi e fare un giretto di mezz’ora nel nulla, il camminatore in qualche modo si accovacciò e riuscì a surrogare un sonno ristoratore del quale  probabilmente risentirà le conseguenze fino a novembre  e il vecchio forestale  stette in piedi a giro qua e là come un naufrago per tutta la notte.

Per puro caso si erano posizionati davanti all’arrivo  dei voli internazionali e verso le due del mattino al ballerino venne in mente di fare un cosa da omarello.

Si accorse prima con un solo occhio aperto, poi con le orecchie e poi con tutti i sensi  che c’era un universo tutto da scoprire  a pochi metri da lui: i parenti in attesa di coloro che sarebbero arrivati con i voli della notte.

Si levò in piedi improvvisamente sveglio, attaccò il registratore e si mise a gironzolare tra gli astanti, non mi è venuto in mente un termine meno desueto di astanti per significare quelli in attesa e iniziò a fantasticare.

Il tabellone degli arrivi fu una scoperta sorprendente: a quell’ora di mattina c’era un sacco di gente sveglia e attiva, i piloti degli aerei in arrivo per esempio, e le hostess e i passeggeri che dopo viaggi lunghissimi si sentivano vicini alla meta e sicuramente saranno stati elettrizzati, e la moltitudine dei parenti, amici, conoscenti in attesa.

Il primo arrivo previsto era il volo AV26 della Sa Avianca da Bogotà (BOG) Colombia delle 02.35, in orario. Bogotà richiamava alla mente  il narcotraffico e Pablo Escobar con i baffoni.

Popolo misero che coltiva oppio sulle colline stretto nella morsa fra i narcos e la polizia violenta, una vita di subordinazione senza apparente speranza. Ci saranno stati narcotrafficanti su quel volo AV26? E chi c’era ad aspettare?

A vederli così, stretti nelle maglie di cotone leggero e l’aria pacifica non sembravano  corrieri della droga, ma persone normali tirate giù dal letto per venire fino qui a Barajas  a quell’ora improbabile.

C’era un giovane con radi capelli chiari, le infradito ai piedi e la maglietta slabbrata in piena notte madrilena, quasi estraneo al contesto, stava un poco discosto come fosse lì per caso, con troppa birra in corpo e una notte ancora giovane, chissà cosa aspettava. Arrivò poi una ragazza elegante dai tratti andini con un grande orso di pezza, sarà stato alto un metro e mezzo. Lo cingeva sorridente con il braccio largo come in un tango, gli occhi splendevano pregustando già la gioia che avrebbe visto negli occhi della bambina o del bambino che era su quel volo e che fra poco sarebbe sbucato dalla porta automatica e con sorpresa avrebbe visto  prima l’orso e poi lei. Forse la sorella? forse addirittura la madre…., no, troppo giovane e troppo spensierata per esserne la madre. Certamente una persona sulla quale avrebbe potuto fare affidamento in quella città nuova, in quel continente nuovo dove i narcos si vedono solo nei telefilm e la policia non perseguita i tuoi genitori.

C’era una signora, anch’essa coi lineamenti classici del Sudamerica, grassoccia, vestita in maniera semplice, sicuramente una cameriera di albergo, una di quelle che rifanno le camere  dei turisti e si guadagna da vivere a Madrid e forse vive in una cittadina di provincia e ogni mattina deve svegliarsi alle cinque e prendere l’autobus e questa sveglia anticipata non la turba  più di tanto. Aspetta  una vecchia amica con la quale ha condiviso una infanzia di povertà  che viene a cercare una vita migliore, anche fosse rifare i letti nelle camere degli alberghi, basta fuggire dalla incertezza.

C’era una distinta coppia di mezza età,  stanchi e non particolarmente ansiosi, aspettavano la vecchia domestica che era andata in Colombia a visitare la famiglia, avrà avuto i  figli ancora là e li avrà lasciati il giorno prima con lacrime e dolore senza sapere quando e come li avrebbe rivisti, e adesso rientrava. Loro aspettavano per accompagnarla  a casa con la loro Audi e le avrebbero fatto trovare la colazione pronta e un letto pulito nella sua cameretta perché era una  buona domestica fidata e si meritava pure di rientrare al suo paese almeno una volta l’anno, aveva pure sempre famiglia laggiù con figli che vedeva solo su Skype col tablet del padrone di casa.

C’era un giovane un poco dimesso, la barba folta e i lineamenti europei,  sembrava emozionato, carico di aspettative per una fidanzata, una moglie promessa o un amico viaggiatore.  Lo avrebbe accolto, prendendogli  le grosse valige e lo avrebbe condotto al suo furgone e poi sarebbero andati insieme in quel paese distante da Madrid dove forse faceva l’idraulico e avrebbero condiviso la giornata ancora per qualche ora, poi lui  sarebbe andato al lavoro e l’altro, o l’altra,  avrebbe dormito per ricuperare il fuso orario perduto nei cieli atlantici.

E una signora elegante col piccolo cane al guinzaglio, un barboncino nero, lei sicuramente aspettava il marito ingegnere minerario che era stato due mesi in missione in Colombia  per guadagnare di più e fare progetti irrealizzabili per l’Unesco o per la compagnia petrolifera. E si sarebbero abbracciati con dolcezza e misura, scambiati un bacio sulle guance e lui l’avrebbe presa sottobraccio dopo aver dato un buffetto al cane e insieme si sarebbero diretti al taxi che li avrebbe portati nel loro grande appartamento al penultimo piano di un  palazzo del centro e mentre si avviavano le avrebbe raccontato tutte le storie di quel mondo lontano e lei avrebbe ascoltato partecipe ed emozionata.

E mentre il display luminoso segnalava che il volo era “loaded”, atterrato, e tutti tiravano inconsapevolmente un breve sospiro di sollievo perché si sa che la partenza e l’atterraggio sono i momenti a rischio, si avvicinava l’ora di arrivo del volo UX1424 della Air Europèa da Marrakech (RAK) delle 03.15 in orario, e la scena gradatamente mutava e alle persone coi lineamenti andini che avevano occupato la scena fino ad allora si sovrapponevano e gradualmente si sostituivano  quelle dai tratti arabi, e gli uomini erano più magri, vestiti  di grigio o di nero con le barbe appuntite e lo sguardo  accigliato di immigrato e non c’erano donne sole fra coloro che aspettavano.

C’era meno gioia in quel flusso di persone, come un senso di  discriminazione ormai entrato nella pelle e non mascherabile con un semplice sorriso. Una coppia con bambino sorridente: lo avevano portato a accogliere la nonna che non aveva mai visto e abitava in un villaggio lontano dalla capitale. Il viaggio per lei era iniziato due giorni prima con pochi mezzi e pochissimi denari,  il volo lo aveva pagato il figlio che adesso era lì ad  aspettarla con tutta la famiglia, orgoglioso di poter fare questo regalo alla vecchia madre, timoroso di farle vedere nei giorni  successivi che non era diventato ricco come avevano sperato.

E c’era un giovane con una grossa borsa che guardava qualcosa sul cellulare e distrattamente buttava uno sguardo sul tabellone degli arrivi mantenendosi un po’ distante dagli altri, come  a volersi distinguere. Era forse in attesa dell’amico di gioventù che finalmente si era deciso e aveva tutti i visti e i permessi in regola e lo avrebbe raggiunto per ripartire con una nuova vita, magari facendo il manovale  e ripagando l’amico che aveva anticipato i soldi e che l’avrebbe accolto in casa per i primi tempi o forse per sempre.

E intanto si preannunciava il volo da Buenos Aires e una nuova corrente di persone si andava formando mischiandosi con quelli che già c’erano mentre i viaggiatori di Bogotà ancora non apparivano dalle porte automatiche perché  il controllo passaporti era rallentato nel turno di notte e sul display apparivano in sequenza frenetica gli altri voli intercontinentali: Casablanca,  Santa Cruz, Santiago del Chile, Caracas…..un momento, un momento: di Santa Cruz ce ne sono tante, sarà quella del Costarica o quella della California o Santa Cruz de Tenerife, no questa non può arrivare ai voli internazionali. E Caracas non è forse nel Venezuela? quel paese in piena crisi politica e sociale, ci saranno  dissidenti o rifugiati politici a bordo e chi verrà ad accoglierli, un emissario dell’ambasciata o un giornalista amico che li ospiterà a casa propria.  Ma intanto incalza il volo 6028 della KLM da Atlanta col suo carico di grassi turisti texani, ad attenderli ci sarà un autista dell’albergo dove alloggeranno con un cartello con su scritto “Grand Hotel Inglès” e domani vorranno vedere la corrida e una partita al Santiago Bernabeu perché con i soldi tutto si può a Madrid come in qualunque  altra parte del mondo. E poi a seguire gli arrivi dei voli da Abu Dabi, Moscow in ritardo, Panama, Il Cairo, Istambul da fare girare la testa, e in rapida successione alle 4,25, alle 5.10, alle 5,30 voli da Gwangju  Cheongju e Nha Trang che arrivano un po’ prima di Toronto e tutti dopo Casablanca, tutti insieme con questi nomi imbarazzanti di luoghi  asiatici introvabili sul mappamondo, un miscuglio  di Cambogia, Corea, Vietnam posti di inquinamento e di guerre e per noi tutti uguali, come fossero  tutti cinesi

Dopo un’ora  ancora nessun colombiano era sbucato dalla porta degli arrivi. Ci sarà qualche grosso guaio, un allarme terroristico o un pacco di cocaina nascosto nel bagaglio  a mano  e nel frattempo  escono altri passeggeri stanchi e smarriti non si sa da quale volo e  da quale continente e coloro che aspettavano in ultima fila si fanno largo e vanno ad incontrarli impazienti. “Che bell’aeroporto” dice uno in una lingua sconosciuta ma si capiva da come si guardava intorno stupito,  uomini con giacche sgualcite e vecchie enormi valigie che cercano con  lo sguardo un  volto amico che li accolga in questo paese, evviva Espana finalmente, e li accompagni nei loro primi passi, bambini in  fermento per mano a donne col velo azzurro che forse diventeranno badanti o aspetteranno gli uomini  a casa e un giorno impareranno a fare la spesa nel supermercato.

C’era di tutto nella sala di attesa del Terminal Uno.

E finalmente il controllo passaporti del volo AV26 dalla Colombia terminò e dalle porte automatiche  spuntò tra la folla una donna che teneva per mano una bambina, avrà avuto otto anni. Minuta, dai capelli neri e la pelle ambrata. Era vispa come una trottola, come se la fatica del viaggio non l’avesse sfiorata o forse aveva dormito per  tutto il tempo stretta alla madre che si sarà fatta piccola piccola  per lasciarle un poco del suo posto sul seggiolino. La bambina uscì dalla porta e la prima cosa che mise a fuoco nella confusione delle persone di ogni razza assiepate alle transenne fu l’orso di stoffa e i suoi occhi scuri brillarono di gioia e la ragazza elegante le andò incontro e glielo porse sorridendo. La bambina lo prese, era più alto di lei, ma leggero da poter essere sollevato e morbido e colorato, lo strinse a sé in un momento di felicità assoluta e in quell’attimo fugace il nostro ballerino di liscio capì che un nuovo giorno poteva finalmente iniziare.

continua …

Tre umarell… – 22° Décimo dia: Finisterre

“Godiamocela oggi perché stanotte sono cazzi acidi” . Si dissero al risveglio.

C’era da andare a prendere il pulman della Toxo Travel, i viaggi dei tossici, al punto de encuentro in piazza Galicia davanti al Banco Santander.

Furono precisi e puntuali, ma non abbastanza svelti da salire sopra e catturare i posti migliori che andarono a una coppia di pellegrini canadesi agguerritissimi e poi nell’ordine a quattro brasiliani, due tedeschi, dodici coreani e un’argentina che era sola e quindi per definizione poteva anche starci se soltanto ci avessero provato. Loro salirono per ultimi e beccarono  i posti in fondo, solo l’argentina si posizionò più indietro. Ma non accadde nulla.

La guida si chiamava, anzi si chiama ancora, Ramon, come Ramon Rojo quello che diceva “Quando l’uomo con il fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto” e che invece fu impallinato da Joe lo straniero, nella fattispecie il mitico Clint Eastwood.

