Tre umarell… – 14° Intanto a casa ….

Intanto a casa il ciclista provetto era triste perché pensava ai compagni in giro per la Spagna mentre lui coltivava una solenne bronchite che non lo faceva neppure salire in bici.

Era stata una decisione saggia quella di non andare, pensava. Prima i dolori ai piedi che erano reali e non immaginari come malignamente insinuavano gli umarelli, e poi la bronchite iniziata con qualche colpo di tosse sottovalutato, un malessere strisciante alla gola e una insolita debolezza.

E pensare che era merito suo se quella faccenda aveva preso corpo e si era sviluppata negli anni e poi, mannaggia,  si era dovuto fermare sul più bello. Ma perché non riusciva mai a tenere gli eventi sotto controllo?  perché la cose andavano alla deriva in maniera confusionaria con strappi e scelte azzardate, senza un briciolo di pianificazione e di cautela?  Lui che era così avveduto perché le cose si fanno perbenino un po’ alla volta e senza perdere il legame con la quotidianità, perché camminare andava bene, ma lo si può fare anche sulle colline intorno casa  e ci si può perfino spingere a stare anche una giornata fuori, ma la sera vuoi mettere la serenità del rientro nella propria rassicurante camera da letto, vuoi mettere la pace che ti dà guardare la tua automobile al sicuro in garage!

Perché questo bisogno di strapazzo e incertezza affascinava gli altri umarelli? perché non apprezzavano  la routine del caffè seduto al bar col giornale  in mano a guardare il passeggio e dibattere di questioni importanti, di arte, politica, letteratura, interessi che non erano da umarello, ma da persona seria, istruita, interessata al mondo e narrare di personaggi, fatti, date e informarsi prima di parlare per non apparire generalisti  ma pertinenti, documentati e salutare i passanti “Buongiorno Tizio. Salve Caio. Come va Sempronio” . Cosa cavolo facevano gli altri con le loro cazzate improvvise? 

C’era sempre stata questa imprevedibilità degli amici che lo spiazzava, che fosse far tardi la notte, un’avventura strampalata, un muoversi senza senso, una donna impossibile, una partenza senza destinazione o l’esplorazione pericolosa di una grotta senza alcuna precauzione.  

Il bolognese era stato uno specialista di questi improvvisi cambi di programma, il ballerino era notoriamente inaffidabile e il camminatore era cresciuto totalmente ruspante, tanto incontrollabile quanto attraente proprio per questa imprevedibilità. Gli altri due, il forestale e il politico, erano più coscienziosi, ma per questo stuzzicavano meno lo spiritello che gli stava appollaiato sulla spalla sinistra o lo attirava e poi lo respingeva, lo eccitava e poi fatalmente si trovava a fare i conti con quel maledetto grillo parlante saggio e avveduto che gli stava saldamente radicato sulla spalla destra.

La loro storia di amicizia era questa: partecipava a tutto con passione e poi a un certo punto, non si sa come, gli toccava guardare dalla finestra cosa accadeva agli altri.

Il fatto è che seguiva il proprio razionale ragionamento: uno più uno fa sempre due e i passi si fanno uno dopo l’altro non in modo strampalato e disordinato come sembrava attirare tanto gli amici.

Aveva voglia che proporre iniziative interessanti e tranquille come la visita alla statua equestre del pulcino pio o il ricco percorso museale del fagiolo con le cotiche o l’esplorazione degli scritti inediti di Butriolo da Volpedo, niente da fare, gli altri preferivano dilettarsi in futili cazzate come dar fuoco alle canali, incendiare le scoregge, andare a funghi  o inciuccarsi di vino scadente e in età più matura boicottavano  le sue iniziative con sfilze di scuse classiche tipo  non mi sento bene,  mia moglie ha preso un impegno, non ho ferie, ho il torneo di canasta. Le sue iniziative culturali e ragionevoli non trainavano.    

Quante volte gli amici avrebbero invece desiderato scompaginarlo, creargli un casino intorno per vederne le reazioni e gustarselo allo stato brado, ma lui resisteva imperterrito perché si trovava in difficoltà ad adeguare i propri ritmi a queste improvvisazioni. Non è che teoricamente non gli piacessero le stupidaggini, anzi, ne era un buon teorico, ma quando si trattava di porle in atto aveva posto l’assicella del limite alle cazzate molto più in basso degli altri. Insomma era sempre stato quello posato, metodico, razionale, era il suo limite e la sua qualità  perché uno così fa sempre bene come equilibratore in una banda di improvvisatori.

