Tre umarell… – 15° El quinto dia: da Combarro a Ribadumia

O il giorno del tradimento.

O il giorno della libertà.

Secondo i punti di vista.

Il ballerino di liscio aprì gli occhi completamente sveglio accanto al camminatore che dormiva e dava colpi di tosse. Guardò l’orologio: le sette. Fuori ancora buio pesto. Fece mentalmente un rapida ricognizione su ciò che li aspettava quel giorno: sveglia, colazione e partenza verso il monastero di Armenteira sotto la pioggia. Ci sarebbero stati i soliti dubbi su dove dormire, la solita stanchezza, i racconti sulla forestale e le lamentele dei soldi perduti. Fatica, marcia, acqua …. Pensò: “Perché non vado da solo ? adesso, senza rimorsi, incertezze o timori  e poi si starà a vedere ?”

Fu una ispirazione improvvisa, non ci aveva pensato prima di allora, prima di aver aperto gli occhi quella mattina, ma non ebbe dubbi sul da farsi.

Si alzò, si lavò, si vestì velocemente  e se ne andò. Da solo sotto la pioggia libero nell’animo e nella mente.

Il camminatore che aveva intanto aperto un occhio e lo vedeva fare i preparativi gli chiese stupito “Oh che fai” “Vado!  Rispose il ballerino “ma…. E noi ?” “Voi venite quando avete voglia, magari ci incontriamo per strada. Ciao”

Si conoscevano troppo bene e da troppo tempo  perché il camminatore non capisse l’esigenza dell’amico e lasciò che andasse senza fare altre storie.

Il ballerino di liscio ebbe un solo attimo di incertezza quando richiuse la porta dell’albergo alle spalle, poi non ebbe più alcuna esitazione. E andò.

Quel giorno iniziò così, come nella fotografia del titolo che il ballerino scattò col cellulare e che non venne nitida, ma che rendeva l’idea dell’atmosfera tremula sotto la pioggia leggera mentre risaliva le colline sopra Combarro con le luci del paese che si offuscavano all’orizzonte e il mare che era una chiazza nera nel buio del mattino.

Dopo un po’ che camminava venne lentamente l’alba grigia fra foschia  e pioggia e  se la godette con commozione, adesso si vedeva meglio, non c’era pericolo di sbagliare il sentiero e si sentivano cantare i galli galleghi. Camminava e pensava, camminava e  pregava, camminava e cantava a voce alta,   sereno, con una pace interiore che aveva cercato fino da quando avevano progettato quel viaggio un anno prima. Essere con se stesso e basta, incontro alle piccole difficoltà di un luogo sconosciuto, di una fastidiosa pioggia e della fatica del cammino, quello era ciò che aveva desiderato da tanto tempo, misurare le proprie forze da solo, senza scherzi, marce, battute, risate o discussioni, decidere quando rallentare o aumentare il passo, quando fermarsi , quando cambiare l’impermeabile, come affrontare  la salita, dove riposare,  e poi trovare una meta per volta senza programmi che andassero oltre il prossimo villaggio o la prossima ora. Decise che sarebbe arrivato al monastero per la messa di mezzogiorno, ce l’avrebbe fatta anche sotto la pioggia, ci sarebbe ben stata una messa a mezzogiorno della domenica in un monastero sul Cammino di Santiago  pensò, e se non ci fosse stata avrebbe fatto un’altra cosa, avrebbe deciso sul momento quale. Senza chiedere  ad alcuno, senza l’approvazione o la condivisione di nessuno. Pensò che avrebbe potuto prendersi un pomeriggio di sosta e dormire al monastero se avessero avuto posto e non importava se gli altri avevano fatto programmi diversi, lui si sarebbe fermato tutto il giorno e la notte e al mattino successivo sarebbe ripartito da solo e avrebbe pensato solo l’indomani quando andare, dove e quando fermarsi, dove mangiare e dove passare la notte e finire dove ne avesse avuto voglia o forza. Magari sarebbe stato lo stesso posto degli altri o forse no. Non era un problema del qui e di adesso.