Il  buon Ramon non aveva il fucile ma una fervida parlantina tramite la quale raccontava di tutto un po’ sulla gita in quattro lingue quasi contemporaneamente  perché ogni tanto mischiava. Praticamente si faceva capire  da tutto il pulman  ad eccezione dei coreani che però avevano un’applicazione mostruosa sul cellulare che traduceva simultaneamente nella loro lingua esotica ed esosa.

“Manco qui ci leviamo  di torno i cinesi – disse un omarello polemico – Sono proprio infestanti” “Non sono cinesi sono coreani ” rispose un altro

“E che differenza c’è ? sempre gialli e brutti sono”

“Razzista !”

“Razzista una sega, un se ne pole più ! anche da noi …..”

“E basta coi cinesi !”

“E farò basta … ma tanto loro ci sono lo stesso !”

Partirono e Ramon spiegò bene tutto quello che si vedeva  fuori dal finestrino come la costa de la muerte dove le navi andavano a naufragare e ci morivano un sacco di marinai e il parco di pale eoliche più vasto del mondo, o forse d’Europa, o della Spagna, comunque un gran bel parco di pale per quelli a cui  piacciono le pale eoliche.

Ci furono delle cose interessanti da vedere quel giorno aldilà delle solite mete turistiche che vi avranno raccontato in mille e che potrete cercare  comodamente su Google.

Al chilometro zero, che era quello del cammino di Santiago non quello della frutta e verdura delle bancarelle, c’era un fricchettone come purtroppo non se ne vedono più in giro: alto, magro,  biondo con i capelli rasta, vestito di smanicati a colori e calzoni larghi, con i sandali e un po’ di collane e braccialetti distribuiti qua e là. Tutto preso dalla trascendenza se ne stava dritto e soffiava  in un  corno tibetano, un dungchen di due o tre metri, uno strumento usato nella cultura buddista.

Era perfettamente collocato nell’ambiente  circostante con l’oceano  atlantico tumultuoso tutto intorno al promontorio, lui in quel mattino grigio,  incastonato nell’aria pungente  compresa tra il cippo del chilometro  zero e il faro, che pompava a pieni polmoni  emettendo  quel suono lugubre profondo e prolungato che richiama ancestrali riti buddani. A completare il quadro fantastico c’era una ragazza, anche lei vestita come un’hippie degli anni 70, che stava in piedi a braccia aperte, concentrata di fronte a lui, e prendeva il rimbombo del suono del corno proprio in mezzo alle gambe leggermente divaricate, come volesse darsi una rinfrescata alle ovaie o purificare la sua essenza mortale per ascendere a una dimensione più elevata. Era una scena fantastica che ricordava agli omarelli la  giovinezza quando cazzate del  genere se ne vedevano più spesso anche in provincia.

Naturalmente per tutto il giorno provarono ad imitare con la bocca semichiusa il muggire di quel corno.

Un’altra cosa ganza fu farsi le foto sugli scogli di Finisterre per poter dire a parenti e amici che c’erano  stati  davvero. Fecero un centinaio di foto in tutte le combinazioni possibili, scacciando gli altri turisti che interferivano col paesaggio come se fossero stati soli al mondo, mettendosi in pose drammatiche,  pensierose e plastiche. Con lo sfondo del mare ribollente e il cielo grigio le loro maglie rosse risaltavano perfettamente in contrasto cromatico e ne erano fieri. In verità erano anche molto felici per aver compiuto quella loro camminata fino a Santiago e per essere li insieme, stavano festeggiando dentro.

Poi li portarono a Muxia che si pronuncia Musìa con l’accento sulla “i”  famosa per due cose: c’è la barca di pietra con la vela di pietra e il timone di pietra, e li hanno girato la scena finale de “Il Cammino per Santiago” il commovente film di Emilio Estevez con Martin Sheen, quello di Apocalipse Now, che getta nel mare le ceneri del figlio. E il posto è effettivamente suggestivo, anche perché non c’è niente altro che una chiesetta e il mare immenso.

A proposito della barca di pietra: si tratta di un  piastrone di granito di 50 tonnellate con un diametro di una decina di metri, a fianco c’è il  bel timone anch’esso ovviamente in pietra che è una roccia a forma di non si sa cosa ma potrebbe essere anche la raffigurazione del timone di un’astronave marziana che peserà anch’esso qualche tonnellata. Ma cosa volete che sia tanto poco distante c’è la bella vela latina, di pietra, curva perché le vele al vento notoriamente si incurvano, che peserà  anch’essa un 50 tonnellate, e per forza per spingere quel ben di dio e farlo navigare ci voleva un bella superficie velica.

Ora, lasciamo perdere per un momento la fede che è una cosa seria, ma di fronte a questa roba qui neppure Archimede con tutta sua buona volontà avrebbe potuto teorizzare il suo  principio “Ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”. Per immergere questa barca in pietra ci sarebbe voluto un terremoto primordiale e per farla navigare l’Armageddon. Ma abbiamo detto lasciamo perdere la fede che sposta le montagne e quindi gli fa una sega una barca di granito.

Camarinas è un grazioso paese di pescatori, in estate affollato di turisti che di certo non vengono qui a fare il bagno perché l’acqua dell’oceano è fredda, profonda, sporca e si ritira rapidamente un paio  di volte il giorno lasciandoti sul fondale asciutto come un bischero.

Però l’atmosfera è carina e rilassante. Ci sono un sacco di ristoranti e i nostri ne beccarono uno accattivante. Ordinarono  tutti contenti quella che sul menu sembrava una succulenta paella e mangiandola dicevano

Non è un granché questa paella

No decisamente non è tanto gustosa”

“Diciamo pure che non sa di nulla”

“Era meglio quella di Santiago

Dopo pranzo lo dissero anche a Ramon e lui rispose che il quel localino  non facevano la  paella ma un riso in brodo con lo zafferano. Ecco spiegato il mistero, però il riso in brodo  costava quanto una paella.

Intanto era spuntato il sole, proprio in tempo per l’ultima tappa del tour al faro elettrico di Cabo Vilàn e anche qui quel vanesio del ballerino di liscio si fece  fotografare in pose artistiche.

La tradizione vuole che i pellegrini compissero tre riti al termine del loro percorso le tre purificazioni:

La purificazione dell’anima pregando sulla tomba del santo nella Cattedrale di Santiago.

La purificazione del corpo lavandosi nell’acqua fredda dell’Oceano Atlantico.

Infine dovevano bruciare gli abiti portati durante il cammino e contemplare il tramonto nel punto più ad Ovest della costa d’Europa, appunto, Finisterre. Questa antica tradizione è stata poi sostituita con il lasciare un indumento personale al termine del viaggio a connotare simbolicamente la fine di un ciclo esistenziale. Perché ho scritto questa cosa? per allungare un po’ il brodo e informarvi su qualcosa di interessante da fare casomai veniste qui.

Poi dovettero tornare a Santiago perché avevano visto tutto quello che c’era da vedere, fatto tutto quello che c’era da fare e bevuto tutte le Estrella che c’erano da bere; la vacanza era proprio finita.

Adesso li aspettava la verifica se i succedanei dei documenti del camminatore avrebbero passato il controllo aeroportuale, poi  il volo Santiago – Madrid e la notte all’addiaccio.

C’era da farsi un grosso “in bocca al lupo”.

continua …

Tre umarell – 21° El mejor amigo del hombre

Giunti al termine del pellegrinaggio, chiamiamolo così, si resero conto che avevano vissuto dieci giorni come in una bolla, immersi in una realtà di fatica, gioia e astrazione dal resto del mondo. Se l’erano goduta senza pensare a come era iniziata in quel primo pomeriggio nella metropolitana  di Oporto, che sembrava una vita fa. Si era andati avanti nonostante tutto, ma ora si era alla fine e la preoccupazione si era materializzata.

Poiché il camminatore si era flesciato sulla perdita dei soldi e basta, furono gli altri due a capire che la mancanza dei documenti fosse ancora più grave e cercarono in quei giorni di trovare una soluzione. Fu grazie all’intervento fondamentale  del figlio del camminatore distratto che la strategia che tutti insieme avevano messo in piedi diede infine la possibilità allo sciagurato  di rientrare in Italia con gli altri ma fu un pensiero che aleggiava minaccioso sopra di loro e che iniziò il primo giorno e terminò quando salirono sull’ultimo aereo a Madrid.

Tramite il console di La Coruna era stata contattata l’ambasciata di Madrid e qui avevano redatto un documento  alternativo valido per il rimpatrio, come se si trattasse di immigrato clandestino, un indesiderato che viene allontanato col foglio di via.

Il documento con tanto di  timbro e firma dell’ambasciata era stato poi spedito al magnifico Grand Hotel  B-Nor di Santiago dove i nostri lo avevano finalmente recuperato al loro arrivo e adesso avrebbe dovuto consentire di superare i rigidi  controlli della Ryanar al momento dell’imbarco.

Si dice dovrebbe al condizionale perché i nostri umarelli non erano affatto tranquilli e progettavano itinerari alternativi per il rientro separato del camminatore:

  • Con pulman di linea Santiago – Madrid e da qui Madrid – Genova in soli due giorni
  • Con treno stesso tragitto ma a costi decisamente superiori
  • Con una gita turistica che avrebbero dovuto trovare a Santiago e che fosse compiacente di accogliere un clandestino  a bordo.
  • La nave fu esclusa perché non c’era un mare nel mezzo
  • A piedi, visto che si trattava di un camminatore in un paio di mesi avrebbe potuto essere  a casa, giusto per Natale.
  • Infine si poteva abbandonarlo a Santiago a chiedere l’elemosina sui gradini della Cattedrale.

Queste erano le alternative con l’aggravante che il nostro camminatore sciagurato non aveva neppure soldi e quindi avrebbero dovuto sovvenzionarlo a dovere.  Avevano la sensazione che se lasciato solo a Santiago si sarebbe potuto perdere per sempre e qualcuno a casa avrebbe poi dato la colpa a loro due.

Lo sfortunato  inizio di questa avventura avrebbe potuto semplicemente rovinare tutto il viaggio se fosse capitato a chiunque altro, ma così non avvenne grazie al carattere aureo del camminatore che aveva un sacco di difetti ma in quanto a capacità di sopravvivenza era meglio di Rambo.

Ma chi era il camminatore instancabile e pure un poco sbadato?   Perche i due umarelli si preoccupavano tanto per lui?

Era apparso dal niente un estate del 1969: il ciclista imperterrito lo aveva scovato fra i banchi di scuola dell’Istituto Pacinotti e, come  farebbe un talent scout di cantanti o di calciatori, lo aveva reclutato intuendo sotto quella scorza grezza di campagna  il seme del fuoriclasse.

Quindi se lo era portato dietro e, garantendo per lui, lo aveva inserito facendolo passare prima dalla squadra di hockey per vagliarne la adattabilità alle cazzate strutturate e poi, viste le grandi prospettive,  lo aveva introdotto nel cerchio magico dei fedelissimi del sabato sera.

Fu un colpo di classe del talent scout perché l’impatto sul gruppo di vecchi amici fidati fu devastante al punto di ribaltare gerarchie, ordine, modi di fare e abitudini e soprattutto portò in dono l’allegria.

Era come aver scoperto Maradona e averlo messo sotto contratto gratis e fu un contratto a vita perché mai tradì la compagnia e sempre, come in questi giorni appena passati, dava il meglio di ciò che potesse.

All’inizio qualcuno lo prendeva bonariamente in giro perché era un po’ disadatto e ruspante, portava un folto cesto di  capelli e l’abbigliamento rustico e si muoveva scomposto, poi ne scoprirono le molte qualità del carattere che non esito ad elencare.