Si capiva però che a lui mancava quell’avventura spagnola, che una parte di sé avrebbe voluto essere con loro, per questo era contento quando si sentivano al telefono, chiedeva cosa stessero facendo, dove fossero, cosa  accadeva intorno a loro e rideva divertito e voleva essere partecipe.  Loro gli mandavano fotografie e video perché sarebbe stato bello averlo accanto in questa isola dei non-famosi per misurare insieme il grado di tolleranza e coinvolgimento e riderci sopra e ricordare poi per anni. 

Intanto progettava pranzi, gite, camminate da fare una volta tornati, tutte cose moderate, precise e soddisfacenti. Pensava il futuro ed evitava il presente mentre gli  altri non sapevano  affatto se e quando avrebbero camminato di nuovo insieme o se sarebbero andati a pranzo proprio quel giorno là.

Fissa te, gli dicevano, e lui si  ingegnava a trovare il dove e il quando poi chiamava uno ad uno e disordinatamente gli rispondevano si va bene, ma ora non posso, forse, chissà, vediamo.

Senza dubbio era stata una decisione più che saggia quella di non andare,  ma certe volte la saggezza bisognerebbe mandarla a quel paese e prendere una ubriacatura di stupidaggini e di frivolezze, questo lo sapeva, si trattava solo di trovare il modo di fare quel piccolo salto nel buio insieme agli amici, staccarsi dal ventre di vacca della concessionaria auto o del Caffè Centrale e poi stare a vedere quel che succede. E quel giorno, prima o dopo, sarebbe arrivato.

Intanto “il bolognese” se ne stava ovviamente a Bologna e faceva il suo come sempre. Era difficile mantenere i contatti con gli altri a cento  chilometri di distanza  e con abitudini ormai diverse. Difficile sincronizzare gli impegni dopo la desuetudine alla frequentazione. C’era stata negli anni una colpevole e deplorevole disattenzione degli altri, in particolare del ballerino di liscio che, come sempre, aveva interrotto le comunicazioni  quaranta anni prima senza alcun motivo logico, solo stanchezza, voglia di cambiare e proprio verso di lui  con il quale c’era sempre stata una complice comunanza di follie. Troppo tempo era trascorso senza  sapere niente l’uno dell’altro, lasciando che si sedimentasse l’indifferenza. Ma ora il tempo della lontananza era finito e per sempre. Basta distacco, ora c’era da recuperare il tempo perduto, questo tratto della vita, l’ultimo, l’avrebbero percorso in sintonia e non ci sarebbe stata più freddezza.

Intanto in un’altra casa di un’altra città  l’ultimo omarello che nella vita si era sempre esposto e speso per gli altri, doveva stare buono buono e vedere da lontano le piccole avventure degli altri senza intervenire. Assistere mentre la sua amata politica nella quale aveva sempre creduto fermamente  si riduceva ogni giorno di più a bottega senza poter fare più niente se non sagge considerazioni inascoltate, come fosse un vecchio rimbambito fuori del tempo che “ai miei tempi …..” e non uno che le aveva provate tutte per migliorare la società anche andare in gita premio al Cremlino fiducioso di trovare qualcosa di buono, anche fare politica attiva, quella di quartiere, quella di impegno personale e poi nulla, nessuno lo stava a sentire. E ci mancava pure di veder camminare gli altri senza poter mettere gli scarponi e andare, senza respirare la deliziosa aria di montagna, senza la sensazione di libertà che gli dava uscire all’aria aperta e misurare le proprie forze. Ci voleva pazienza, ora, e aspettare per vedere come inquadrare il futuro, ma lui era ormai un  omarello saggio e, come tutte le altre volte, qualcosa gli sarebbe venuta in mente. Pazienza pazienza…..

continua…

Tre umarell… 13 – El cuarto dia: da Arcade a Combarro

Nella bella cittadina di Arcade, località famosa per le ostriche e i frutti di mare,  molti bar e ristoranti servivano  queste specialità, ma i nostri erano troppo cupi e stanchi per andare oltre la soglia della squallida locanda dove avevano passato cena e notte  e queste specialità se le erano perse. Per informazione Arcade si trova nella parte interna della Ria di Vigo, un estuario che forma un lungo fiordo, il cui fondale è tutt’altro che profondo e il fenomeno delle maree qui è particolarmente visibile. I nostri umarelli di buon mattino partirono rinfrancati da un sole caldo che dava una luce diversa al paesaggio e attraversarono il bel ponte di pietra sull’estuario ammirando la bassa marea e le barche in secca consapevoli di aver sprecato  il bello del soggiorno a Arcade, ma quello era il ruolino di marcia che si erano imposti e non si potevano permettere distrazioni. In effetti tutta la giornata fu un po’ di corsa.

