Aeroporto Adolfo Suárez, Madrid-Barajas
Come mai fu ideata una castroneria simile? una serie di incontrollabili eventi condusse i
nostri omarelli a quella sfida di resistenza che non avevano messo in
preventivo. Il primo fattore fu che ogni tre per due il camminatore tirava
fuori la solita solfa che gli avevano rubato i soldi e doveva spendere il meno possibile perché “….la mia pensione non é come la vostra e
bla bla bla e m’hanno rubato tutto e io
non ho i mezzi che avete voi e bla e bla
e devo andare dal dentista e bla bla e maremma maiala…” ,
lamentazioni quotidiane.
Il secondo fattore fu l’orario: sarebbero arrivati
a Madrid circa a mezzanotte e la loro idea barbina era di andare in centro al mattino
successivo al più presto diciamo alle sette e ritornare in aeroporto per le undici.
Quindi avrebbero dovuto individuare un albergo vicino che li ospitasse
cinque e o sei ore al massimo con poca
spesa. Impossibile. Tentarono più volte di individuare una sistemazione
economica e facile da raggiungere, ma non c’era stato verso.
Dunque bisognava scegliere fra due
alternative: saltare il minitour di Madrid o dormire in aeroporto, dove dormire
è un termine del tutto inappropriato.
Scelta fatta perché Madrid lo avevano messo
nel mirino e non ci avrebbero rinunciato.
Raccontare la notte in aeroporto è facile. I nostri omarelli
cercarono invano una sistemazione decente e non la trovarono, niente poltroncine,
niente angoletti tranquilli magari in penombra, niente silenzio o solitudine.
L’aria fresca della notte, lo squallore delle enormi sale d’attesa, i bar
chiusi, una tivvu accesa su una partita
di calcio femminile e parecchi altri disperati
notturni come loro con l’attenuante che sicuramente erano in attesa di un aereo
mattutino o di un arrivo nelle prossime ore. Erano cioè in transito. I nostri
omarelli avrebbero avuto l’aereo per Bologna il giorno successivo alle 15 e
quindi c’erano da trascorrere quelle lunghissime ore di vuoto cosmico, non erano propriamente
in transito erano solo arrivati molto prima della partenza.
Si decise che avrebbero preso la corsa della metropolitana alle sei del mattino
e il lasso di tempo dalla mezzanotte alle sei sarebbero stati cazzi amari, ma
sei ore in confronto all’eternità rappresentano ben poca cosa.
i tre avevano mantenuto un briciolo di dignità
e si rifiutarono di sdraiarsi per terra come
barboni: adocchiarono due file di scomodissime sedie di acciaio e le
posero una davanti all’altra sottraendole agli altri miserabili in transito e
cercarono di svaccarcisi sopra con contorsioni decisamente non più alla loro
portata. Il ballerino riusciva a reggere in quelle posizioni scomposte dieci
minuti per volta dopodiché doveva alzarsi e fare un giretto di mezz’ora nel
nulla, il camminatore in qualche modo si accovacciò e riuscì a surrogare un
sonno ristoratore del quale probabilmente
risentirà le conseguenze fino a novembre e il vecchio forestale stette in piedi a giro qua e là come un
naufrago per tutta la notte.
Per puro caso si erano posizionati davanti
all’arrivo dei voli internazionali e
verso le due del mattino al ballerino venne in mente di fare un cosa da omarello.
Si accorse prima con un solo occhio aperto,
poi con le orecchie e poi con tutti i sensi che c’era un universo tutto da scoprire a pochi metri da lui: i parenti in attesa di coloro
che sarebbero arrivati con i voli della notte.
Si levò in piedi improvvisamente sveglio,
attaccò il registratore e si mise a gironzolare tra gli astanti, non mi è
venuto in mente un termine meno desueto di astanti per significare quelli in
attesa e iniziò a fantasticare.
Il tabellone degli arrivi fu una scoperta sorprendente:
a quell’ora di mattina c’era un sacco di gente sveglia e attiva, i piloti degli
aerei in arrivo per esempio, e le hostess e i passeggeri che dopo viaggi
lunghissimi si sentivano vicini alla meta e sicuramente saranno stati
elettrizzati, e la moltitudine dei parenti, amici, conoscenti in attesa.
Il primo arrivo previsto era il volo AV26
della Sa Avianca da Bogotà (BOG) Colombia delle 02.35, in orario. Bogotà
richiamava alla mente il narcotraffico e
Pablo Escobar con i baffoni.
Popolo misero che coltiva oppio sulle colline
stretto nella morsa fra i narcos e la polizia violenta, una vita di
subordinazione senza apparente speranza. Ci saranno stati narcotrafficanti su
quel volo AV26? E chi c’era ad aspettare?
A vederli così, stretti nelle maglie di cotone
leggero e l’aria pacifica non sembravano corrieri della droga, ma persone normali tirate
giù dal letto per venire fino qui a Barajas a quell’ora improbabile.