  1. era fedele: non dimenticava e non tradiva, c’era quando le cose non andavano bene per lui o per gli altri. Era lì per battesimi, matrimoni o funerali, specie se c’era da scroccare un pasto, insomma c’era sempre, quando ci voleva e anche quando non ci voleva, e non si sa come facesse. Non si nascondeva quando c’era da soffrire e non si vergognava delle sconfitte
  2. era divertente, imprevedibile, naif, surreale, cameratesco, frivolo
  3. era bugiardo: di quei bugiardi che raccontano frottole, balle, invenzioni assurde per raccattare donne, per farsi belli con gli altri, per emanciparsi, per sparare cazzate a raffica. Mai credergli al primo colpo
  4. era forte: ti cingeva le spalle con le braccia e stringeva, stringeva fino a levare il fiato e con la scucchia ti premeva sui polmoni fino a farti uscire tutta l’aria di dentro, fino a sgonfiarti in uno stritolamento totale da anaconda. Non era molto piacevole a dire il vero, ma questo era il suo abbraccio fraterno !
  5. era creativo: improvvisava frasi, infilava canzoni, idiomi, gesti con fantasia surreale
  6. era generoso: eccome se era generoso, ricordo quando ….. si quando ..…una volta ….. si una volta che si portò una torta, eravamo ospiti di una famiglia in campeggio,  e se la mangiò tutta lui e si fece una figura di merda, e poi …. ah, un’altra volta che tirò fuori un  prosciutto in casa dei genitori e noi glielo finimmo e lui si incazzò come una biscia. Tralasciamo che non  dava mance perché i soldi servivano a lui, però almeno tre o quattro volte negli ultimi quaranta anni aveva portato funghi o castagne agli amici, eccome! e poi ogni volta che poteva  faceva pagare gli altri. Insomma era di una generosità ……spiccata 
  7. era simpatico: anche se …..stancava da morire perché non smetteva mai di essere se stesso e dopo un po’ non ci si faceva più a reggerlo
  8. era intonato: cantava “Evribodi stokkin else o miliakof ommamaiiii” , oppure “Ma se quel sasso butti via, tu devi darlo solamente a meeee”
  9. era un vero lavativo: parolaio da non prendere sul serio, debordante ed eccessivo
  10. era un dialettico: nel senso che improvvisava dialetti di tutta Italia, isole comprese
  11. era un ecologista convinto: o almeno si dava arie di esserlo e si infervorava su questa cosa, più che altro gli piaceva pensare di combattere questa battaglia sulla quale in pochi lo prendevano sul serio
  12. non era permaloso, cioè era permaloso ma non con gli amici che a volte se ne approfittavano 
  13. non giudicava nessuno degli amici: in compenso giudicava  tutti gli altri e certe volte se la prendeva a caso con gli impiegati dell’anagrafe o dell’Usl senza alcun motivo 
  14. era la spalla ideale: se gli si diceva  “Atanaua” rispondeva immediatamente  “Akita Tara” e queste cose nei rapporti umani contano molto
  15. diceva “A Fra, fatti dà un milione  e va a Viareggio” che piaceva tanto al ballerino
  16. era genuino, diceva sfondoni col sorriso e passavano per battute
  17. era un buon padre: premuroso e giocherellone, severo nei rari casi in cui era stato necessario, sicuramente il suo frutto migliore  
  18. era modesto, cioè no, non era affatto modesto perché diceva “Io song n’albero dove tu non te poi arrampicà !”
  19. piaceva alle donne anche se gli amici si erano sempre domandati come ciò fosse possibile e, comunque, era molto meglio averlo come amico che come marito
  20. era resiliente, perché questa cazzo di parola è spuntata dal nulla un paio di anni fa e ora bisogna citarla da qualche parte anche se non c’entra sennò non siamo attuali, così diciamo pure che  era resiliente e vedete un po’ voi cosa significa 

Sfido chiunque a trovare venti qualità per un qualsiasi essere umano o quasi. Beh aveva anche tanti difetti non è che fosse una specie di miracolato della natura, però ci faceva dire con convinzione:

“Qual è il migliore amico dell’uomo? “

“Illo!”

Per questo i due omarelli non lo avrebbero abbandonato al suo destino, dove lo trovi un altro così !

continua…

Tre umarell… – 20° Noveno dia: descanso a Santiago

Il giorno di descanso ovvero di riposo a Santiago fu diviso in due sottogiorni: il mattino fu dedicato  a prendere la messa, visto che il giorno precedente non era stato possibile, e a fare acquisti di ricordini (recuerdos), il pomeriggio a prendere un auto a noleggio per recarsi a Finisterre il giorno successivo.

La mattina tornarono in piazza della Cattedrale, ma il tempo era cambiato, piovigginava e  non c’era l’atmosfera magica del giorno precedente e considerarono quanto fossero stati fortunati a beccare un giorno di sole in mezzo a una settimana cosi cosi.

Tentarono di prendere la messa alla chiesa di San Fiz de Solovio, da non confondersi  con  San Spritz degli Aperol,  come era stato indicato con precisione da un prete del Santuario e segnalato da tutti i cartelli informativi, ma la messa non c’era e la chiesa era chiusa, chiesa-chiusa era un cambio di vocale da settimana enigmistica che nessuno degli umarelli notò perché non erano ridotti così male. Evitando di tirare eresie che sarebbero state fuori luogo,  dovettero tornare alla chiesa di San Francesco dalla quale erano stati respinti il giorno prima perché portavano gli zaini. Alla messa di mezzogiorno c’era un pienone di pellegrini e di turisti e il prete faceva come fanno nei grandi locali notturni di Parigi come il Lidò  “Ci sono pellegrini che vengono dal Canada?“ e alzavano la mano quelli che venivano dal Canada “Ci sono pellegrini  dall’Olanda”  e alzavano la mano gli olandesi “dall’Italia?”  e loro alzarono la mano. Fu una bella cerimonia ma in Cattedrale sarebbe stata tutta un’altra cosa. Dopo ci andarono in Cattedrale  per il tradizionale abbraccio al santo perché quel percorso era agibile.

Sopra l’altare della Cattedrale c’è il sepolcro e la grande statua di San Giacomo rivestita da una lamina d’argento. Dietro l’altare, sulla sinistra, c’è una scaletta che permette di accedere alle spalle della statua: di lì si scende per altri scalini dall’altra parte dell’altare.

E’ tradizione pellegrinesca abbracciare la statua sussurrando al suo orecchio l‘antica frase medioevale “Raccomandami a Dio, amico mio” e questo fecero i nostri umarelli e ognuno aggiunse i propri buoni propositi.

Poi si recarono nella cripta alla Tomba dell’Apostolo dove i pellegrini di ogni epoca giungevano con la richiesta del perdono delle proprie colpe e ognuno di loro tre laicamente o religiosamente fece le proprie riflessioni e si guardò dentro senza timore.

A pranzo andarono al’Ospederia  San Martin Pinario proprio dietro la Cattedrale per scoprire questo bell’albergo a poco prezzo infestato dai preti. Da tenere in considerazione per le prossime, se mai ci saranno, gite a Santiago, poca spesa molta resa.

Naturalmente si fermarono  anche loro a farsi le foto con le signorine del parco, le statue colorate e simpatiche che raffigurano due anziane signore. Ogni scusa era buona per ridere.

Il pomeriggio era previsto il noleggio di un auto perciò andarono all’aeroporto e si presentarono alla Europcar belli convinti a noleggiare una honda civic che gli avrebbe portati a Finisterre.

Senonchè la signorina che stava lì apposta a noleggiare pretendeva una cifra spropositata e ingiustificata, non è che i nostri non avessero capito lo spagnolo perché la cifra era proprio scritta nera su giallino, e allora dissero ad alta voce  “Sucatecelo  voi e le vostre macchine di merda!” e lo dissero in italiano affinché non capisse perché è sempre meglio essere cortesi con le signorine che lavorano mentre loro erano in giro per il mondo a non far nulla.

Quindi risalirono sullo stesso autobus che li aveva portati li e stava ancora in sosta e all’autista parve una cosa strana, ma nessuno gliela spiegò.

Quella mattina il ballerino passeggiando per la città aveva preso un volantino della gite organizzate di quelli che vengono distribuiti ai turisti e immediatamente accartocciati e gettati nel primo bidone per rifiuti. Stranamente non lo aveva buttato, come se fosse una premonizione e adesso quel volantino fu ritirato fuori tutto spiegazzato, esaminato e divenne la soluzione perfetta per fare un bel giro  a Finisterre e in molti altri posti

Gli umarelli  furono  contenti perché farsi  scorazzare in tour organizzato e con una guida era proprio quello che ci voleva per salutare Santiago e la Galizia. Il ballerino di liscio fece un figurone quando telefonò al tour operator per fissare e combinò tutto speditamente perché gli altri non sapevano che l’altro parlava correttamente in italiano.

A cena andarono  alla trattoria  “Sicilia in bocca” a mangiare all’italiana. Qui ci lavorava Claudio un minuto cameriere calabrese molto cordiale che fu subito agganciato dagli umarelli che dopo dieci giorni di spagnoli avevano voglia di parlare con un connazionale. Il  forestale chiese se per caso conosceva il vice-presidente-questore-aggiunto delle foreste calabresi e naturalmente Claudio rispose  che no, non lo conosceva, anzi  non  sapeva nemmeno che esistesse una carica così altisonante in quella terra povera e dimenticata da Dio, che però la moglie di un suo cugino conosceva un autista che faceva il servizio volontario antincendi e se valeva lo stesso  ma il forestale scosse il capo deluso.  Il camminatore attaccò un lungo discorso cercando di portarlo sull’argomento dei funghi e sulla sua abilità nel trovarli nel bosco, ma Claudio mancava dalla Calabria da un bel po’ e i soli funghi che vedeva erano quelli che  portava in tavola quando erano nel menù. Il ballerino gli chiese una margherita con la bufala e quello fu il discorso più produttivo intrattenuto col bravo Claudio.

La pizza era fantastica perché quella era la migliore pizzeria di Spagna, questa balla stratosferica la raccontò Claudio, ma era buona davvero, così come il resto della cena. Oh bravo Claudio e bravo il pizzaiolo boliviano.

In camera procedettero al malinconico rito del confezionamento degli zaini per la partenza il ballerino seguì la tradizione che vuole che si lasci un  indumento a Santiago e lasciò in albergo i sandali e una maglietta sporca di Tavolara per la gioia delle cameriere.

Era l’ultima notte in Galizia perché quella successiva sarebbero stati a Madrid e qui la cosa stava assumendo un piega del tutto inattesa in quanto andava  rapidamente prendendo forma la cazzata perfetta, quella che avrebbe messo alla prova definitiva  la resistenza dei nostri umarelli e avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile per quelli di città,  in particolare per gli atri tre rimasti a casa: la notte successiva l’avrebbero passata in aeroporto alla diociliberi !

continua …

Tre umarell… – 19° Optavo dia: la maravilla de Santiago

Tutto fu perfetto quel giorno, e se lo meritavano proprio.

La giornata era tiepida e finalmente non piovve, anzi spuntò un sole sempre più deciso che li accompagnò fino in Plaza del Obradorio e rimase con loro fino al pomeriggio.

Era subentrata una armonia totale: il ballerino aveva ottenuto il suo scopo, era stato da solo abbastanza per desiderare  di rientrare in gruppo, il camminatore si dimenticò per un giorno i problemi di soldi, e il vecchio forestale ebbe il suo regalo più desiderato: arrivare alla cattedrale di Santiago la mattina del compleanno. Erano in pace con se stessi e col mondo e si godettero  ogni momento di quella splendida giornata.

L’ultimo tratto del loro cammino fu breve e tranquillo, pochi chilometri li dividevano ormai dalla meta e furono fatti in leggerezza. Entrarono in città e passo dopo passo saliva l’eccitazione dentro di loro, la voglia di arrivare, di vedere la piazza, di chiudere quella avventura. Aumentavano di numero i pellegrini lungo  la strada e via via che si avvicinavano al centro città aumentava la gente e i turisti e la frenesia di andare e muovere gli ultimi passi insieme come avevano promesso. Dimenticata la fatica, i piccoli scatti di nervoso e le piccole fraterne incomprensioni.

Arrivati in piazza li accolse la meraviglia della Cattedrale e fu un momento di commozione profonda condiviso con coloro che alla spicciolata arrivavano dopo di loro e volgevano stupiti lo sguardo in alto verso le guglie. Era uno spettacolo magnifico  e magnifica era l’atmosfera che si creava e si rigenerava di continuo fra  pellegrini di tutto il mondo che si scambiavano saluti e fotografie e sorrisi. Non avevano osservato le regole del pellegrinaggio: il silenzio, la solitudine, il nascondimento, la sobrietà alimentare, la meditazione del Vangelo l’ Eucarestia quotidiana eppure si sentivano in pace con se stessi e con tutta quella gente.

C’era felicità e pienezza nella piazza e loro la percepivano appieno. Era quello che cercavano  in quel viaggio, quello che  aspettavano e che speravano e che comunque li colse di sorpresa. Valeva veramente la pena di faticare tanto per essere lì in quel momento.

