Tre umarell… – 23° Una noche en el aeropuerto

Aeroporto Adolfo Suárez, Madrid-Barajas

Come mai fu ideata una castroneria simile?  una serie di incontrollabili eventi condusse i nostri omarelli a quella sfida di resistenza che non avevano messo in preventivo. Il primo fattore fu che ogni tre per due il camminatore tirava fuori la solita solfa che gli avevano  rubato i soldi e doveva  spendere il meno possibile perché “….la mia pensione non é come la vostra e bla bla bla  e m’hanno rubato tutto e io non ho i mezzi che avete voi e bla e bla  e devo andare dal dentista e bla bla e maremma maiala…” , lamentazioni quotidiane.

Il secondo fattore fu l’orario: sarebbero arrivati a Madrid circa a mezzanotte e la loro idea barbina era di andare in centro al mattino successivo al più presto diciamo alle sette e ritornare in  aeroporto per le undici.

Quindi avrebbero dovuto  individuare un albergo vicino che li ospitasse cinque  e o sei ore al massimo con poca spesa. Impossibile. Tentarono più volte di individuare una sistemazione economica e facile da raggiungere, ma non c’era stato verso.

Dunque bisognava scegliere fra due alternative:  saltare il minitour  di Madrid o dormire in aeroporto, dove dormire è un termine del tutto inappropriato.

Scelta fatta perché Madrid lo avevano messo nel mirino e non ci avrebbero rinunciato.

Raccontare la  notte in aeroporto è facile. I nostri omarelli cercarono invano una sistemazione decente e non la trovarono, niente poltroncine, niente angoletti tranquilli magari in penombra, niente silenzio o solitudine. L’aria fresca della notte, lo squallore delle enormi sale d’attesa, i bar chiusi, una  tivvu accesa su una partita di calcio femminile  e parecchi altri disperati  notturni come loro con l’attenuante  che sicuramente erano in attesa di un aereo mattutino o di un arrivo nelle prossime ore. Erano cioè in transito. I nostri omarelli avrebbero avuto l’aereo per Bologna il giorno successivo alle 15 e quindi c’erano da trascorrere quelle lunghissime  ore di vuoto cosmico, non erano propriamente in transito erano solo arrivati molto prima della partenza.

Si decise che avrebbero preso la  corsa della metropolitana alle sei del mattino e il lasso di tempo dalla mezzanotte alle sei sarebbero stati cazzi amari, ma sei ore in confronto all’eternità rappresentano ben poca cosa.

i tre avevano mantenuto un briciolo di dignità e si rifiutarono di sdraiarsi per terra come  barboni: adocchiarono due file di scomodissime sedie di acciaio e le posero una davanti all’altra sottraendole agli altri miserabili in transito e cercarono di svaccarcisi sopra con contorsioni decisamente non più alla loro portata. Il ballerino riusciva a reggere in quelle posizioni scomposte dieci minuti per volta dopodiché doveva alzarsi e fare un giretto di mezz’ora nel nulla, il camminatore in qualche modo si accovacciò e riuscì a surrogare un sonno ristoratore del quale  probabilmente risentirà le conseguenze fino a novembre  e il vecchio forestale  stette in piedi a giro qua e là come un naufrago per tutta la notte.

Per puro caso si erano posizionati davanti all’arrivo  dei voli internazionali e verso le due del mattino al ballerino venne in mente di fare un cosa da omarello.

Si accorse prima con un solo occhio aperto, poi con le orecchie e poi con tutti i sensi  che c’era un universo tutto da scoprire  a pochi metri da lui: i parenti in attesa di coloro che sarebbero arrivati con i voli della notte.

Si levò in piedi improvvisamente sveglio, attaccò il registratore e si mise a gironzolare tra gli astanti, non mi è venuto in mente un termine meno desueto di astanti per significare quelli in attesa e iniziò a fantasticare.

Il tabellone degli arrivi fu una scoperta sorprendente: a quell’ora di mattina c’era un sacco di gente sveglia e attiva, i piloti degli aerei in arrivo per esempio, e le hostess e i passeggeri che dopo viaggi lunghissimi si sentivano vicini alla meta e sicuramente saranno stati elettrizzati, e la moltitudine dei parenti, amici, conoscenti in attesa.

Il primo arrivo previsto era il volo AV26 della Sa Avianca da Bogotà (BOG) Colombia delle 02.35, in orario. Bogotà richiamava alla mente  il narcotraffico e Pablo Escobar con i baffoni.

Popolo misero che coltiva oppio sulle colline stretto nella morsa fra i narcos e la polizia violenta, una vita di subordinazione senza apparente speranza. Ci saranno stati narcotrafficanti su quel volo AV26? E chi c’era ad aspettare?