C’era un giovane con radi capelli chiari, le infradito
ai piedi e la maglietta slabbrata in piena notte madrilena, quasi estraneo al
contesto, stava un poco discosto come fosse lì per caso, con troppa birra in
corpo e una notte ancora giovane, chissà cosa aspettava. Arrivò poi una ragazza
elegante dai tratti andini con un grande orso di pezza, sarà stato alto un metro
e mezzo. Lo cingeva sorridente con il braccio largo come in un tango, gli occhi
splendevano pregustando già la gioia che avrebbe visto negli occhi della
bambina o del bambino che era su quel volo e che fra poco sarebbe sbucato dalla
porta automatica e con sorpresa avrebbe visto prima l’orso e poi lei. Forse la sorella?
forse addirittura la madre…., no, troppo giovane e troppo spensierata per
esserne la madre. Certamente una persona sulla quale avrebbe potuto fare
affidamento in quella città nuova, in quel continente nuovo dove i narcos si
vedono solo nei telefilm e la policia non perseguita i tuoi genitori.
C’era una signora, anch’essa coi lineamenti
classici del Sudamerica, grassoccia, vestita in maniera semplice, sicuramente
una cameriera di albergo, una di quelle che rifanno le camere dei turisti e si guadagna da vivere a Madrid e
forse vive in una cittadina di provincia e ogni mattina deve svegliarsi alle
cinque e prendere l’autobus e questa sveglia anticipata non la turba più di tanto. Aspetta una vecchia amica con la quale ha condiviso
una infanzia di povertà che viene a
cercare una vita migliore, anche fosse rifare i letti nelle camere degli
alberghi, basta fuggire dalla incertezza.
C’era una distinta coppia di mezza età, stanchi e non particolarmente ansiosi,
aspettavano la vecchia domestica che era andata in Colombia a visitare la
famiglia, avrà avuto i figli ancora là e
li avrà lasciati il giorno prima con lacrime e dolore senza sapere quando e
come li avrebbe rivisti, e adesso rientrava. Loro aspettavano per
accompagnarla a casa con la loro Audi e
le avrebbero fatto trovare la colazione pronta e un letto pulito nella sua cameretta
perché era una buona domestica fidata e
si meritava pure di rientrare al suo paese almeno una volta l’anno, aveva pure
sempre famiglia laggiù con figli che vedeva solo su Skype col tablet del
padrone di casa.
C’era un giovane un poco dimesso, la barba
folta e i lineamenti europei, sembrava
emozionato, carico di aspettative per una fidanzata, una moglie promessa o un
amico viaggiatore. Lo avrebbe accolto,
prendendogli le grosse valige e lo avrebbe
condotto al suo furgone e poi sarebbero andati insieme in quel paese distante
da Madrid dove forse faceva l’idraulico e avrebbero condiviso la giornata
ancora per qualche ora, poi lui sarebbe
andato al lavoro e l’altro, o l’altra,
avrebbe dormito per ricuperare il fuso orario perduto nei cieli
atlantici.
E una signora elegante col piccolo cane al
guinzaglio, un barboncino nero, lei sicuramente aspettava il marito ingegnere
minerario che era stato due mesi in missione in Colombia per guadagnare di più e fare progetti
irrealizzabili per l’Unesco o per la compagnia petrolifera. E si sarebbero
abbracciati con dolcezza e misura, scambiati un bacio sulle guance e lui
l’avrebbe presa sottobraccio dopo aver dato un buffetto al cane e insieme si
sarebbero diretti al taxi che li avrebbe portati nel loro grande appartamento al
penultimo piano di un palazzo del centro
e mentre si avviavano le avrebbe raccontato tutte le storie di quel mondo
lontano e lei avrebbe ascoltato partecipe ed emozionata.
E mentre il display luminoso segnalava che il volo
era “loaded”, atterrato, e tutti
tiravano inconsapevolmente un breve sospiro di sollievo perché si sa che la
partenza e l’atterraggio sono i momenti a rischio, si avvicinava l’ora di arrivo
del volo UX1424 della Air Europèa da Marrakech (RAK) delle 03.15 in orario, e
la scena gradatamente mutava e alle persone coi lineamenti andini che avevano
occupato la scena fino ad allora si sovrapponevano e gradualmente si
sostituivano quelle dai tratti arabi, e gli
uomini erano più magri, vestiti di grigio
o di nero con le barbe appuntite e lo sguardo accigliato di immigrato e non c’erano donne
sole fra coloro che aspettavano.