Per ritirare la Compostela c’era da fare una coda come all’INPS, ma qui era tutto  perfettamente organizzato. Nella  “Oficina del peregrino”, il luogo più conosciuto dai pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo, si ritira il numero e si aspetta. I nostri umarelli ignari non pensavano che ogni giorno venissero staccate oltre 1.500 compostele  per altrettanti pellegrini e che ci fosse  da aspettare in coda tre ore, ma ne approfittarono per andare un po’ a zonzo sempre con gli scarponi e gli zaini che quel giorno sembrava  pesassero di meno. Erano simboli importanti perché ebbene si, anche loro erano pellegrini camminatori, avevano fatto la loro parte, una piccola parte, ma l’avevano fatta e erano lì  a pieno titolo come gli altri, quelli forti, giovani, ardimentosi che si erano sciroppati ottocento chilometri dormendo negli ostelli cucinando da soli la propria cena e lavandosi le mutande un giorno si e l’altro pure.

In questo posto si incontravano persone che già si erano trovate lungo il percorso chissà due tre volte magari quattrocento chilometri più a est, forse quindici giorni prima e avevano condiviso un pasto, un chilometro o una serata al chiaro di luna davanti a un ostello o nella piazza di un piccolo villaggio sconosciuto. Si ritrovavano  e si abbracciavano lanciando grida di giubilo in tutte le lingue del modo “Olaaaa, amigo, como estes” “Very well, thank you” e giù pacche sulle spalle e abbracci e grandi feste.

Anche i nostri umarelli fecero finta di essersi ritrovati  e si correvano incontro e si abbracciavano e mettevano in scena  quella pantomima “Ma guarda te chi si vede!”  “ Oh come tu stai !”  “ Ma chi l‘avrebbe mai detto !” tanto per prendere un poco per il culo gli stereotipi, perché si percepiva nell’aria di Santiago un poco di esagerazione e a una certa età bisogna anche provvedere a smitizzare queste manifestazioni del pellegrino viandante cittadino del mondo un-sacco-bbello che si presenta con la barba lunga mezzo metro un cappellaccio di paglia e un bastone di legno carico di conchiglie e saluta a destra e a manca come se fosse il depositario della vera essenza del viaggio spirituale.

Perché al di là degli abbracci dei sorrisi, delle cameratesche riunioni ognuno percorre il suo cammino, la sua strada da solo nella propria anima e nella propria testa e cosa si cela dietro ai sorrisi e alle risate non lo sa nessuno, e il resto non sono che sceneggiate.

“Non è abbastanza fare dei passi che un giorno ci condurranno alla meta, ogni passo deve essere lui stesso uno meta, nello stesso momento in cui ci porta avanti.” (Johann Wolfgang von Goethe)

Visto che c’era tempo tornarono  nella Plaza del Obradorio, che poi vorrebbe dire laboratorio,  e si sedettero a terra come fanno i pellegrini veraci e si godettero il sole del primo pomeriggio e finalmente sciolsero tutte le tensioni del viaggio e si godettero lo spettacolo. 

Non parlarono molto, ripensarono ai loro amici a quelli che c’erano stati un tempo e non c’erano più per tanti motivi anche se non erano morti e qualcuno lo era per davvero. Si chiedevano:  chissà cosa avrebbe detto Rube con quella vocina acuta, o forse neppure sarebbe venuto se non c’era da andare a caccia, e chissà su quante pellegrine olandesi o tedesche avrebbe fantasticato Sandrino, e quanta fatica avrebbe fatto il Capannoni se avesse portato il fascio littorio a tracolla e se Zizi avrebbe dormito da solo perché non si fidava o con uno di loro e se il Samba … se il Samba fosse stato un po’ meno Samba,  e se questo e se quell’altro. Amici comuni e ognuno poi pensando ai propri vecchi amici di infanzia, compagni di scuola, di giovinezza, inutile ricordare i nomi, tanti nomi, tante persone che avevano attraversato la vita dei nostri umarelli perché in settanta anni di occasioni per fare cose insieme ce ne erano state tante e loro non  erano mai stati chiusi in loro stessi.

Magari sarà cambiato e non si riconoscerebbe nemmeno“

“ ….. su questa strada, te lo immagini con gli scarponi a camminare tutto il giorno ?”

“ E poi chissà se sarebbe venuto “

“Se si ricorda ancora di noi….”

Un poco di ognuno era nei loro cuori, più dei familiari  perché quella era stata una storia di amicizia da loro voluta e da loro vissuta

E il ballerino di liscio  ripensò a quando in quella stessa piazza era arrivato da pellegrino con  moglie e figli, diciannove anni prima, e comprese che non era stata la medesima cosa. Sembrava una vacanza allora, faticosa, ma vacanza in famiglia e non c’era stato il tempo e l’occasione per stare  in solitudine, per pensare a se stesso e non agli altri o forse era solo più giovane e ancora non capiva l’essenza che nasconde questa esperienza.

Chiamarono gli omarelli che erano rimasti a casa perché volevano che sentissero la loro gioia, la loro pienezza di sentimenti,  che in qualche modo ne fossero partecipi, afferrassero un poco di quella atmosfera magica e irripetibile che ti coglie quando si arriva  a piedi in piazza dopo aver camminato per giorni,  con gli  scarponi ai piedi e gli zaini in  spalla,  assieme a tanta gente che ha fatto la stessa scelta, lo stesso viaggio ognuno a suo modo, ognuno con le proprie motivazioni e le proprie fatiche ma tutti magicamente accomunati in quel giorno, il loro giorno, in quel luogo, il loro luogo. Domani ci saranno altri pellegrini che arriveranno nella stessa piazza e l’emozione si rinnoverà  d’accapo e dopodomani  ancora e sempre ogni giorno dell’anno, dal flusso incessante in estate ai pochi che magari in una mattina di pioggia fredda di dicembre saranno qui e proveranno la medesima ineffabile contentezza d’animo.

Ma oggi questa piazza è tutta per loro.

Il vecchio forestale festeggiò il compleanno portando a cena i suoi due compagni di viaggio e lo fece al ristorante Ribadavia perché c’era già stato anni prima e pensava che ricordarlo  al proprietario fosse un buon sistema per accattivarselo. Il proprietario non poteva certo ricordarsi di quel cliente fra migliaia,  ma fu cortese lo stesso e presentò una cenetta ottima a base di paella e polpo tanto per cambiare. Bevvero birra e sidro che non era il sidro che ricordava il forestale ma una bibita gassata indecorosa in bottiglietta che lo lasciò profondamente deluso.

La magnifica giornata non poteva che concludersi  in piazza della Cattedrale, in una serata tiepida di autunno con la Tuna de Derecho de Santiago che suonava i pezzi classici del repertorio di lingua spagnola e regalava ancora un’emozione per la gioia dei pellegrini che qui si ritrovano come ogni sera a cantare e danzare.

Ma cosa è la Tuna ?

La  “Tuna”  è una fratellanza di studenti universitari che indossano una combinazione di vestiti rinascimentali  e grandi mantelli decorati e che interpretano temi musicali del folklore americano e ispanico. E’ una tradizione legata fino dal  tredicesimo secolo alle storie delle università spagnole e degli studenti meno abbienti che si pagavano il mantenimento agli studi suonando per le strade e le taverne.

La  “Tuna de Derecho”  altro non è che la fratellanza della facoltà di Diritto, ce n’è una per ogni  ateneo quindi anche Santiago ha la propria come esistono a Madrid, Salamanca e nelle altre sedi universitarie e ovviamente si hanno Tuna de Medicina o Ingegneria  e chissà forse c’è anche una  Tuna de Agrario-Forestal .

La Tuna cantava Guantanamera, Malaguena Salerosa, Cielito Lindo,

“De la sierra, morena
Cielito lindo, vienen bajando
Un par de ojitos negros, cielito lindo
De contrabando

Ay, ay, ay, ay
Canta y no llores
Porque cantando se alegran
Cielito lindo, los corazones”

e i nostri tre amici che avevano perduto ogni sensazione di stanchezza e avrebbero voluto che quel giorno non finisse mai, seguivano la melodia ondeggiando la testa e cantavano anche loro e ballavano con turiste sconosciute e percepivano l’essenza di quel momento unico, ora, qui, in piazza, in quel giorno fantastico nel quale si chiudeva un cerchio che proprio loro avevano aperto un anno prima, come la fine di una fantastica avventura che si erano regalati a settanta anni.

La notte, dentro i loro cuori, nel brutto alberghetto che si chiamava  B-Nor, un pensiero li accompagnò con dolcezza verso il sonno “ Buonanotte Santiago, non ti dimenticherò mai” .

continua …

Tre umarell… – 18° El septimo dia: da Padron a O Milladoiro

La prima cosa da verificare al mattino successivo erano le condizioni della gamba del camminatore indefesso: accertato che non aveva più dolore e che quindi non trattavasi di flebite ma di falso allarme il ballerino fece su i suoi bagagli e disse “io vo !”

La situazione si era talmente evoluta che il vecchio forestale anziché brontolare rispose semplicemente “Buen camino”, e tutti vissero felici e contenti.

Il percorso previsto per quella giornata non era particolarmente  significativo perché era solo una tappa di avvicinamento alla meta, l’idea era  quella di arrivare vicini  a Santiago per poter entrare in città trionfalmente il giorno successivo 2 di ottobre quando ricorreva il compleanno del forestale in pensione.

Anche le minime tensioni tra gli umarelli erano scomparse e quindi fu un cammino in tutta tranquillità punteggiato da un poco di pioggia e da salite taglia gambe che fecero numerose vittime fra i pellegrini più attempati.

Lasciata Padron si aprì un bel percorso sotto un cielo nuvoloso, c’erano molti più pellegrini dei giorni precedenti, si vedeva che stavano avvicinandosi alla meta o forse alcuni  percorrevano solo gli ultimi chilometri perché c’era fitto di gente che camminava. C’erano anche comitive di anziani vestiti con impermeabilini corti gialli tutti uguali e con cappellini similari. Erano gite organizzate di pellegrini che facevano un percorso misto piedi-pulman molto interessante. Queste gite scaricavano i pellegrini all’inizio di un sentiero e li riprendevano un po’ di chilometri dopo per fare un  tratto in autobus  e poi daccapo scaricarli e risalirli e cosi via. Era una comoda barca di appoggio molto utile e rinfrancante e questi anzianotti provenienti da Barcellona o da Valencia quando avevano il tragitto a piedi erano scattanti e ridanciani, sembravano caricati a molla e sorpassavano i nostri umarelli gravati dal fardello sulle spalle,  loro belli leggeri senza nulla, al massimo un bastoncino di frassino, e dicevano “Buen camino” oppure  “Ola, buenos dias. Nosotros venimos da Barcelona” e i nostri rispondevano “Bella Barcellona e noialtris venimos da Firenzes, forza Messi !” perché oramai avevano imparato la lingua alla perfezione.

Gli organizzatori della gita poi gestivano le credenziali dei gitanti, le custodivano e andavano a farsele timbrare in blocco nelle chiese o negli ostelli per conto di tutti rovesciando  cinquanta o sessanta documenti sul bancone.

Veniva un dubbio su questi pellegrini a metà: se fosse legittimo o meno certificare il loro cammino in buona parte fatto comodamente in pulman, ma poi i nostri umarelli che erano comprensivi per natura, essendo stati allevati democraticamente nella batteria della casa del popolo, pensavano che la fede, che si trattasse di  San Giacomo o di Lenin, non ha bisogno di riconoscimenti o timbri (sellos) o compostele (compostele) per essere sincera e quindi la documentazione era qualcosa in più e forse di troppo e si andava perdendo o si era già perso il significato di quel viaggio di cristianità.

In effetti la faccenda con il tempo assomigliava sempre di più a un trekking organizzato, a una sfida di resistenza con se stessi e con gli altri, a un cimelio da esibire al ritorno  a casa  e sempre meno a un percorso religioso.

“Ma chi sono io per giudicare gli altri ?“ diceva uno degli omarelli  citando il Vangelo e Papa Francesco dando il via a una classica discussione umarellesca.

A me questo Papa piace perché è genuino “ diceva uno  “ “Vero, e poi si chiama Francesco” rispondeva un altro “A me non piace la chiesa perché sono ricchi sfondati e farebbero meglio a pigliarsi un po’ di marocchini anche loro” rispondeva  il terzo  mischiando un po’ di luoghi comuni e di percorsi religiosi interiori complessi.