A vederli così, stretti nelle maglie di cotone leggero e l’aria pacifica non sembravano  corrieri della droga, ma persone normali tirate giù dal letto per venire fino qui a Barajas  a quell’ora improbabile.

C’era un giovane con radi capelli chiari, le infradito ai piedi e la maglietta slabbrata in piena notte madrilena, quasi estraneo al contesto, stava un poco discosto come fosse lì per caso, con troppa birra in corpo e una notte ancora giovane, chissà cosa aspettava. Arrivò poi una ragazza elegante dai tratti andini con un grande orso di pezza, sarà stato alto un metro e mezzo. Lo cingeva sorridente con il braccio largo come in un tango, gli occhi splendevano pregustando già la gioia che avrebbe visto negli occhi della bambina o del bambino che era su quel volo e che fra poco sarebbe sbucato dalla porta automatica e con sorpresa avrebbe visto  prima l’orso e poi lei. Forse la sorella? forse addirittura la madre…., no, troppo giovane e troppo spensierata per esserne la madre. Certamente una persona sulla quale avrebbe potuto fare affidamento in quella città nuova, in quel continente nuovo dove i narcos si vedono solo nei telefilm e la policia non perseguita i tuoi genitori.

C’era una signora, anch’essa coi lineamenti classici del Sudamerica, grassoccia, vestita in maniera semplice, sicuramente una cameriera di albergo, una di quelle che rifanno le camere  dei turisti e si guadagna da vivere a Madrid e forse vive in una cittadina di provincia e ogni mattina deve svegliarsi alle cinque e prendere l’autobus e questa sveglia anticipata non la turba  più di tanto. Aspetta  una vecchia amica con la quale ha condiviso una infanzia di povertà  che viene a cercare una vita migliore, anche fosse rifare i letti nelle camere degli alberghi, basta fuggire dalla incertezza.

C’era una distinta coppia di mezza età,  stanchi e non particolarmente ansiosi, aspettavano la vecchia domestica che era andata in Colombia a visitare la famiglia, avrà avuto i  figli ancora là e li avrà lasciati il giorno prima con lacrime e dolore senza sapere quando e come li avrebbe rivisti, e adesso rientrava. Loro aspettavano per accompagnarla  a casa con la loro Audi e le avrebbero fatto trovare la colazione pronta e un letto pulito nella sua cameretta perché era una  buona domestica fidata e si meritava pure di rientrare al suo paese almeno una volta l’anno, aveva pure sempre famiglia laggiù con figli che vedeva solo su Skype col tablet del padrone di casa.

C’era un giovane un poco dimesso, la barba folta e i lineamenti europei,  sembrava emozionato, carico di aspettative per una fidanzata, una moglie promessa o un amico viaggiatore.  Lo avrebbe accolto, prendendogli  le grosse valige e lo avrebbe condotto al suo furgone e poi sarebbero andati insieme in quel paese distante da Madrid dove forse faceva l’idraulico e avrebbero condiviso la giornata ancora per qualche ora, poi lui  sarebbe andato al lavoro e l’altro, o l’altra,  avrebbe dormito per ricuperare il fuso orario perduto nei cieli atlantici.

E una signora elegante col piccolo cane al guinzaglio, un barboncino nero, lei sicuramente aspettava il marito ingegnere minerario che era stato due mesi in missione in Colombia  per guadagnare di più e fare progetti irrealizzabili per l’Unesco o per la compagnia petrolifera. E si sarebbero abbracciati con dolcezza e misura, scambiati un bacio sulle guance e lui l’avrebbe presa sottobraccio dopo aver dato un buffetto al cane e insieme si sarebbero diretti al taxi che li avrebbe portati nel loro grande appartamento al penultimo piano di un  palazzo del centro e mentre si avviavano le avrebbe raccontato tutte le storie di quel mondo lontano e lei avrebbe ascoltato partecipe ed emozionata.

E mentre il display luminoso segnalava che il volo era “loaded”, atterrato, e tutti tiravano inconsapevolmente un breve sospiro di sollievo perché si sa che la partenza e l’atterraggio sono i momenti a rischio, si avvicinava l’ora di arrivo del volo UX1424 della Air Europèa da Marrakech (RAK) delle 03.15 in orario, e la scena gradatamente mutava e alle persone coi lineamenti andini che avevano occupato la scena fino ad allora si sovrapponevano e gradualmente si sostituivano  quelle dai tratti arabi, e gli uomini erano più magri, vestiti  di grigio o di nero con le barbe appuntite e lo sguardo  accigliato di immigrato e non c’erano donne sole fra coloro che aspettavano.

