Tre umarell… – 19° Optavo dia: la maravilla de Santiago

Tutto fu perfetto quel giorno, e se lo meritavano proprio.

La giornata era tiepida e finalmente non piovve, anzi spuntò un sole sempre più deciso che li accompagnò fino in Plaza del Obradorio e rimase con loro fino al pomeriggio.

Era subentrata una armonia totale: il ballerino aveva ottenuto il suo scopo, era stato da solo abbastanza per desiderare  di rientrare in gruppo, il camminatore si dimenticò per un giorno i problemi di soldi, e il vecchio forestale ebbe il suo regalo più desiderato: arrivare alla cattedrale di Santiago la mattina del compleanno. Erano in pace con se stessi e col mondo e si godettero  ogni momento di quella splendida giornata.

L’ultimo tratto del loro cammino fu breve e tranquillo, pochi chilometri li dividevano ormai dalla meta e furono fatti in leggerezza. Entrarono in città e passo dopo passo saliva l’eccitazione dentro di loro, la voglia di arrivare, di vedere la piazza, di chiudere quella avventura. Aumentavano di numero i pellegrini lungo  la strada e via via che si avvicinavano al centro città aumentava la gente e i turisti e la frenesia di andare e muovere gli ultimi passi insieme come avevano promesso. Dimenticata la fatica, i piccoli scatti di nervoso e le piccole fraterne incomprensioni.

Arrivati in piazza li accolse la meraviglia della Cattedrale e fu un momento di commozione profonda condiviso con coloro che alla spicciolata arrivavano dopo di loro e volgevano stupiti lo sguardo in alto verso le guglie. Era uno spettacolo magnifico  e magnifica era l’atmosfera che si creava e si rigenerava di continuo fra  pellegrini di tutto il mondo che si scambiavano saluti e fotografie e sorrisi. Non avevano osservato le regole del pellegrinaggio: il silenzio, la solitudine, il nascondimento, la sobrietà alimentare, la meditazione del Vangelo l’ Eucarestia quotidiana eppure si sentivano in pace con se stessi e con tutta quella gente.

C’era felicità e pienezza nella piazza e loro la percepivano appieno. Era quello che cercavano  in quel viaggio, quello che  aspettavano e che speravano e che comunque li colse di sorpresa. Valeva veramente la pena di faticare tanto per essere lì in quel momento.

Per ritirare la Compostela c’era da fare una coda come all’INPS, ma qui era tutto  perfettamente organizzato. Nella  “Oficina del peregrino”, il luogo più conosciuto dai pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo, si ritira il numero e si aspetta. I nostri umarelli ignari non pensavano che ogni giorno venissero staccate oltre 1.500 compostele  per altrettanti pellegrini e che ci fosse  da aspettare in coda tre ore, ma ne approfittarono per andare un po’ a zonzo sempre con gli scarponi e gli zaini che quel giorno sembrava  pesassero di meno. Erano simboli importanti perché ebbene si, anche loro erano pellegrini camminatori, avevano fatto la loro parte, una piccola parte, ma l’avevano fatta e erano lì  a pieno titolo come gli altri, quelli forti, giovani, ardimentosi che si erano sciroppati ottocento chilometri dormendo negli ostelli cucinando da soli la propria cena e lavandosi le mutande un giorno si e l’altro pure.

In questo posto si incontravano persone che già si erano trovate lungo il percorso chissà due tre volte magari quattrocento chilometri più a est, forse quindici giorni prima e avevano condiviso un pasto, un chilometro o una serata al chiaro di luna davanti a un ostello o nella piazza di un piccolo villaggio sconosciuto. Si ritrovavano  e si abbracciavano lanciando grida di giubilo in tutte le lingue del modo “Olaaaa, amigo, como estes” “Very well, thank you” e giù pacche sulle spalle e abbracci e grandi feste.

Anche i nostri umarelli fecero finta di essersi ritrovati  e si correvano incontro e si abbracciavano e mettevano in scena  quella pantomima “Ma guarda te chi si vede!”  “ Oh come tu stai !”  “ Ma chi l‘avrebbe mai detto !” tanto per prendere un poco per il culo gli stereotipi, perché si percepiva nell’aria di Santiago un poco di esagerazione e a una certa età bisogna anche provvedere a smitizzare queste manifestazioni del pellegrino viandante cittadino del mondo un-sacco-bbello che si presenta con la barba lunga mezzo metro un cappellaccio di paglia e un bastone di legno carico di conchiglie e saluta a destra e a manca come se fosse il depositario della vera essenza del viaggio spirituale.

Perché al di là degli abbracci dei sorrisi, delle cameratesche riunioni ognuno percorre il suo cammino, la sua strada da solo nella propria anima e nella propria testa e cosa si cela dietro ai sorrisi e alle risate non lo sa nessuno, e il resto non sono che sceneggiate.

“Non è abbastanza fare dei passi che un giorno ci condurranno alla meta, ogni passo deve essere lui stesso uno meta, nello stesso momento in cui ci porta avanti.” (Johann Wolfgang von Goethe)

Visto che c’era tempo tornarono  nella Plaza del Obradorio, che poi vorrebbe dire laboratorio,  e si sedettero a terra come fanno i pellegrini veraci e si godettero il sole del primo pomeriggio e finalmente sciolsero tutte le tensioni del viaggio e si godettero lo spettacolo. 