C’era meno gioia in quel flusso di persone,
come un senso di discriminazione ormai
entrato nella pelle e non mascherabile con un semplice sorriso. Una coppia con
bambino sorridente: lo avevano portato a accogliere la nonna che non aveva mai
visto e abitava in un villaggio lontano dalla capitale. Il viaggio per lei era
iniziato due giorni prima con pochi mezzi e pochissimi denari, il volo lo aveva pagato il figlio che adesso
era lì ad aspettarla con tutta la famiglia,
orgoglioso di poter fare questo regalo alla vecchia madre, timoroso di farle
vedere nei giorni successivi che non era
diventato ricco come avevano sperato.
E c’era un giovane con una grossa borsa che
guardava qualcosa sul cellulare e distrattamente buttava uno sguardo sul tabellone
degli arrivi mantenendosi un po’ distante dagli altri, come a volersi distinguere. Era forse in attesa dell’amico
di gioventù che finalmente si era deciso e aveva tutti i visti e i permessi in
regola e lo avrebbe raggiunto per ripartire con una nuova vita, magari facendo
il manovale e ripagando l’amico che
aveva anticipato i soldi e che l’avrebbe accolto in casa per i primi tempi o
forse per sempre.
E intanto si preannunciava il volo da Buenos
Aires e una nuova corrente di persone si andava formando mischiandosi con
quelli che già c’erano mentre i viaggiatori di Bogotà ancora non apparivano
dalle porte automatiche perché il
controllo passaporti era rallentato nel turno di notte e sul display apparivano
in sequenza frenetica gli altri voli intercontinentali: Casablanca, Santa Cruz, Santiago del Chile, Caracas…..un
momento, un momento: di Santa Cruz ce ne sono tante, sarà quella del Costarica
o quella della California o Santa Cruz de Tenerife, no questa non può arrivare
ai voli internazionali. E Caracas non è forse nel Venezuela? quel paese in
piena crisi politica e sociale, ci saranno dissidenti o rifugiati politici a bordo e chi
verrà ad accoglierli, un emissario dell’ambasciata o un giornalista amico che
li ospiterà a casa propria. Ma intanto
incalza il volo 6028 della KLM da Atlanta col suo carico di grassi turisti
texani, ad attenderli ci sarà un autista dell’albergo dove alloggeranno con un
cartello con su scritto “Grand Hotel Inglès” e domani vorranno vedere la
corrida e una partita al Santiago Bernabeu perché con i soldi tutto si può a
Madrid come in qualunque altra parte del
mondo. E poi a seguire gli arrivi dei voli da Abu Dabi, Moscow in ritardo, Panama,
Il Cairo, Istambul da fare girare la testa, e in rapida successione alle 4,25, alle
5.10, alle 5,30 voli da Gwangju Cheongju
e Nha Trang che arrivano un po’ prima di Toronto e tutti dopo Casablanca, tutti
insieme con questi nomi imbarazzanti di luoghi asiatici introvabili sul mappamondo, un
miscuglio di Cambogia, Corea, Vietnam posti
di inquinamento e di guerre e per noi tutti uguali, come fossero tutti cinesi
Dopo un’ora
ancora nessun colombiano era sbucato dalla porta degli arrivi. Ci sarà
qualche grosso guaio, un allarme terroristico o un pacco di cocaina nascosto
nel bagaglio a mano e nel frattempo escono altri passeggeri stanchi e smarriti
non si sa da quale volo e da quale
continente e coloro che aspettavano in ultima fila si fanno largo e vanno ad
incontrarli impazienti. “Che
bell’aeroporto” dice uno in una lingua sconosciuta ma si capiva da come si
guardava intorno stupito, uomini con
giacche sgualcite e vecchie enormi valigie che cercano con lo sguardo un
volto amico che li accolga in questo paese, evviva Espana finalmente, e
li accompagni nei loro primi passi, bambini in
fermento per mano a donne col velo azzurro che forse diventeranno
badanti o aspetteranno gli uomini a casa
e un giorno impareranno a fare la spesa nel supermercato.
C’era di tutto nella sala di attesa del
Terminal Uno.
E finalmente il controllo passaporti del volo AV26 dalla Colombia terminò e dalle porte automatiche spuntò tra la folla una donna che teneva per mano una bambina, avrà avuto otto anni. Minuta, dai capelli neri e la pelle ambrata. Era vispa come una trottola, come se la fatica del viaggio non l’avesse sfiorata o forse aveva dormito per tutto il tempo stretta alla madre che si sarà fatta piccola piccola per lasciarle un poco del suo posto sul seggiolino. La bambina uscì dalla porta e la prima cosa che mise a fuoco nella confusione delle persone di ogni razza assiepate alle transenne fu l’orso di stoffa e i suoi occhi scuri brillarono di gioia e la ragazza elegante le andò incontro e glielo porse sorridendo. La bambina lo prese, era più alto di lei, ma leggero da poter essere sollevato e morbido e colorato, lo strinse a sé in un momento di felicità assoluta e in quell’attimo fugace il nostro ballerino di liscio capì che un nuovo giorno poteva finalmente iniziare.
continua …