Questo pensava mentre saliva il sentiero e il fascino di questo pensiero  stava nel fatto che era del tutto incondizionato, un’idea che avrebbe potuto cambiare da un’ora all’altra, da un imprevisto o da un istintivo desiderio improvviso così, senza spiegazione alcuna.

Non trovò anima viva per tutta la strada, nessuno faceva quel tratto di cammino spirituale tanto decantato, ma che evidentemente non attirava i pellegrini,  solo un pickup con cani a bordo che alle prime luci del giorno lo oltrepassò lungo i tornanti in salita e po’si fermo sul bordo di una tornante a far correre i cani da caccia. Dovette cambiare protezione più volte secondo l’intensità della pioggia che non si interruppe mai: quando si attenuava toglieva la mantellina e quando  riprendeva di nuovo poneva lo zaino a terra e di nuovo la indossava. Fatica si, ma bella fatica. Nessuna chiacchiera, tempo solo per guardarsi intorno e riflettere su ogni cosa, senza distrazioni

Male che vada gli altri li avrebbe ritrovati a Santiago il 2 ottobre  pensava quando sarebbero entrati in Plaza del Obradoiro alla Cattedrale insieme e forse si sarebbero incrociati prima e avrebbero diviso il pasto o il letto, semplicemente non lo sapeva e non si poneva il problema. Era questa la libertà che intendeva.

Questa determinazione lo portò al monastero per le undici di mattina, fradicio di pioggia, ma ancora tonico. Non c’era nessuno in chiesa e il monastero era chiuso, c’era però un bar deserto dove si fermò e fu bello arrivare da solo e dire “Buenos dias” al gestore. Un vero pellegrino che spunta dal sentiero nella mattina grigia di una domenica e si toglie i vestiti bagnati e si scalda con una tazza di caffè. Un grande senso di libertà.

Fu una mattina fantastica, una di quelle esperienze che ci portiamo dietro tutta la vita, una normale domenica d’autunno trasformata in un avventura solitaria e fredda col fascino  dell’incognita.

Alla fine qualcuna delle suore si fece viva e aprirono il monastero e la chiesetta e lui prese la sua messa, poi indugiò con i timbri e chiese un alloggio che naturalmente non c’era.

Altri pellegrini non se ne vedevano, solo un giovane italiano che stava all’ostello acciaccato a una gamba, costretto a starsene in quel posto solitario per giorni e con il quale scambiò qualche parola.

Dopo la messa gli venne voglia di vedere i suoi compagni e li chiamò al telefono per sapere dove fossero. Erano ancora indietro e arrivarono al monastero verso l’una bagnati  fradici,  incavolati come pigne, nervosi per l’abbandono, il tempo e la fatica.. Lui fu felice di  ritrovarli, ma era impossibile che chiedesse scusa.

Pensò invece che la sua mattina di libertà era stata così appagante che per quel giorno non c’era bisogno di  altra solitudine e sarebbe rimasto con gli atri fino all’indomani. Aveva nuovamente cambiato i suoi programmi e ne era proprio soddisfatto

Ricongiunto finalmente il gruppo davanti a un pranzetto poco spagnolo e molto cotolettesco alla milanese i nostri umarelli si trovavano davanti ad un grande dilemma:

non era previsto che il diluvio diminuisse per tutto il pomeriggio e loro erano chiusi nel bar accanto al monastero di Armenteira con due sole alternative:  trovare rifugio nell’ostello  locale e trascorrere pomeriggio e sera al bar a grattarsi i maroni oppure…… 

……oppure  telefonare alla signora Luisa della locanda che gli altri due avevano contattato già al mattino e farsi mandare una macchina che li portasse giù, fino da lei.

Questo significava sporcare in qualche modo il loro pellegrinaggio? si chiesero meditabondi. Rifletterono ognuno per proprio conto per un minuto scarso, poi all’unisono  dissero:

“Chiamiamo subito la signora Luisa che ci mandi una macchina e leviamoci da questo bar.”

“Ci penso io a telefonare” disse il ballerino che ormai padroneggiava benissimo lo spagnolo, agli altri non parve il vero.

“Pronto ?!

“Si”

“Es la senora  Luisa ?”

“Si”

“Io son …., nos somos …. quelli ….”