“Per me la preghiera è guardare la natura“  diceva il camminatore flebitico “Facile lui ! e allora io prego a guardare la Juve” rispose un altro ”specie in cempions” gli ribattevano. “Troppo facile ! e se si dicesse un bel rosario nel frattempo ?  che vi farebbe altro che bene” riprendeva il ballerino che aveva la patente di cattolico osservante perché andava a messa tutte le domeniche. “Il rosario non l’ho mai sopportato fin da piccino quando lo dicevano a casa mia  e io dovevo star li ad ascoltare” .

“Ma allora è troppo facile, si fa come cazzo ci pare e poi quando si ha bisogno si dice madonnina, madonnina mia” diceva il ballerino “Facile una sega ! – ribatteva il camminatore irritato  – “ intanto Sant’Antonino pio non mi ha fatto ritrovare il portafogli, guarda un po’ ! “e di fronte a questi ragionamenti non c’era più discussione. Bisognava tenersi ognuno la propria gradazione di fede e sperare che fosse quella giusta.

A un certo punto il sentiero costeggiava la ferrovia e faceva venire in mente  i ragazzi di “Stand by me”, il film,  perche anche loro erano un manipolo di ragazzi un tantinello cresciuti  legati da amicizia e passione che andavano a scoprire  cosa c’era al di la delle loro comode consuetudini.

Ci furono da fare anche alcuni attraversamenti di strade pericolose e trafficate, in effetti questa parte si intrecciava un po’ troppo con la statale. Peccato perché il paesaggio era bello. Poi il  cammino si infilò in una serie di stretti vicoli di paesetti e borgate caratteristiche, si vede che chi aveva tracciato il percorso  voleva far rivivere quei borghi un po’ dimenticati, fu molto bello passare fra le viuzze dove  c’erano molti  dei caratteristici granai galleghi. E qui merita una piccola divagazione culturale :

“Si chiamano  hórreo che in galiziano significa granaio e la parola deriva dal latino “horreum”. È una caratteristica costruzione antica in pietra a forma di capanna, poggiata su pilastri anch’essi in pietra  rialzata rispetto al livello del campo e decorata con croci e altre sculture che le fanno confondere per cripte sepolcrali come credevano anche i nostri umarelli. Si tratta invece di semplici granai o di depositi di attrezzi per i pescatori. È praticamente certo che queste strutture abbiano le loro origini in un passato molto lontano, un tempo che risale ad ancora prima dell’arrivo dei romani e di altri conquistatori. Sono state trovate fonti contenenti descrizioni di hórreos che risalgono a diversi secoli prima di Cristo, ma è probabile che essi siano antecedenti agli stessi scritti. Sebbene vengano identificati con la regione della Galizia e con altre parti del nord della Spagna e del Portogallo, antichi capanni rialzati somiglianti agli hórreos sono stati trovati in altre parti d’Europa lontane tra loro come Inghilterra, Norvegia, Svizzera, i Balcani, indicando quindi che questo degli hórreos non è un fenomeno isolato.

Mentre alcuni hórreos sono fatti in legno quelli più tipici sono in pietra. Eretti su pilastri per evitare l’entrata di roditori, e aventi pareti con fessure che consentono la ventilazione

Fine della divagazione storico-culturale.

A Escravitude il ballerino che giocava d’anticipo visitò la cattedrale e si fece apporre il timbro sulle credenziali da un cappellano annoiato che stava alla scrivania della sacrestia  a parlare al telefono e timbrava qualunque cosa gli fosse posta sotto. Poi ci fu la salita e riprese a piovere leggermente. Il ballerino perse di nuovo la strada perché viaggiava con la testa fra le nuvole e dovette tornare a riannodare il filo del sentiero. Al termine della salita dopo il villaggio di Picarana stavano  piazzati una serie di ristori in attesa dei pellegrini affamati. Fatalmente  tutti  si fermavano al primo baretto sovraffollato senza sapere che dopo la curva ce ne erano un altro paio semivuoti e anche più carini, ma si sa la posizione paga. Fra  salite e discese comparve finalmente il sole e il ballerino con il cuore lieve sbagliò strada ancora una volta e fu solo grazie al navigatore satellitare che aveva sul cellulare che più a monte riuscì a congiungersi al cammino originale perché stavolta era finito proprio nel pallone. Si trattava senza dubbio di un dono naturale quello di perdersi, riusciva a farlo un po’ dappertutto anche in luoghi conosciuti, figuriamoci lì sul cammino e da solo, ma sopportava con rassegnazione perché viaggiare a caso e sovrappensiero gli era sempre piaciuto.

L’ultimo pezzo fu ancora una salita non ripida ma lunghissima che sfiancò specialmente  il vecchio forestale e un paio di viaggiatori inglesi di una certa età che parevano reggere l’anima coi denti e facevano due passi avanti e uno indietro.

Arrivati alla periferia del paese di O’ Miladoiro finalmente si ricongiunsero ed andarono a cercare il bilocale che avevano prenotato al mattino.

Questo paese è ben strano: seguendo le frecce gialle del cammino si percorre una larga strada di periferia che costeggia  la chiesa, l’ostello e il supermercato e tira dritto per Santiago, ovvero tutto quello che serve al pellegrino e tutti quelli  che passano di lì pensano che il  paese sia tutto in quella strada.  In effetti O Milladoiro non è un consueto posto di tappa per i pellegrini perché Santiago dista appena otto chilometri  e  la meta è così prossima che praticamente tutti fanno un ultimo sforzo per raggiungerla nella stessa giornata.

Se si volta l’angolo e si fa percorrono cento metri si apre un altro mondo. Un grande e lungo viale con un traffico intenso che non si capisce da dove venga né dove vada, ai lati  negozi, bar e ristoranti, palazzi moderni, supermercati, gente. Una cittadina di 13.000 abitanti piena di piazze e parcheggi e tanti miniappartamenti, sicuramente una città dormitorio della vicina Santiago, dove si vive meglio, con più servizi e più centri benessere. Un posto fuori città dove magari i prezzi sono più bassi e la vita più tranquilla.

Fu una vera scoperta per i nostri per i quali  rappresentava solo una base di appoggio per arrivare trionfalmente la mattina dopo freschi e riposati

La sera trovarono il Piso, l’appartamento prenotato, con fatica perché il proprietario non era ad aspettarli e ci volle tutta la loro comprovata abilità dialettica per rintracciarlo. Un bilocale molto carino, moderno e funzionale, l’appartamento ideale se fosse stato a Parigi o a New York, utile per loro, ma nettamente sprecato per O Milladoiro.

Questa fu dunque una tappa di preparazione dove non accadde nulla di epico né di singolare.

Docciati e rinfrescati gli omarelli andarono al supermercato  e comprarono la cena già cotta:  pollo arrosto, patatine fritte e frittata con le patate e naturalmente la solita confezione di birre, l’alimentazione ideale degli sportivi.

Cenarono e dormirono a pancia piena senza problemi sognando il domani.

continua…

Tre umarell… – 17° La storia che inventò il ballerino di liscio per farsi perdonare il ritardo

Quel giorno il ballerino rimase indietro perché stava a ciondolare e gli altri non sapevano dove fosse e se sarebbe arrivato in tempo per prendere il battello tutti insieme.  Lungo la strada il ballerino si era inventato  la “storia di un giorno di pioggia” che aveva recitato a voce alta divertendosi un mondo e che avrebbe raccontato agli umarelli per giustificare il ritardo, ma poi non la raccontò mai per non farli arrabbiare ancora di più. Più meno diceva così.

“Non ci crederete, non ci crederete  mai a quello che mi è successo. Pioveva che dio la mandava, l’avete visto anche voi no ? e io a un certo c’avevo la mantella, poi leva la mantella perché era smesso di piovere, e poi rimettila perché aveva ricominciato, poi leva  il cappello, poi rimetti il cappello, butta giù lo zaino, metti il coprizaino, rimetti la mantella, rimetti il cappello sopra la mantella  e rimetti lo zaino e mi bagnavo, ero tutto fradicio e non ne potevo più.

A un certo punto vidi una casa un po’ sperduta, con un terrazzino sporgente e che ho fatto ? mi sono messo sotto al terrazzino aspettando che la pioggia calasse un po’. Fatto sta che mi metto lì bono bono, zitto zitto e passa un minuto, passano cinque minuti, passano dieci minuti e la pioggia non calava. Quando a un certo punto si sente aprire una porticina che era sotto al terrazzino li vicino a me e sbuca fuori la testolina di una signora mora, una signora, non lo so, su una cinquantina d’anni o quaranta.

Questa signora fa in spagnolo “Che vù facè li senor ?”

E io rispondo “Signora, non lo vede come piove ? per evitare di bagnarmi tutto mi sono messo sotto il suo terrazzino. O che disturbo ?‘‘.

E lei fa “Bueno  forestier, faceste bene. Ma con questo tempaccio grigio grigio  vi anderebbe di venire dentro a prendere un bel caffeino ?”

“Signora non mi parrebbe il vero – dissi io – perché sono veramente stanco e bagnato e la strada si fa lunga e buia”.

“Venga, venga senor,  se accomodes “

Io allora ho lasciato fuori la mantella tutta fradicia e sono entrato, però c’avevo le scarpe tutte piene di mota e ho smoticciato tutto il pavimento dell’ingresso.

“La  mi scusi signora che sto facendo un po’ di bagnato”.

“Venimos venimos – fa lei, era così spagnola che faceva effetto – venimos, adelante, venga che le preparo un bel caffeino  che lo prendo anca io. Si accomodi nel tinellos”.

“Va bene.”  

Lei va nel cucinotto e io m’accomodo nel tinello, metto giù lo zaino  e mi stravacco su una sedia a gambe larghe che non ne potevo più perche ero proprio cotto e anche bagnato.

“Senta – fa lei di là, dal cucinotto – ma insieme al caffeino che  la vorrebbe anche un cornetto o una brioscia ?”

“Mah – faccio io – signora,  se non è chiedere troppo, magari ! di cornetti ce ne sempre bisogno, non sono mai abbastanza.”

“Bene, la mi racconti un po’ “, fa lei

“Signora mi scusi la domanda, ma che ora parla in fiorentino ?”

“Nada nada, no es fiorentino, es gallegos stretto”

“Ah, va bene,  perche somigliava al  fiorentino …..comunque “

“La mi racconti un poco, la mi tenga compagnia mentre preparo la colacion ”

Allora io le dico “Sa, io vengo dal Portogallo e ho fatto tanta strada a piedi – perché la ingigantivo un po’ per darmi delle arie –  sono partito da Lisbona, poi sono arrivato a Porto e poi ora sono finalmente a una trentina  di chilometri da Santiago, però m’ha piovuto sempre addosso. E lei signora, che fa di bello ?”

“Io sono una casalingua – fa lei – perché el mi marido esta al trabajo tutto el dì, y io sto in cassa integracion porque anche in Galicia esta la cassa integracion.”

“Ostrega, non deve essere piacevole stare tutto il giorno a casa tutta sola in cassa integracion ! – faccio io – e il su’ marito che lavoro fa ?”

“Il mi marido fa el bombero”

“El bombero ? e che vuol dire ?”

“El bombero,  el bombero que quema las llamas, il pompieros come dite voi che spenge le fiamme”

“Il pompiere, ho capito,  ma senti un po’. Ma lo sa che siamo quasi colleghi”  faccio io perché a quel punto astutamente pensai di spacciarmi per un altro.

“Anca lei un bombero ?”  fa lei bevendo la tazzina di caffè, “ma che combinacion !”

“Non proprio bombero. Lei non lo sa, ma io sono stato un grande pezzo grosso della forestale. Quando avevo qualche anno di meno ero un  personaggio importantissimo e conoscevo tutti i generali, i questori, i prefetti e i marescialli. Frequentavo sottosegretari, i ministri  e tutto il ministero,  netturbini, paracadutisti degli elicotteri e anche calciatori,  cantanti, spogliarelliste e capimastro. Un po’ tutti insomma. Ero un uomo rispettato specialmente dai pompieri e molto temuto dai piromani. Insomma il suo marito è un bombero, via “

“Eh si,  es un bombero ma ……”

“Ma  cosa?” dissi io mentre inzuppavo il cornetto nel curtado, che sarebbe il caffè macchiato.