Camminarono di  buonumore tutta la mattina incontrando molti pellegrini di ogni razza ed età e scambiandosi affaticati “Buen camino” a tutto spiano. Il camminatore assiduo quando poteva attaccava discorso con quelli che affiancavano con stralci di dotto inglese accademico misto a dialetti locali “Ola, noi ar going to Santiago e voi ? Noi somos de Firenze Italy , conoscè  Firenz ?” e il ballerino mugugnava perché diceva che erano di  Firenze. “Dite di Pistoia piuttosto, che anche se non la conoscono è lo stesso, non vergognatevi delle origini e poi a me i fiorentini mi stanno sui coglioni perché ci ho lavorato sette anni e ho dovuto combattere con tutti perché sono gobbo e loro violacei”. E il vecchio forestale diceva a tutti che nella sua  carriera di forestale aveva frequentato prefetti, assessori, sottosegretari e messi comunali di tutte le città d’Italia,  ma naturalmente lo diceva in italiano e nessuno lo capiva a parte i due omarelli che non ne potevano più delle storie della forestale e tutto il resto. E poi ognuno doveva pensare a mettere un passo dopo l’altro che era la cosa fondamentale di quella camminata se volevano arrivare in fondo.

A un  certo punto  scorsero su un prato un gruppetto di bovini e dopo un paio di chilometri un cavallo e anche alcune pecore sparse  e si dissero che l’azienda di soggiorno della Galizia li doveva aver piazzati lungo il percorso per far vedere quanto fosse bucolica la zona perché furono i soli animali che videro  in tutto il viaggio.

Poi, grazie a una deviazione che il vecchio forestale non gradiva perché più lunga del percorso stradale, attraversarono un bel bosco che seguiva il letto del fiume Tomeza e qui si imbatterono in un ragazzetto di una decina di anni che correva lieto sul sentiero da solo e al ballerino vennero in mente le favole terribili di Cappuccetto Rosso e di Pollicino  e pensò che ci voleva una bella incoscienza  a mandare un bambinetto a correre nel bosco da solo perché i lupi e gli orchi esistono davvero e sono più feroci di quelli raccontati nelle favole dove  poi vengono sempre sacrificati per il lieto fine. Nel  mondo reale spesso non c’è il lieto fine e quello doveva essere un paese particolarmente felice o particolarmente distratto  se un bambino se ne andava da solo nel bosco.

Arrivati a un ponticino sul fiume si sedettero a bere le bibite gassate che avevano con sé e a chiacchierare con un gruppo di matrone tedesche, o forse inglesi o australiane non si capiva bene, tutte sovrappeso e rosse in viso coi culi afflosciati sul parapetto del ponte. Anche a loro dissero che erano di Firenze e le altre risposero “Wonderful Florence! “ E loro risposero “Eh si ! e il discorso morì lì e il ballerino ripeté per la centesima volta “Ma perché dite che si viene da Firenze, porca miseria !”.  Le matrone stettero ancora flosce a rimirarsi i piedi e i nostri umarelli ripresero con solerzia il cammino per arrivare a Pontevedra.

Qui giunti trovarono l’ostello  principale che pullulava di pellegrini di ogni natura, sesso e religione che facevano tanto folclore pellegrinesco e si scambiavano abbracci e baci e saluti gioiosi di circostanza e scapparono subito da quella folla variopinta e sudaticcia per andare a cercare l’Ufficio Turistico.

Il vecchio forestale guidava il manipolo perché voleva sapere dove avrebbero dormito sulla variante spirituale perché va bene la spiritualità, ma un buon  letto e una sana doccia venivano pari pari con lo spirito di cui sopra e una variante senza letti più che spirituale sarebbe stata una cazzata enorme.

La questione era così importante che sentiva la necessità di domandarlo a chiunque avesse la sventura di poter apparire edotto sul fatto del dormire, che fosse il barista dell’ostello  o un vigile urbano o il sindaco  di Pontevedra che incocciarono per caso.