C’era meno gioia in quel flusso di persone, come un senso di  discriminazione ormai entrato nella pelle e non mascherabile con un semplice sorriso. Una coppia con bambino sorridente: lo avevano portato a accogliere la nonna che non aveva mai visto e abitava in un villaggio lontano dalla capitale. Il viaggio per lei era iniziato due giorni prima con pochi mezzi e pochissimi denari,  il volo lo aveva pagato il figlio che adesso era lì ad  aspettarla con tutta la famiglia, orgoglioso di poter fare questo regalo alla vecchia madre, timoroso di farle vedere nei giorni  successivi che non era diventato ricco come avevano sperato.

E c’era un giovane con una grossa borsa che guardava qualcosa sul cellulare e distrattamente buttava uno sguardo sul tabellone degli arrivi mantenendosi un po’ distante dagli altri, come  a volersi distinguere. Era forse in attesa dell’amico di gioventù che finalmente si era deciso e aveva tutti i visti e i permessi in regola e lo avrebbe raggiunto per ripartire con una nuova vita, magari facendo il manovale  e ripagando l’amico che aveva anticipato i soldi e che l’avrebbe accolto in casa per i primi tempi o forse per sempre.

E intanto si preannunciava il volo da Buenos Aires e una nuova corrente di persone si andava formando mischiandosi con quelli che già c’erano mentre i viaggiatori di Bogotà ancora non apparivano dalle porte automatiche perché  il controllo passaporti era rallentato nel turno di notte e sul display apparivano in sequenza frenetica gli altri voli intercontinentali: Casablanca,  Santa Cruz, Santiago del Chile, Caracas…..un momento, un momento: di Santa Cruz ce ne sono tante, sarà quella del Costarica o quella della California o Santa Cruz de Tenerife, no questa non può arrivare ai voli internazionali. E Caracas non è forse nel Venezuela? quel paese in piena crisi politica e sociale, ci saranno  dissidenti o rifugiati politici a bordo e chi verrà ad accoglierli, un emissario dell’ambasciata o un giornalista amico che li ospiterà a casa propria.  Ma intanto incalza il volo 6028 della KLM da Atlanta col suo carico di grassi turisti texani, ad attenderli ci sarà un autista dell’albergo dove alloggeranno con un cartello con su scritto “Grand Hotel Inglès” e domani vorranno vedere la corrida e una partita al Santiago Bernabeu perché con i soldi tutto si può a Madrid come in qualunque  altra parte del mondo. E poi a seguire gli arrivi dei voli da Abu Dabi, Moscow in ritardo, Panama, Il Cairo, Istambul da fare girare la testa, e in rapida successione alle 4,25, alle 5.10, alle 5,30 voli da Gwangju  Cheongju e Nha Trang che arrivano un po’ prima di Toronto e tutti dopo Casablanca, tutti insieme con questi nomi imbarazzanti di luoghi  asiatici introvabili sul mappamondo, un miscuglio  di Cambogia, Corea, Vietnam posti di inquinamento e di guerre e per noi tutti uguali, come fossero  tutti cinesi

Dopo un’ora  ancora nessun colombiano era sbucato dalla porta degli arrivi. Ci sarà qualche grosso guaio, un allarme terroristico o un pacco di cocaina nascosto nel bagaglio  a mano  e nel frattempo  escono altri passeggeri stanchi e smarriti non si sa da quale volo e  da quale continente e coloro che aspettavano in ultima fila si fanno largo e vanno ad incontrarli impazienti. “Che bell’aeroporto” dice uno in una lingua sconosciuta ma si capiva da come si guardava intorno stupito,  uomini con giacche sgualcite e vecchie enormi valigie che cercano con  lo sguardo un  volto amico che li accolga in questo paese, evviva Espana finalmente, e li accompagni nei loro primi passi, bambini in  fermento per mano a donne col velo azzurro che forse diventeranno badanti o aspetteranno gli uomini  a casa e un giorno impareranno a fare la spesa nel supermercato.

C’era di tutto nella sala di attesa del Terminal Uno.

E finalmente il controllo passaporti del volo AV26 dalla Colombia terminò e dalle porte automatiche  spuntò tra la folla una donna che teneva per mano una bambina, avrà avuto otto anni. Minuta, dai capelli neri e la pelle ambrata. Era vispa come una trottola, come se la fatica del viaggio non l’avesse sfiorata o forse aveva dormito per  tutto il tempo stretta alla madre che si sarà fatta piccola piccola  per lasciarle un poco del suo posto sul seggiolino. La bambina uscì dalla porta e la prima cosa che mise a fuoco nella confusione delle persone di ogni razza assiepate alle transenne fu l’orso di stoffa e i suoi occhi scuri brillarono di gioia e la ragazza elegante le andò incontro e glielo porse sorridendo. La bambina lo prese, era più alto di lei, ma leggero da poter essere sollevato e morbido e colorato, lo strinse a sé in un momento di felicità assoluta e in quell’attimo fugace il nostro ballerino di liscio capì che un nuovo giorno poteva finalmente iniziare.

continua …

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