“Mah,  se le devo dire la verdad, ello spenge los incendios degli altros  e nunca se avvede di quelli de casa proprias  que son incendios anco quelli “

“Come sarebbe a dire – feci io afferrando un altro cornetto dal vassoio –  ci mancherebbe altro ! andare a spengere gli incendi degli altri e lasciare accesi quelli in casa. Questo non va per niente bene signora mia”

“Si si, esta proprio così,  estan  focolaros che manco li vede. Torna alla tarde stanco muerto e se svaca sul leton e dise:  toglimi los stivalos por favor senora,  que io soy muy stanco che ho fato pompe per tuto el die.”

A me pareva che la signora ogni tanto parlasse anche in veneto, ma avrò capito male io.

“Ma signora, questa è una cosa gravissima ! nella mia onorata carriera non ho mai lasciato  focolai accesi in casa mia,  potrebbe chiederlo alla mi’ moglie se fosse qui, ma per fortuna non c’è.”

“Proprio vero! – fece lei – Senta, già che  è un forestal  potaria venir a veder queste piantine che g’ho meso sul terrazzin che non mi fioriscono nunca mas ?  Venga,  venga.” E mi portò per mano sul terrazzino.

E così si andò sul terrazzino che prima mi riparava il capo quando ero fuori all’acqua dove c’erano dei vasi con piante spelacchiate che non sapevo proprio cosa fossero perché so una sega, non sono mica un forestale io.

“Guardi qui, badi là, vede come sono secches “ diceva lei senza mollare la mia mano

“Forse bisognerà metterci un po’ di concime”  feci io tanto per dire

“Cosa es el concime ?”

“Il concime è il nutrimento, a queste piante manca il nutrimento” sparai

“Lo sapevos, lo sapevos, in esta casa manca el nutrimiento, todos les creatures son sfiorites  e todos los flores son apasidos – disse proprio così davvero – guardi qua come soy apasita pure me, poareta”

E si chinò prona in una postura propizia a cattivi pensieri e anche disdicevoli azioni.

Come fu, come non fu, mi si accese il simbolo lampeggiante dell’eros sul polso come a Supersex  di quando s’era ragazzetti e si leggevano i giornalini sporchi e a quel punto mi ricordai di quando avevo esercitato e feci quello che andava fatto presto e bene, anzi, più presto che bene

“Ifis cen cen, Ifis cen cen  ora ti acchiappo bella spagnolita  “ feci, e le zompai addosso

“Soy toda tuya, tu es mio bombero”

“Forestale” feci io mentre mi davo da fare “non pompiere, non confondiamo”

“Allora Soy toda tuya, tu es mio forestal”

E in quattro e quattr’otto si fece quel che si doveva fare, sapete di cosa parlo se ancora ve lo ricordate, fra il tinello e il terrazzino. 

Insomma quando tutto fu finito dissi “Grazie senora ……, ma como te chiami ?”

“Esmeralda De la Vega, chiedimi l’amicizia su Facebook,  fece lei e tu come t’appel? “

“Ugo” feci io.”

Alla fine rimisi in spalla lo zaino e mi avviai alla porta quando la signora  mi fa

“Ugo, Posso chiederti un favore, mio bombero ?”

“Forestale” feci io “non pompiere”

“Senti mio forestale,  Ughino, stranamente mio marito stamani mi ha lasciato senza contante e devo fare la spesa. Non avresti mica un 50 euro che devo andare al negozio qui vicino, poi te li rendo quando ripassi”.

E io dissi “Ma,  scusa,  come mai ora parli in italiano così bene ?”

“Ti devo confessare che ho passato molti anni a Vicenza a fare la bella statuina e ho preso qualche inflessione di lingua.”

“Beh, sarà meglio che tu abbia preso qualche inflessione di lingua piuttosto che qualche infezione.” Feci io e sganciai i 50 euri un po’ a malincuore, in effetti per un caffè macchiato e due cornetti mi parevano un po’ troppi.

Poi mi rimisi in cammino e fortunatamente  pioveva di meno e feci la strada tutta d’un fiato per non fare ancora più tardi ed ora eccomi qui. Ecco perché ho fatto tardi, questa è la pura verità che ci crediate o meno.

Siete contenti ?”

Questa è la registrazione originale fatta durante il cammino


continua …

Tre umarell… – 16° El sexto dia: da Ribadumia a Padron

Poiché erano un poco fuori rotta la gentile signora Luisa della locanda  fece con la penna uno scarabocchio per indicar loro la strada da fare fino al ricongiungimento col cammino. Ci teneva a farli passare dalla chiesa e dai quattro mulini (los cuatros molinos) come fosse una guida turistica, era orgogliosa del suo paesello. “Lo vedete questi, sono orgogliosi  del loro paese non dicono che sono di Firenze e gne gne gne “ faceva il ballerino agli altri, “imparate dalla signora Luisa” .

Era la strada enfaticamente detta della pietra e dell’acqua, in spagnolo suonava molto meglio “La Ruta de la Piedra y de l’Agua”,  cioè un bel sentiero lungo il fiume che scendeva verso il mare. Fu una bella camminata e ci fu anche quella volta la pioggerella fastidiosa che ogni tanto faceva fermare il gruppetto e mettere a terra lo zaino, indossare gli impermeabili e rimettere in spalla lo zaino, dopo cinque minuti fermare il gruppetto e rimettere a terra lo zaino e  togliere gli impermeabili e così via, togli e metti, metti e togli, carica e scarica tanto per fare sollevamento zaini e procurarsi fitte alla colonna vertebrale delle quali se ne riparlerà nei prossimi mesi a casa alzandosi dal letto chiedendosi come mai ci farà tanto male la schiena.

Il vecchio forestale era più tranquillo perché, superata quella tappa di Ribadumia da allora in poi non sussisteva più il dubbio di dove pernottare: tutto prenotato come nei migliori tour organizzati.

Quel giorno la tappa si divideva in due fasi diverse e molto interessanti: la mattina bisognava arrivare sul mare a Villanova de Arousa perché alle 14 sul moletto della stazione marittima  di Julio Camba  ci sarebbe stata  la signora Cristina, o chi per lei, della compagnia Amare Turismo Nautico che nel pomeriggio con un motoscafo li avrebbe portati fino a Padron risalendo l’alta marea del  Rio de Arousa e del Rio Ulla.

Nella mattina accadde di nuovo che il ballerino di liscio si staccasse dagli altri e procedendo con il suo passo spensierato accumulasse ritardo e una beata leggerezza che lo portarono a sbagliare strada un paio di volte e a percorrere un chilometro in più. Quando si accorgeva che non c’era più nessuno intorno a lui e che non comparivano più i segnali con le frecce per Santiago si fermava un poco stupito e si chiedeva dove avesse perso il sentiero. A quel punto non c’era altro da fare che tornare indietro con rassegnazione e come Pollicino ritrovare le indicazioni. Tanto di energia da buttare ce n’era da vendere !

A un certo punto la pioggia si fece un po’ più insistente e dovette fermarsi sotto il terrazzino sporgente di una casa di campagna, fu ripartendo da lì una delle volte che sbagliò percorso.

Stette una mezz’ora in attesa che le cose migliorassero e intanto fantasticava storie che gli tenessero compagnia e ne immaginò una in grado di giustificare il ritardo che avrebbe accumulato dagli altri, una storia inverosimile che lo divertì assai perché la recitava a voce alta e che incise sul registratore portatile che aveva con se proprio per fare queste cose scemarelle.

Intanto gli altri due procedevano con il loro ritmo con il camminatore paziente  impegnato a placare l’ennesima incazzatura del vecchio forestale che continuava a interpretare questi distacchi del ballerino come un tradimento e un’offesa personale. Si era innervosito a tal punto che iniziò a trattare il camminatore come fosse l’attendente dei bei tempi che furono e lo incitava, lo redarguiva, lo riprendeva di continuo dandogli sulla voce e esercitando tutta l’autorità dovuta al suo grado di vecchio pezzo grosso della forestale.

L’altro, che di indole era accomodante, sopportava e sgobbava  e faceva davvero quello che gli veniva ordinato, salvo ogni tanto, ma proprio tanto, sbottare con discorsi tipo “Oh coso ! chi ti credi di comandare ? Ho settant’anni io e non mi comanda nessuno sai “ e ripeteva la storia di quella volta da militare quando si ribellò al sergente, o al caporale o al capitano non si ricordava il grado, perché si approfittava dei più deboli della compagnia  e pronunciò le famose  storiche parole “Li lasci in pace loro che sono ignoranti, se la prenda con me se ha coraggio !” e il sergente, o maresciallo o tenente,  se la prese effettivamente con lui e lo cacciò in gattabuia e poi lo  fece trasferire a Palmanova – Friuli in un casermone di fanti  sfigati dove fra l’altro invece dei piattoni prese una bella polmonite.

Il forestale  borbottava uno “Scusa” e cinque minuti di poi riprendeva con l’autoritarismo da caserma. Così viaggiavano in coppia saettando contro il ballerino che faceva i cazzi suoi. In effetti il forestale era un maniaco  del controllo: doveva sapere che strada fare, dove arrivare e  a che ora, dove mangiare e dove dormire, insomma era un generale che aveva necessità di una buona squadra logistica che gli desse le coordinate per  muoversi sul campo e questo fatto di un insubordinato che se andava in giro davanti o dietro di loro senza orari e riferimenti lo innervosiva tremendamente.

Il ballerino lo sapeva,  ma non lo faceva per dispetto, era proprio che non sopportava la disciplina.

Chi prima e chi dopo arrivarono al mare di Arousa e videro il magnifico spettacolo che la bassa marea allestiva per loro. Metri e metri di fondale libero, pieno di alghe, rocce e residui organici (non umani) con un cielo grigio che sembrava di essere in Belgio anziché nella ridente Spagna (olé) . Il ballerino si addentrò sulla sabbia dove la mattina c’era l’oceano e ci sarebbe stato nuovamente la sera, e raccolse piccole conchiglie da portare ai suoi amici perché non voleva che fossero arrabbiati con lui seguendo  una antica tradizione che vuole che i  pellegrini venissero proprio  qui al mare a raccogliere la conchiglia che al loro ritorno in patria avrebbe dimostrato la loro effettiva partecipazione al pellegrinaggio; per questo motivo la conchiglia divenne il simbolo dei pellegrinaggi (romerías) e dei relativi percorsi (caminos).

Si ritrovarono al molo in tempo per la barca della Amare (che non era la voce del verbo amare ma il logo della compagnia navale), il forestale era arrabbiatissimo, ma quando il  ballerino gli dette la piccola conchiglia gli sfuggì un sorriso incontrollato. Erano felici di essere di nuovo insieme.

Bene così, dunque, e bene che arrivò puntuale anche la barchetta della Amare e caricarono una decina di pellegrini che erano spuntati tutti infreddoliti dai bar del lungomare.

Il pomeriggio era piovigginoso e nebbioso e pure freddo. I nostri si bardarono con tutto quello che c’era a disposizione, maglia su maglia, su camicia su giacchetta e si accoccolarono sulla barchetta scoperta rassegnati a prendere tutto il vento possibile.

Così nella nebbia fecero il loro giro turistico di commemorazione della Translatio che poi era l’essenza di quella tanto dibattuta variante spiritual del camino.

“Translatio: Término latino con el que se alude a la legendaria traslación por mar del cuerpo del apóstol Santiago el Mayor desde Palestina a Galicia, donde recibe sepultura, dando sentido así al descrubimiento de su tumba y restos en la actual Compostela. Los diversos textos medievales que narran este hecho, todos de carácter literario, difieren en lo complementario pero coinciden en lo esencial. Al margen de algunos desajustes temporales, todos sitúan la traslación en barco justo después de la muerte del Apóstol -hacia el año 44 y en concluirla, tras una serie de peripecias que varían en las diferentes versiones, con su enterramiento en un lugar interior próximo a la actual ría de Arousa”.

La traduzione è superflua perché arrivati a questa puntata sarete oramai esperti di spagnolo anche voi come lo erano i nostri umarelli.

Il pilota della barca faceva anche da cicerone e spiegava cosa c’era di interessante da vedere di qui e di là e altre cose, per esempio come si chiama il membro virile in spagnolo o altre oscenità  perché era un tipo non formale e gli umarelli sollecitavano battute e parolacce a tutta randa.