Questo sindaco, al quale avevano chiesto  una semplice informazione fermandolo per strada, era proprio un bel tipo di nome Miguel Anxo Fernández Lores. Fu gentilissimo con i nostri umarelli che  accompagnò personalmente all’ufficio turistico. Per la strada si disvelò e disse “Lo sapete  con chi state parlando ?”  e uno degli umarelli disse “certochennò ! “ che in spagnolo si dice “No” e il sindaco disse “Io sono Miguel Fernandez il sindaco di Pontevedra ! “ che in spagnolo si dice Alcalde de Pontevedra. Alla quale notizia i nostri umarelli si umarellarono immediatamente e uno cominciò a chiedergli che ne pensasse di Renzi, uno disse che la città era bellissima e se fosse di destra o di sinistra, l’altro gli chiese se ci fosse posto da dormire lungo il cammino spirituale e tutti si vollero fare una foto a braccetto coll’alcalde di quella bellissima città per poterlo raccontare ai parenti.

Miguel, ormai erano in confidenza avendo percorso più di cento metri insieme, stava andando a celebrare un matrimonio che in spagnolo si dice matrimonio e disse che governava (gobernò) quella città (ciudad) da più di venti anni (más de veinte años) e non aveva intenzione di smettere (detener) perché il suo lavoro era molto bello e aveva ottenuto numerosi riconoscimenti mondiali (mundial), ma lo diceva senza vantarsi troppo, poi disse anche che non sapeva chi fosse quel Renzi (Renzi) e che no, non sapeva nulla di dove dormire sul cammino spirituale e se ne andò dalla sposa (novia). Non è che capirono proprio tutto, ma il succo era questo e alla fine di tutto un omarello disse impressionato “ aoh, il sindaco …..’sticazzi !”

Si compiacquero della città di Pontevedra che era  bellissima, piena di piazze affollate da  miliardi di persone che gremivano sorridenti i caffè e i ristorantini bevendo calici di ambrosia e sussurrando  tenere  frasi d’amore alle ragazze dentro magnifiche aree pedonali ornate di monumenti equestri e di fiori coi terrazzi ornati di ghirlande variopinte, e gli stornellatori  cantavano gioiose melodie sotto il sole ridente e le donne erano tutte giovani e belle e i maschi sembravano snelli toreri in maglietta e gli anziani venivano nutriti a gerovital. E i bambini poi..…che meraviglia. I  bambini giravano in bicicletta liberi e i colombi cacavano girandole gialle indisturbati sui balconi imbandierati a festa mentre gli aerei della pattuglia acrobatica sfrecciavano nel cielo terso facendo impennare gli aquiloni dei ragazzini che correvano coi padri affettuosi e il profumo di sangria si effondeva nell’aere e tutti erano ebbri di felicità.

Insomma forse era un tantino esagerato, ma la città era davvero a misura di uomo e  si chiesero se i Pontevedrini non avessero un cazzo da fare per esser tutti lì a godersela e che avrebbero dovuto trasferirsi  anche loro a Pontevedra, tanto più che erano in confidenza col sindaco.

Andarono all’Ufficio del Turismo che li dirottò a un altro punto di informazione perché a Pontevedra con tutto quel benessere c’erano molteplici uffici che si occupavano di queste cose (e te credo !) ma non ottennero alcuna certezza sui posti dove dormire nei giorni a venire.

Per prendere una decisione che di fatto era già stata presa si rifugiarono in un ristorantino lungo la strada, non prima di  una accanita discussione sul fatto  se convenisse prendere un tavolo al sole o all’ombra che sembrava una questione di vita o di morte. Poi scoprirono che la cameriera carina non capiva  un granché del loro slang misto perche non seppe indicare il bagno che loro chiamavano correttamente bagno, gabinetto, latrina, toilette, wc invece che “aseo” come c’era effettivamente scritto sulla porta. Per ordinare dovettero indicare a gesti il piatto che stava divorando un altro cliente perché il menù era incomprensibile  e la medesima cameriera pure. Il piatto era una zangola di magnifico callos con ceci e maiale in brodo che divorarono accompagnato da Estrella e naturalmente acqua gasata a mille ampere.

Fu lì che la decisione si materializzò fra qualche residua protesta e qualche dubbio: avrebbero proseguito per la variante spiritual subito dopo pranzo, lasciando perdere le magnificenze di Pontevedra e confidando nella provvidenza.