“Entiendo, ustedes son los peregrinos del hotel “

“Ah !”

“Mando un auto para que te recoja”

“Ah ! “

“Donde estas ? “

“Armenteira”

“Muy bien, llega en diez minutos”

“Ah ! “

“Adios despues”

“Ah !”

Gli altri osservavano con ammirazione questa padronanza di linguaggio anche perché il ballerino si era un poco appartato e faceva grandi cenni col capo come ad aver capito tutto.

Avete visto che ci vuole per intendersi all’estero ? ci sono proprio portato per le lingue”.

Rimasero un po’ delusi dal monastero di Armenteira, tanta pubblicità spirituale e queste suore manco si facevano vedere, forse perché erano di clausura, ma insomma sarebbe stato meglio prenotare su Booking.

Dopo dieci minuti si presenta il carro con un tizio a bordo che sotto la pioggia fa grandi cenni,  “Luisa, Luisa” grida, lui non era certo la Luisa, ma i nostri salirono lo stesso  bagnati mèzzi e sarebbero saliti anche su un carro funebre (coche fúnebre) pur di levarsi da lì.

Durante il tragitto, erano solo otto chilometri a dire il vero, il camminatore bagnato che sedeva davanti non si limitò a stare zitto, come sarebbe stato opportuno,  ma cominciò a fare commenti inutili sul tempo, sulla strada  e sul paesaggio

“Qui pioggia, noi bagnatos, comprende ?  Domanos nos pellegrinos andar al mar, si no piove andar a Santiago ok. Noi veniamo da Florenz”.

E lui rispondeva qualcosa in gallego, fu una conversazione ilare, i due seduti di  dietro si sbellicavano dal ridere e incoraggiavano il camminatore “Dai chiedi ancora, dici un’altra volta domanos che ci piace tanto” e lui per farli divertire proseguiva con i discorsi strampalati, “Veri gud  questo posto, naturas, boschi  e domanos (l’aveva ridetto apposta) noi go a Santiago. Speriam che nom rain, no piove tumorro.”

Finalmente arrivarono a Ribadumia all’Hostal Santa Baia. Questa signora Luisa aveva modi dolci e viso dai bei lineamenti,  un po’ traccagnotta e col culo largo, in breve ancora passabile per i loro gusti. Li accolse molto volentieri nel suo alberghetto anche perché erano gli unici clienti, forse degli ultimi mesi, e assegnò loro le camere numero 1 e numero 2, non si sa di quante camere disponesse il posto.

Il resto del pomeriggio  trascorse nel riposo anche perché pioveva e non c’era letteralmente un tubo da fare e la locanda era ai margini di tutto.  Però stettero bene. La Luisa riuscì anche a prenotare per loro un’imbarcazione da Villanova per il giorno successivo e fece vedere la conferma  al ballerino che le avevano detto che capiva benissimo la lingua e intanto mentre lei spiegava per filo e per segno con una affascinante voce spagnoleggiante lui la guardava fisso come se comprendesse e intanto guardava e riguardava e non sapeva ancora decidere se la tipa fosse passabile o no.

La sera cenarono in un vicino baretto serviti da una cameriera gentile che voleva tanto andare a Firenze, perché naturalmente quei due avevano detto che venivano da Firenze. Si dette un gran daffare per preparare una cenetta a base di  uova affrittellate con bacon e callos di ceci e birre generose.

Il clima era disteso, alla tivvu c’era un partita di calcio che nessuno guardava perché in Spagna in ogni luogo c’è sempre una tivvu con dentro una partita di calcio a tutte le ore del giorno e della notte e  tutti guardano distrattamente il calcio anche quello  delle squadre di cui non frega niente a nessuno come Osasuna o Valladolid o Levante o Sounasegaio tanto per avere il sottofondo di grida da stadio.

Fu una gran bella giornata anche quella, piena di cose da raccontare e da ripensare al caldo del lettuccio. Dormirono bene quella notte perché avevano scampato il diluvio universale e l’uomo della Luisa, sarà stato il marito o l’amante?, li aveva salvati proprio come fece Noè con le bestie con la differenza che loro non erano una coppia di animali ma tre umarelli.

Però bisognava bere meno birrini.

continua …

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