I nostri umarelli si chiesero che tipo di lavoro fosse andare avanti e indietro sul quel fiordo tre o quattro volte al giorno  nella nebbia a vedere unicamente allevamenti di cozze e croci di pietra e convennero che ogni pane è guadagnato e intanto scattavano fotografie alla nebbia che, come è noto, non si vede.

Comunque le cose da vedere erano:

una quantità mostruosa di allevamenti di cozze

le barche che tiravano su le cozze e le pulivano

un persistente odore di cozze

le rive che però non si vedevano per la nebbia, ma di sicuro c’erano

le croci di pietra, ce n’erano diciassette, centenarie, lungo la costa o su minuscole isolette che formavano la via crucis. Erano il calvario vanto della regione “el unico via crucis maritimo-fluvial del mundo, 17 creceros centenarios que identificane este camino de Santiago  como el origen de todos los Caminos”. Sorbole !

Una barca vichinga rifatta sul modello di quelle antiche che c’entrava come il cavolo a merenda, ma una barca vichinga fa sempre un certo effetto……nordico.

Uno stormo di garruli germani selvatici che approfittavano del divieto di caccia di quei luoghi.

Un’altra imbarcazione come la loro che faceva lo stesso itinerario e con la quale si scambiavano grandi saluti in lingue sconosciute e agitavano la manina.

Del fatto che la leggenda vuole che le spoglie di San Giacomo fossero arrivate fin qui su una barca di pietra parleremo  un’altra volta, per ora sarà meglio stendere un velo pietoso.

Fine della corsa. Avevano fatto l’equivalente di 28 chilometri del tracciato pedestre, erano arrivati a Padron in orario decente e avevano completato tutta la variante spiritual avendo percorso le tre tappe in due giorni. Un successo pieno che avrebbero festeggiato volentieri con una lauta cena se non fossero sopravvenuti atri inconvenienti.

Per iniziare avevano fissato l’appartamento appena entrati nella cittadina: “Piso  ampio de tres habitaciones” diceva l’annuncio e quando arrivarono c’erano ancora i proprietari a sbaraccare biancheria e stoviglie di chi c’era stato prima. Il Piso (appartamento) era ampio, ma squallido e umido come la Bulgaria negli anni 60 e anche tremendamente maleodorante. Poi al camminatore venne male a una gamba e pensò che potesse trattarsi di flebite. Grossa preoccupazione serpeggiava fra gli umarelli che di fronte alle malattie vascolari erano del tutto indifesi.

Cosa si fa, cosa non si fa, trovarono un centro medico  grazie al loro fluente spagnolo, ma qui i paramedici  si rifiutarono di fare gli esami necessari al camminatore poiché sprovvisto della tessera sanitaria che gli avevano proditoriamente gattonato in Portogallo insieme ai soldi.

Quindi niente da fare.

Il nostro eroe stanco chiamò il suo medico in Italia per farsi fare una diagnosi impossibile  tant’è che come risposta ottenne un “Guarda come stai domani e se fa male fermati ” che peraltro era il massimo che avrebbe potuto dire per non essere radiato dall’albo.

Anche la cittadina di Padron era veramente brutta, la cosa più rilevante era “ El pedron”, ovvero Il pietrone, un blocco di pietra sul quale si andò a fermare  la barca contenente il corpo e la testa di San Giacomo decapitato da Erode Agrippa a Gerusalemme nel 44.

Padrón fu fondata dai Romani che le diedero il nome Iria Flavia allorché Flavio Vespasiano vi installò i suoi veterani e i suoi vespasiani, secondo la consuetudine di congedare i legionari dal servizio militare attribuendo loro un appezzamento di terreno dei territori conquistati.

In paese non erano rimasti né romani né vespasiani e i bisogni corporali bisognava farli nei bar,  oltretutto  non si trovava  un locale decente per la cena, allora il forestale partorì una genialata e propose una ricca spaghettata che avrebbe cucinato lui stesso con pomodoro e tonno. E così fu. Comprarono una confezione di lattine di birra come fanno gli amici nei film americani e tutto il resto all’uopo necessario  e fecero cena. Il forestale cucinava (chef de cuisine) l il camminatore faceva l’inserviente (commis)  e  il ballerino si sarebbe occupato della rigovernatura (sguattero). I compiti così suddivisi funzionarono  egregiamente e cenarono e bevvero di gran lusso in quel piso orribile.

La notte non portò consiglio ma una buona dormita che ce n’era tanto bisogno.

continua …

Tre umarell… – 15° El quinto dia: da Combarro a Ribadumia

O il giorno del tradimento.

O il giorno della libertà.

Secondo i punti di vista.

Il ballerino di liscio aprì gli occhi completamente sveglio accanto al camminatore che dormiva e dava colpi di tosse. Guardò l’orologio: le sette. Fuori ancora buio pesto. Fece mentalmente un rapida ricognizione su ciò che li aspettava quel giorno: sveglia, colazione e partenza verso il monastero di Armenteira sotto la pioggia. Ci sarebbero stati i soliti dubbi su dove dormire, la solita stanchezza, i racconti sulla forestale e le lamentele dei soldi perduti. Fatica, marcia, acqua …. Pensò: “Perché non vado da solo ? adesso, senza rimorsi, incertezze o timori  e poi si starà a vedere ?”

Fu una ispirazione improvvisa, non ci aveva pensato prima di allora, prima di aver aperto gli occhi quella mattina, ma non ebbe dubbi sul da farsi.

Si alzò, si lavò, si vestì velocemente  e se ne andò. Da solo sotto la pioggia libero nell’animo e nella mente.

Il camminatore che aveva intanto aperto un occhio e lo vedeva fare i preparativi gli chiese stupito “Oh che fai” “Vado!  Rispose il ballerino “ma…. E noi ?” “Voi venite quando avete voglia, magari ci incontriamo per strada. Ciao”

Si conoscevano troppo bene e da troppo tempo  perché il camminatore non capisse l’esigenza dell’amico e lasciò che andasse senza fare altre storie.

Il ballerino di liscio ebbe un solo attimo di incertezza quando richiuse la porta dell’albergo alle spalle, poi non ebbe più alcuna esitazione. E andò.

Quel giorno iniziò così, come nella fotografia del titolo che il ballerino scattò col cellulare e che non venne nitida, ma che rendeva l’idea dell’atmosfera tremula sotto la pioggia leggera mentre risaliva le colline sopra Combarro con le luci del paese che si offuscavano all’orizzonte e il mare che era una chiazza nera nel buio del mattino.

Dopo un po’ che camminava venne lentamente l’alba grigia fra foschia  e pioggia e  se la godette con commozione, adesso si vedeva meglio, non c’era pericolo di sbagliare il sentiero e si sentivano cantare i galli galleghi. Camminava e pensava, camminava e  pregava, camminava e cantava a voce alta,   sereno, con una pace interiore che aveva cercato fino da quando avevano progettato quel viaggio un anno prima. Essere con se stesso e basta, incontro alle piccole difficoltà di un luogo sconosciuto, di una fastidiosa pioggia e della fatica del cammino, quello era ciò che aveva desiderato da tanto tempo, misurare le proprie forze da solo, senza scherzi, marce, battute, risate o discussioni, decidere quando rallentare o aumentare il passo, quando fermarsi , quando cambiare l’impermeabile, come affrontare  la salita, dove riposare,  e poi trovare una meta per volta senza programmi che andassero oltre il prossimo villaggio o la prossima ora. Decise che sarebbe arrivato al monastero per la messa di mezzogiorno, ce l’avrebbe fatta anche sotto la pioggia, ci sarebbe ben stata una messa a mezzogiorno della domenica in un monastero sul Cammino di Santiago  pensò, e se non ci fosse stata avrebbe fatto un’altra cosa, avrebbe deciso sul momento quale. Senza chiedere  ad alcuno, senza l’approvazione o la condivisione di nessuno. Pensò che avrebbe potuto prendersi un pomeriggio di sosta e dormire al monastero se avessero avuto posto e non importava se gli altri avevano fatto programmi diversi, lui si sarebbe fermato tutto il giorno e la notte e al mattino successivo sarebbe ripartito da solo e avrebbe pensato solo l’indomani quando andare, dove e quando fermarsi, dove mangiare e dove passare la notte e finire dove ne avesse avuto voglia o forza. Magari sarebbe stato lo stesso posto degli altri o forse no. Non era un problema del qui e di adesso.

Questo pensava mentre saliva il sentiero e il fascino di questo pensiero  stava nel fatto che era del tutto incondizionato, un’idea che avrebbe potuto cambiare da un’ora all’altra, da un imprevisto o da un istintivo desiderio improvviso così, senza spiegazione alcuna.

Non trovò anima viva per tutta la strada, nessuno faceva quel tratto di cammino spirituale tanto decantato, ma che evidentemente non attirava i pellegrini,  solo un pickup con cani a bordo che alle prime luci del giorno lo oltrepassò lungo i tornanti in salita e po’si fermo sul bordo di una tornante a far correre i cani da caccia. Dovette cambiare protezione più volte secondo l’intensità della pioggia che non si interruppe mai: quando si attenuava toglieva la mantellina e quando  riprendeva di nuovo poneva lo zaino a terra e di nuovo la indossava. Fatica si, ma bella fatica. Nessuna chiacchiera, tempo solo per guardarsi intorno e riflettere su ogni cosa, senza distrazioni

Male che vada gli altri li avrebbe ritrovati a Santiago il 2 ottobre  pensava quando sarebbero entrati in Plaza del Obradoiro alla Cattedrale insieme e forse si sarebbero incrociati prima e avrebbero diviso il pasto o il letto, semplicemente non lo sapeva e non si poneva il problema. Era questa la libertà che intendeva.

Questa determinazione lo portò al monastero per le undici di mattina, fradicio di pioggia, ma ancora tonico. Non c’era nessuno in chiesa e il monastero era chiuso, c’era però un bar deserto dove si fermò e fu bello arrivare da solo e dire “Buenos dias” al gestore. Un vero pellegrino che spunta dal sentiero nella mattina grigia di una domenica e si toglie i vestiti bagnati e si scalda con una tazza di caffè. Un grande senso di libertà.

Fu una mattina fantastica, una di quelle esperienze che ci portiamo dietro tutta la vita, una normale domenica d’autunno trasformata in un avventura solitaria e fredda col fascino  dell’incognita.

Alla fine qualcuna delle suore si fece viva e aprirono il monastero e la chiesetta e lui prese la sua messa, poi indugiò con i timbri e chiese un alloggio che naturalmente non c’era.

Altri pellegrini non se ne vedevano, solo un giovane italiano che stava all’ostello acciaccato a una gamba, costretto a starsene in quel posto solitario per giorni e con il quale scambiò qualche parola.

Dopo la messa gli venne voglia di vedere i suoi compagni e li chiamò al telefono per sapere dove fossero. Erano ancora indietro e arrivarono al monastero verso l’una bagnati  fradici,  incavolati come pigne, nervosi per l’abbandono, il tempo e la fatica.. Lui fu felice di  ritrovarli, ma era impossibile che chiedesse scusa.

Pensò invece che la sua mattina di libertà era stata così appagante che per quel giorno non c’era bisogno di  altra solitudine e sarebbe rimasto con gli atri fino all’indomani. Aveva nuovamente cambiato i suoi programmi e ne era proprio soddisfatto

Ricongiunto finalmente il gruppo davanti a un pranzetto poco spagnolo e molto cotolettesco alla milanese i nostri umarelli si trovavano davanti ad un grande dilemma:

non era previsto che il diluvio diminuisse per tutto il pomeriggio e loro erano chiusi nel bar accanto al monastero di Armenteira con due sole alternative:  trovare rifugio nell’ostello  locale e trascorrere pomeriggio e sera al bar a grattarsi i maroni oppure…… 

……oppure  telefonare alla signora Luisa della locanda che gli altri due avevano contattato già al mattino e farsi mandare una macchina che li portasse giù, fino da lei.

Questo significava sporcare in qualche modo il loro pellegrinaggio? si chiesero meditabondi. Rifletterono ognuno per proprio conto per un minuto scarso, poi all’unisono  dissero:

“Chiamiamo subito la signora Luisa che ci mandi una macchina e leviamoci da questo bar.”

“Ci penso io a telefonare” disse il ballerino che ormai padroneggiava benissimo lo spagnolo, agli altri non parve il vero.