Fatto il pieno di gas nello stomaco si rimisero in cammino e dettero un addio malinconico alla città attraversando i suoi magnifici ponti, poi il vecchio forestale, che aveva ancora ruggini da smaltire col mondo, assunse autoritario il comando delle operazioni e decise quale strada prendere e anziché percorrere il sentiero del cammino di Santiago, inforcò deciso la strada statale verso la prossima meta, proprio come se fossero stati in auto.

Quello che seguì fu un coacervo di situazioni strane e premonitrici: fecero diversi chilometri sulla strada fra il caos delle macchine e le curve tortuose seguendo le indicazioni dei cartelli stradali comprese le rotatorie che percorsero diligentemente in mezzo al traffico mantenendo la corsia di destra. Intanto il ballerino di liscio lentamente si staccava dagli altri due, assumendo un atteggiamento rilassato e introspettivo e  iniziando a impersonare la parte del cavaliere solitario alla Clint Estwood.  La cosa non garbò agli atri, ma lui incurante si fece tutta la strada da solo fino a Combarro, dove arrivò con  una mezz’oretta di ritardo. L’ingresso in paese non fu trionfale, ma fu fatto all’unisono come da copione perché gli altri lo aspettavano ingerendo limonata frizzante e si incantarono ad ammirare l’alta marea che copriva il sentiero. Si fermarono a chiedere informazioni in lingua spagnola, o quello che era, sulle camere all’albergo Xeito lungo la strada principale e fu un buona intuizione.

Il portiere dello Xeito  faceva il finto tonto ma era un tipo sveglio che capì subito il problema che affliggeva i tre  umarelli  e  lo risolse indicando un altro alberghetto disponibile giusto una ventina di chilometri dopo, cosa  che avrebbe risolto i dubbi di letto, anzi fece di più chiamò subito la signora Luisa del suddetto alberghetto e la preallertò che forse l’indomani avrebbe avuto visite pellegrinesche e di tenersi pronta. Poi trattarono sul prezzo delle camere e il portiere incassò il tutto al nero e agli omarelli venne una botta di nostalgia perché sembrava di essere in Italia.

La cosa rese l’atmosfera più tranquilla, e ce ne era bisogno, e i tre dopo doccia, unzione dei piedi e cambio di indumenti si ritrovarono per la cena. Il ballerino di liscio per l’occasione indossò calzini corti grigiastri e sandali che stava una meraviglia, mandò anche una foto dei piedi alla moglie entusiasta che sicuramente pensò “ma come l’è bel il mio umarell !”.

 

Il paesetto di Combarro nel suo lungomare caratteristico si rivelò una gradevole sorpresa: pieno zeppo di bancarelle, negozi di souvenir e localini di pesce con una fiumana di turisti che arrivavano in pulman e giravano, chiacchieravano e compravano  cappellini, targhette, collane e gelati. Quasi non si transitava dalle strette stradine dal pieno che c’era e il mare nel frattempo  abbassava la superficie rivelando il fondale pieno di detriti marini e animaletti commestibili. Bello !

Apprezzarono molto l’atmosfera e si fecero foto sorridenti, le asperità della giornata erano sparite come la fatica e stettero bene.

La cenetta sul mare fu a base di pesce fritto e pulpo alla gallega con patatas che in italiano si  dice polpo alla gallega con patate e si fa anche da noi, ma questo è molto più buono perché qui siamo in Galizia e ci mettono anche la paprika e la bassa marea.

Fu una giornata lunga e faticosa, piena di  cose da ricordare e quando andarono a letto erano pieni di buoni propositi.

continua ….

Tre umarell… – 12° Riflessioni notturne del ballerino di liscio

Il ballerino stava quieto nel letto accanto al camminatore che dormiva tossicchiando catarri e si lasciava andare ai ricordi senza briglie.

Qualche tempo prima aveva ritrovato un quaderno della quinta elementare, anno 1959, una scrittura minuta  e precisa, un lessico adulto e ormai desueto pieno di passati remoti e di esatti congiuntivi, era stato il suo stile fino da piccino.

C’era il racconto di due amici che trascorrevano un pomeriggio in Piazza d’armi, all’epoca l’unico giardino pubblico della città; dieci anni e già aveva un amico più caro fra tutti i compagni di scuola, una persona con cui condividere le avventure.

“Ieri l’altro siamo andati insieme al mio compagno  in Piazza d’Armi, appena arrivati salimmo su una automobilina ad elettricità. Io guidavo e F***** stava accanto a me con una tremarella che non vi dico. Finalmente le automobili partirono e incominciammo ad urtarci con altri veicoli che correvano sulla medesima pista.