Non parlarono molto, ripensarono ai loro amici a quelli che c’erano stati un tempo e non c’erano più per tanti motivi anche se non erano morti e qualcuno lo era per davvero. Si chiedevano:  chissà cosa avrebbe detto Rube con quella vocina acuta, o forse neppure sarebbe venuto se non c’era da andare a caccia, e chissà su quante pellegrine olandesi o tedesche avrebbe fantasticato Sandrino, e quanta fatica avrebbe fatto il Capannoni se avesse portato il fascio littorio a tracolla e se Zizi avrebbe dormito da solo perché non si fidava o con uno di loro e se il Samba … se il Samba fosse stato un po’ meno Samba,  e se questo e se quell’altro. Amici comuni e ognuno poi pensando ai propri vecchi amici di infanzia, compagni di scuola, di giovinezza, inutile ricordare i nomi, tanti nomi, tante persone che avevano attraversato la vita dei nostri umarelli perché in settanta anni di occasioni per fare cose insieme ce ne erano state tante e loro non  erano mai stati chiusi in loro stessi.

Magari sarà cambiato e non si riconoscerebbe nemmeno“

“ ….. su questa strada, te lo immagini con gli scarponi a camminare tutto il giorno ?”

“ E poi chissà se sarebbe venuto “

“Se si ricorda ancora di noi….”

Un poco di ognuno era nei loro cuori, più dei familiari  perché quella era stata una storia di amicizia da loro voluta e da loro vissuta

E il ballerino di liscio  ripensò a quando in quella stessa piazza era arrivato da pellegrino con  moglie e figli, diciannove anni prima, e comprese che non era stata la medesima cosa. Sembrava una vacanza allora, faticosa, ma vacanza in famiglia e non c’era stato il tempo e l’occasione per stare  in solitudine, per pensare a se stesso e non agli altri o forse era solo più giovane e ancora non capiva l’essenza che nasconde questa esperienza.

Chiamarono gli omarelli che erano rimasti a casa perché volevano che sentissero la loro gioia, la loro pienezza di sentimenti,  che in qualche modo ne fossero partecipi, afferrassero un poco di quella atmosfera magica e irripetibile che ti coglie quando si arriva  a piedi in piazza dopo aver camminato per giorni,  con gli  scarponi ai piedi e gli zaini in  spalla,  assieme a tanta gente che ha fatto la stessa scelta, lo stesso viaggio ognuno a suo modo, ognuno con le proprie motivazioni e le proprie fatiche ma tutti magicamente accomunati in quel giorno, il loro giorno, in quel luogo, il loro luogo. Domani ci saranno altri pellegrini che arriveranno nella stessa piazza e l’emozione si rinnoverà  d’accapo e dopodomani  ancora e sempre ogni giorno dell’anno, dal flusso incessante in estate ai pochi che magari in una mattina di pioggia fredda di dicembre saranno qui e proveranno la medesima ineffabile contentezza d’animo.

Ma oggi questa piazza è tutta per loro.

Il vecchio forestale festeggiò il compleanno portando a cena i suoi due compagni di viaggio e lo fece al ristorante Ribadavia perché c’era già stato anni prima e pensava che ricordarlo  al proprietario fosse un buon sistema per accattivarselo. Il proprietario non poteva certo ricordarsi di quel cliente fra migliaia,  ma fu cortese lo stesso e presentò una cenetta ottima a base di paella e polpo tanto per cambiare. Bevvero birra e sidro che non era il sidro che ricordava il forestale ma una bibita gassata indecorosa in bottiglietta che lo lasciò profondamente deluso.

La magnifica giornata non poteva che concludersi  in piazza della Cattedrale, in una serata tiepida di autunno con la Tuna de Derecho de Santiago che suonava i pezzi classici del repertorio di lingua spagnola e regalava ancora un’emozione per la gioia dei pellegrini che qui si ritrovano come ogni sera a cantare e danzare.

Ma cosa è la Tuna ?

La  “Tuna”  è una fratellanza di studenti universitari che indossano una combinazione di vestiti rinascimentali  e grandi mantelli decorati e che interpretano temi musicali del folklore americano e ispanico. E’ una tradizione legata fino dal  tredicesimo secolo alle storie delle università spagnole e degli studenti meno abbienti che si pagavano il mantenimento agli studi suonando per le strade e le taverne.

La  “Tuna de Derecho”  altro non è che la fratellanza della facoltà di Diritto, ce n’è una per ogni  ateneo quindi anche Santiago ha la propria come esistono a Madrid, Salamanca e nelle altre sedi universitarie e ovviamente si hanno Tuna de Medicina o Ingegneria  e chissà forse c’è anche una  Tuna de Agrario-Forestal .

La Tuna cantava Guantanamera, Malaguena Salerosa, Cielito Lindo,

“De la sierra, morena
Cielito lindo, vienen bajando
Un par de ojitos negros, cielito lindo
De contrabando

Ay, ay, ay, ay
Canta y no llores
Porque cantando se alegran
Cielito lindo, los corazones”

e i nostri tre amici che avevano perduto ogni sensazione di stanchezza e avrebbero voluto che quel giorno non finisse mai, seguivano la melodia ondeggiando la testa e cantavano anche loro e ballavano con turiste sconosciute e percepivano l’essenza di quel momento unico, ora, qui, in piazza, in quel giorno fantastico nel quale si chiudeva un cerchio che proprio loro avevano aperto un anno prima, come la fine di una fantastica avventura che si erano regalati a settanta anni.

La notte, dentro i loro cuori, nel brutto alberghetto che si chiamava  B-Nor, un pensiero li accompagnò con dolcezza verso il sonno “ Buonanotte Santiago, non ti dimenticherò mai” .

continua …

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