“Pronto ?!

“Si”

“Es la senora  Luisa ?”

“Si”

“Io son …., nos somos …. quelli ….”

“Entiendo, ustedes son los peregrinos del hotel “

“Ah !”

“Mando un auto para que te recoja”

“Ah ! “

“Donde estas ? “

“Armenteira”

“Muy bien, llega en diez minutos”

“Ah ! “

“Adios despues”

“Ah !”

Gli altri osservavano con ammirazione questa padronanza di linguaggio anche perché il ballerino si era un poco appartato e faceva grandi cenni col capo come ad aver capito tutto.

Avete visto che ci vuole per intendersi all’estero ? ci sono proprio portato per le lingue”.

Rimasero un po’ delusi dal monastero di Armenteira, tanta pubblicità spirituale e queste suore manco si facevano vedere, forse perché erano di clausura, ma insomma sarebbe stato meglio prenotare su Booking.

Dopo dieci minuti si presenta il carro con un tizio a bordo che sotto la pioggia fa grandi cenni,  “Luisa, Luisa” grida, lui non era certo la Luisa, ma i nostri salirono lo stesso  bagnati mèzzi e sarebbero saliti anche su un carro funebre (coche fúnebre) pur di levarsi da lì.

Durante il tragitto, erano solo otto chilometri a dire il vero, il camminatore bagnato che sedeva davanti non si limitò a stare zitto, come sarebbe stato opportuno,  ma cominciò a fare commenti inutili sul tempo, sulla strada  e sul paesaggio

“Qui pioggia, noi bagnatos, comprende ?  Domanos nos pellegrinos andar al mar, si no piove andar a Santiago ok. Noi veniamo da Florenz”.

E lui rispondeva qualcosa in gallego, fu una conversazione ilare, i due seduti di  dietro si sbellicavano dal ridere e incoraggiavano il camminatore “Dai chiedi ancora, dici un’altra volta domanos che ci piace tanto” e lui per farli divertire proseguiva con i discorsi strampalati, “Veri gud  questo posto, naturas, boschi  e domanos (l’aveva ridetto apposta) noi go a Santiago. Speriam che nom rain, no piove tumorro.”

Finalmente arrivarono a Ribadumia all’Hostal Santa Baia. Questa signora Luisa aveva modi dolci e viso dai bei lineamenti,  un po’ traccagnotta e col culo largo, in breve ancora passabile per i loro gusti. Li accolse molto volentieri nel suo alberghetto anche perché erano gli unici clienti, forse degli ultimi mesi, e assegnò loro le camere numero 1 e numero 2, non si sa di quante camere disponesse il posto.

Il resto del pomeriggio  trascorse nel riposo anche perché pioveva e non c’era letteralmente un tubo da fare e la locanda era ai margini di tutto.  Però stettero bene. La Luisa riuscì anche a prenotare per loro un’imbarcazione da Villanova per il giorno successivo e fece vedere la conferma  al ballerino che le avevano detto che capiva benissimo la lingua e intanto mentre lei spiegava per filo e per segno con una affascinante voce spagnoleggiante lui la guardava fisso come se comprendesse e intanto guardava e riguardava e non sapeva ancora decidere se la tipa fosse passabile o no.

La sera cenarono in un vicino baretto serviti da una cameriera gentile che voleva tanto andare a Firenze, perché naturalmente quei due avevano detto che venivano da Firenze. Si dette un gran daffare per preparare una cenetta a base di  uova affrittellate con bacon e callos di ceci e birre generose.

Il clima era disteso, alla tivvu c’era un partita di calcio che nessuno guardava perché in Spagna in ogni luogo c’è sempre una tivvu con dentro una partita di calcio a tutte le ore del giorno e della notte e  tutti guardano distrattamente il calcio anche quello  delle squadre di cui non frega niente a nessuno come Osasuna o Valladolid o Levante o Sounasegaio tanto per avere il sottofondo di grida da stadio.

Fu una gran bella giornata anche quella, piena di cose da raccontare e da ripensare al caldo del lettuccio. Dormirono bene quella notte perché avevano scampato il diluvio universale e l’uomo della Luisa, sarà stato il marito o l’amante?, li aveva salvati proprio come fece Noè con le bestie con la differenza che loro non erano una coppia di animali ma tre umarelli.

Però bisognava bere meno birrini.

continua …

Tre umarell… – 14° Intanto a casa ….

Intanto a casa il ciclista provetto era triste perché pensava ai compagni in giro per la Spagna mentre lui coltivava una solenne bronchite che non lo faceva neppure salire in bici.

Era stata una decisione saggia quella di non andare, pensava. Prima i dolori ai piedi che erano reali e non immaginari come malignamente insinuavano gli umarelli, e poi la bronchite iniziata con qualche colpo di tosse sottovalutato, un malessere strisciante alla gola e una insolita debolezza.

E pensare che era merito suo se quella faccenda aveva preso corpo e si era sviluppata negli anni e poi, mannaggia,  si era dovuto fermare sul più bello. Ma perché non riusciva mai a tenere gli eventi sotto controllo?  perché la cose andavano alla deriva in maniera confusionaria con strappi e scelte azzardate, senza un briciolo di pianificazione e di cautela?  Lui che era così avveduto perché le cose si fanno perbenino un po’ alla volta e senza perdere il legame con la quotidianità, perché camminare andava bene, ma lo si può fare anche sulle colline intorno casa  e ci si può perfino spingere a stare anche una giornata fuori, ma la sera vuoi mettere la serenità del rientro nella propria rassicurante camera da letto, vuoi mettere la pace che ti dà guardare la tua automobile al sicuro in garage!

Perché questo bisogno di strapazzo e incertezza affascinava gli altri umarelli? perché non apprezzavano  la routine del caffè seduto al bar col giornale  in mano a guardare il passeggio e dibattere di questioni importanti, di arte, politica, letteratura, interessi che non erano da umarello, ma da persona seria, istruita, interessata al mondo e narrare di personaggi, fatti, date e informarsi prima di parlare per non apparire generalisti  ma pertinenti, documentati e salutare i passanti “Buongiorno Tizio. Salve Caio. Come va Sempronio” . Cosa cavolo facevano gli altri con le loro cazzate improvvise? 

C’era sempre stata questa imprevedibilità degli amici che lo spiazzava, che fosse far tardi la notte, un’avventura strampalata, un muoversi senza senso, una donna impossibile, una partenza senza destinazione o l’esplorazione pericolosa di una grotta senza alcuna precauzione.  

Il bolognese era stato uno specialista di questi improvvisi cambi di programma, il ballerino era notoriamente inaffidabile e il camminatore era cresciuto totalmente ruspante, tanto incontrollabile quanto attraente proprio per questa imprevedibilità. Gli altri due, il forestale e il politico, erano più coscienziosi, ma per questo stuzzicavano meno lo spiritello che gli stava appollaiato sulla spalla sinistra o lo attirava e poi lo respingeva, lo eccitava e poi fatalmente si trovava a fare i conti con quel maledetto grillo parlante saggio e avveduto che gli stava saldamente radicato sulla spalla destra.

La loro storia di amicizia era questa: partecipava a tutto con passione e poi a un certo punto, non si sa come, gli toccava guardare dalla finestra cosa accadeva agli altri.

Il fatto è che seguiva il proprio razionale ragionamento: uno più uno fa sempre due e i passi si fanno uno dopo l’altro non in modo strampalato e disordinato come sembrava attirare tanto gli amici.

Aveva voglia che proporre iniziative interessanti e tranquille come la visita alla statua equestre del pulcino pio o il ricco percorso museale del fagiolo con le cotiche o l’esplorazione degli scritti inediti di Butriolo da Volpedo, niente da fare, gli altri preferivano dilettarsi in futili cazzate come dar fuoco alle canali, incendiare le scoregge, andare a funghi  o inciuccarsi di vino scadente e in età più matura boicottavano  le sue iniziative con sfilze di scuse classiche tipo  non mi sento bene,  mia moglie ha preso un impegno, non ho ferie, ho il torneo di canasta. Le sue iniziative culturali e ragionevoli non trainavano.    

Quante volte gli amici avrebbero invece desiderato scompaginarlo, creargli un casino intorno per vederne le reazioni e gustarselo allo stato brado, ma lui resisteva imperterrito perché si trovava in difficoltà ad adeguare i propri ritmi a queste improvvisazioni. Non è che teoricamente non gli piacessero le stupidaggini, anzi, ne era un buon teorico, ma quando si trattava di porle in atto aveva posto l’assicella del limite alle cazzate molto più in basso degli altri. Insomma era sempre stato quello posato, metodico, razionale, era il suo limite e la sua qualità  perché uno così fa sempre bene come equilibratore in una banda di improvvisatori.

Si capiva però che a lui mancava quell’avventura spagnola, che una parte di sé avrebbe voluto essere con loro, per questo era contento quando si sentivano al telefono, chiedeva cosa stessero facendo, dove fossero, cosa  accadeva intorno a loro e rideva divertito e voleva essere partecipe.  Loro gli mandavano fotografie e video perché sarebbe stato bello averlo accanto in questa isola dei non-famosi per misurare insieme il grado di tolleranza e coinvolgimento e riderci sopra e ricordare poi per anni. 

Intanto progettava pranzi, gite, camminate da fare una volta tornati, tutte cose moderate, precise e soddisfacenti. Pensava il futuro ed evitava il presente mentre gli  altri non sapevano  affatto se e quando avrebbero camminato di nuovo insieme o se sarebbero andati a pranzo proprio quel giorno là.

Fissa te, gli dicevano, e lui si  ingegnava a trovare il dove e il quando poi chiamava uno ad uno e disordinatamente gli rispondevano si va bene, ma ora non posso, forse, chissà, vediamo.

Senza dubbio era stata una decisione più che saggia quella di non andare,  ma certe volte la saggezza bisognerebbe mandarla a quel paese e prendere una ubriacatura di stupidaggini e di frivolezze, questo lo sapeva, si trattava solo di trovare il modo di fare quel piccolo salto nel buio insieme agli amici, staccarsi dal ventre di vacca della concessionaria auto o del Caffè Centrale e poi stare a vedere quel che succede. E quel giorno, prima o dopo, sarebbe arrivato.

Intanto “il bolognese” se ne stava ovviamente a Bologna e faceva il suo come sempre. Era difficile mantenere i contatti con gli altri a cento  chilometri di distanza  e con abitudini ormai diverse. Difficile sincronizzare gli impegni dopo la desuetudine alla frequentazione. C’era stata negli anni una colpevole e deplorevole disattenzione degli altri, in particolare del ballerino di liscio che, come sempre, aveva interrotto le comunicazioni  quaranta anni prima senza alcun motivo logico, solo stanchezza, voglia di cambiare e proprio verso di lui  con il quale c’era sempre stata una complice comunanza di follie. Troppo tempo era trascorso senza  sapere niente l’uno dell’altro, lasciando che si sedimentasse l’indifferenza. Ma ora il tempo della lontananza era finito e per sempre. Basta distacco, ora c’era da recuperare il tempo perduto, questo tratto della vita, l’ultimo, l’avrebbero percorso in sintonia e non ci sarebbe stata più freddezza.

Intanto in un’altra casa di un’altra città  l’ultimo omarello che nella vita si era sempre esposto e speso per gli altri, doveva stare buono buono e vedere da lontano le piccole avventure degli altri senza intervenire. Assistere mentre la sua amata politica nella quale aveva sempre creduto fermamente  si riduceva ogni giorno di più a bottega senza poter fare più niente se non sagge considerazioni inascoltate, come fosse un vecchio rimbambito fuori del tempo che “ai miei tempi …..” e non uno che le aveva provate tutte per migliorare la società anche andare in gita premio al Cremlino fiducioso di trovare qualcosa di buono, anche fare politica attiva, quella di quartiere, quella di impegno personale e poi nulla, nessuno lo stava a sentire. E ci mancava pure di veder camminare gli altri senza poter mettere gli scarponi e andare, senza respirare la deliziosa aria di montagna, senza la sensazione di libertà che gli dava uscire all’aria aperta e misurare le proprie forze. Ci voleva pazienza, ora, e aspettare per vedere come inquadrare il futuro, ma lui era ormai un  omarello saggio e, come tutte le altre volte, qualcosa gli sarebbe venuta in mente. Pazienza pazienza…..

continua…