A un certo punto schivammo un attacco e ci ritrovammo nel bel mezzo della mischia. Mentre io tentavo di portarci fuori dalla baruffa le altre auto ci venivano contro. E via, schivate ! Colpi ! Mischie ! e intanto il berretto mi calava sugli occhi. Ad un tratto F***** cominciò a gridare” stai attento !” Schivale ! Vai veloce !” però io  continuavo a cozzare  contro le altre automobiline. Per dire la verità io non avevo mai guidato quelle macchine e perciò mi era venuta un po’ di paura e mi pareva che fossimo pulci in confronto agli altri automobilisti.

Il tempo però passò presto e giunse il segnale di stop e noi uscimmo dalla nostra macchinetta con addosso una tale tremarella che appena fummo fuori dalla macchina tirammo un sospiro di sollievo.”

Ricordò quella volta, allora erano più grandicelli, che si sfidarono per un tappino di bottiglia dell’acqua Tesorino che era molto raro per lui collezionista di tappi. “Ho un tesoro per te, ma non ti sarà facile averlo” diceva F***** che lo aveva trovato e voleva regalarlo all’amico, ma chissà perché voleva anche che non fosse così scontato per lui averlo, voleva che se lo conquistasse.

Una sfida  di resistenza, o di cocciutaggine. Non ricordava più come ebbe origine quella provocazione: F***** cercava di fargli male a un braccio, gli dava i pizzicotti, gli storceva il polso,  affondava le unghie nella carne per farlo gridare, per fargli chiedere di smettere e lui resisteva per dimostrare di essere più forte, e così andò avanti per un bel po’ di tempo e di dolore e di sguardi ferrei. Poi l’amico cedette e lui ebbe  finalmente il suo tappino della Tesorino e soprattutto dimostrò a se stesso che poteva resistere. Ma non si sentiva vincitore, non c’era uno più forte e un più debole fra loro, le prove di supremazia ogni volta fallivano e si rovesciavano,  erano soci alla pari in qualunque cosa e quando se ne rendevano conto erano sicuri che avrebbero potuto sfidare il mondo insieme.

Ricordò i pomeriggi di domenica nella stanza della zia Piera, al secondo piano del palazzo dove abitava F*****. Le feste da ballo da sedicenni con le imposte  serrate e la luce che a un certo punto, dopo i primi timidi balli, veniva spenta e le ragazze emettevano gridolini di pudore e qualcuna protestava perché al buio era più facile per tutti superare la timidezza. Le compagne di allora: Luigia, la prima ragazzina, Tiziana l’amica di tutti, Rossella che disse di no al ballerino, la triste Mary, Silvia, i primi fllarini, si chiamavano così allora. Stranamente non ricordava i nomi dei ragazzi, solo che c’erano lui e F***** e forse è lì che accaddero i primi baci o probabilmente neppure quelli sapeva dare. Erano pomeriggi belli con il giradischi e le bottiglie di spuma e F***** che era il protagonista di quelle giornate: lui organizzava, lui conquistava e lui aveva il coraggio con le femmine che il ballerino non aveva. Lo ammirava.

Anni più tardi si erano messi a giocare a poker trascinati da compagni  avventurosi e senza scrupoli ed avevano perso soldi che non possedevano  fin quando non decisero di mettersi in società: giocavano a mezzo stillando le carte a turno e rischiando  i soldi comuni e  da allora vinsero e rivinsero e pagarono i loro debiti e si fecero a loro volta creditori  di altri disperati compagni che continuavano a giocare da soli. In coppia funzionavano che era una meraviglia.

Poi presero in affitto un appartamentino a Firenze in Piazza Gavinana per portarci le ragazze e a tempo perso studiare. Non fecero né l’una cosa né l’altra e dopo pochi mesi mollarono tutto e l’amico pensò che era meglio se studiava con altri.

Anche loro vissero una specie di sessantotto, infatuati dal movimento studentesco del quale cercavano di estrapolare qualche idea marxista e qualche compagna disponibile perché si era sparsa la voce effimera che le compagne ci stavano. Scesero in piazza Duomo per manifestare contro il comizio  del neofascista Birindelli nel corso del quale avvennero tafferugli e conseguenti  cariche della polizia. Naturalmente loro due erano fianco a fianco a guardare torvi i celerini servi-del-padrone, ma appena si trovarono di fronte a una carica di  questurini scatenati col manganello ripararono con una fuga strategica in un portone, era il portone di casa di F***** per l’esattezza, che era il più vicino, e lo chiusero al volo dimenticandosi fuori la vecchia professoressa combattente partigiana che si prese una sonora manganellata nella cervice al posto loro. Non furono propriamente degli eroi in quella occasione, ma soltanto la storia li potrà giudicare ! Comunque la professoressa dovette andare all’ospedale e fortunatamente non si accorse che i suoi discepoli l’avevano chiusa fuori, o forse fece finta perché fra quelli che avevano fatto il brutto gesto c’era anche il figlio.

Durante le Olimpiadi del 1972 all’improvviso uno dei due disse “Sarebbe bello andarle a vedere da vicino” e l’altro rispose semplicemente  “Andiamo!” e partirono sulla 500 blu decapottabile di F***** con talmente pochi quattrini in tasca che arrivati a Monaco di Baviera non avevano i soldi per entrare a vedere le gare. Stettero un paio di giorni a bighellonare  e mangiare wurstel  da sciagurati sulla collinetta del villaggio olimpico e tornarono a casa con le magliette e le spille ricordo, fortunatamente prima del massacro di Settembre Nero.

Andarono insieme a vedere partite di calcio a Firenze delle quali a loro non importava nulla perché le stupidaggini era bello farle insieme. Ad uno veniva un’idea e l’altro seguiva, come  la squadra di hockey che loro due avevano inventato dal nulla perché l’amico era quello disposto a condividere qualunque sciocca avventura gli si proponesse. Si fidavano l’uno dell’altro, anche  se lui, il ballerino, a un certo punto della storia era sempre stato un po’ inaffidabile e poteva abbandonare una ragazza, un appuntamento o una squadra di hockey per noia o per dimostrare di esser autosufficiente, e che non aveva bisogno di nessuno. Giocava a fare l’intellettuale impegnato che quando le cose diventano troppo popolari si allontana sdegnato perdendo così le occasioni migliori della giovinezza che l’altro godeva appieno. Un narcisista mascherato da timido, “Mi si noterà di più se vengo e sto in disparte o se non  vengo” come anni dopo spiegherà bene  Nanni Moretti. L’amico conosceva  bene questo trucco e non lo approvava, soprattutto non ci cascava. Lui era concreto, abituato da sempre a puntare dritto alla sostanza delle cose e sapeva di aver ragione da vendere. Fino a quando le strade si erano divise perché F***** decise di crescere:  il fidanzamento e poi il matrimonio quando l’altro ancora pensava ai giochi da sfigati, un buon  lavoro, la carriera gratificante, i figli e il segnale che tutto stava mutando in un rapporto diverso fatto di silenzio e lontananza. Un distacco che fece bene a tutti e due per far loro prendere la strada della maturità, senza vincoli e senza più sfide fra di loro.

Il giorno delle nozze il ballerino si fece prestare un improbabile vestito color panna e accompagnò l’amico fino alle soglie dell’altare dove idealmente lo consegnò  alla sposa e il suo ruolo cambiò.

E ripensò alla giornata di cammino appena terminata nella quale aveva visto l’amico d’infanzia, ormai indebolito come lui stesso, soffrire, piegato sulle gambe, quasi implorando di fermarsi un poco, di dare una ragione a quella testardaggine, e si chiese con quale diritto avesse così spremuto le energie degli altri, avesse perseguito il proprio interesse o la propria bizza come sempre senza curarsi del volere altrui. “O si fa così o me ne vado”. Ancora una sfida di volontà fra loro.  Ma non valeva questa violenza, non era giusta e se in tre erano partiti  in tre avrebbero dovuto camminare  E pensò che  sarebbe stato più lieve il cammino dell’amico se gli fosse stato al fianco anziché pavoneggiarsi con la sciocca imitazione del sergente Hartman. Pensò che in fondo non erano cambiati da allora e sempre si sfidavano, giocando a chi resiste di più con la stessa  supponenza di quando da bambini dovevano dimostrare qualcosa. Si chiese se fosse stato giusto di non cambiare mai o se piuttosto non ci si dovesse piegare al trascorrere del tempo e diventare cedevoli almeno per una volta, accettare di essere i più deboli per far felice l’altro. Fu doloroso riconoscere che aveva approfittato della stanchezza dell’amico, che gli altri si arrangino e protestino pure tanto poi passerà.

Ma il ballerino sapeva come consolarsi e come dormire tranquillo, era un esercizio imparato da piccolo e tenacemente praticato nel corso degli anni e nei confronti di tutti, colleghi, famiglia, amici, figli: tanto prima o poi passerà, e l’amico, l’amico di sempre, come sempre perdonerà e capirà perché così è sempre stato e per sempre continuerà anche quando dentro di noi sappiamo che è sbagliato, ma costa troppo ammetterlo.

E pensò a tutte quelle volte che aveva proposto qualche impresa eroica o qualche sciocchezza e l’amico, sempre lui, quello che adesso era un vecchio forestale, rispondeva con entusiasmo “Io ci sto !” . E anche quella volta, un anno prima, quando aveva buttato la proposta “Andiamo a Santiago” l’altro aveva risposto senza esitazione “Io vengo !” e  averlo accanto era rassicurante perché era forte, deciso, organizzato e determinato e il suo coinvolgimento era totale, e lui era uno che non tradiva e senza quella frase decisa “Io vengo!” adesso non sarebbero stati lì, in quella stanza di un brutto albergo di Arcade che rappresentava l’ultima avventura, la più bella.

E infine nel suo cuore profondamente lo ringraziò per non aver mai pronunciato le parole “Io mi fermo.” né sulla macchinina elettrica in quel 1959 in Piazza d’Armi  e nemmeno sul cammino di Santiago in una giornata di prostrazione fisica e non essersi tirato indietro neppure quel giorno.

Poi si addormentò.

continua …

Tre umarell… – 11° Dìa tres: da O’Porrino a Arcade

Questo giorno fu decisivo per lo sviluppo del cammino dei nostri umarelli.

Partirono che pioveva e le pasticcerie erano tutte chiuse e questo avrebbe potuto metterli di malumore se non fosse che quei tre avevano proprio voglia di essere lì in quel momento e ridevano di tutto, si facevano scherzi mentre camminavano e  foto in pose ridicole e dicevano “Buen Camino” a tutti e buttavano là parole a caso in spagnolo ad alta voce  “Ola, Buenas dias, Caballeros, andale andale, vamonos “ come incitamento e cantavano canzoni della gioventù e camminavano a zig zag e fingevano che gli zaini fossero leggeri.

Stavano bene insieme, si sentivano liberi e non avrebbero permesso a un po’ di pioggia di rovinar loro la giornata. Si bardarono con impermeabilini e mantelle di varia foggia e superarono il cippo dei cento chilometri per Santiago e si fecero la foto sorridenti e andarono per strade e sentieri attraverso paeselli minuscoli: Coto Filgueiras, Armeiro Longo, Veigadana, Rua. Poi arrivò la parte difficile. Verso Mos incapparono in una lunga e  ripida salita sotto la pioggia che spezzò loro le gambe e le risate. Il vecchio forestale arrancava come una locomotiva, il camminatore faceva finta di niente ma si sentiva il catarro che ribolliva nei bronchi e il fastidioso ticchettare dei bastoncini sul terreno e il ballerino era tenuto in piedi solo dall’adrenalina perché meditava qualcosa passo dopo passo. Dopo un paio d’ore di fatica arrivarono in un altro baretto strategico pieno di gente bagnata fradicia e si fermarono già esausti a metà mattinata invadendo il locale con zaini e mantelle inzuppate d’acqua che rovesciarono sul pavimento. La voglia di scherzare era passata, ma si doveva fare un piano di battaglia e si aprì un acceso dibattito perché il ballerino di liscio tirò fuori quello che covava dentro e bisognava discuterne.

L’antefatto era che tutti e tre sapevano dell’esistenza  di un percorso alternativo  chiamato Variante Spiritual, che tradotto significa proprio Variante Spirituale. Una deviazione dal tradizionale cammino portoghese che avrebbe allungato la strada verso Santiago di trenta chilometri e, forse, di un giorno e si sarebbe ricongiunto a nord, nella cittadina di Padron.

A tutti alluzzava l’idea di fare questa via alternativa della quale in giro si decantavano meraviglie, ma si doveva combattere con il tempo, la fatica e l’incognita di dove pernottare.

Dormire in una locanda o in un appartamento privato era la condizione sine-qua-non, senza quella certezza il forestale non si sarebbe mosso da quella sedia del baretto. L’altro problema era se avrebbero avuto il tempo materiale di aggiungere 30 chilometri al loro tracciato ed arrivare comunque in tempo per il 2 di ottobre a Santiago.

Dilemma sul quale il ballerino  si arrovellava dal giorno precedente, ecco su cosa stava rimuginando,  ed era arrivato ad una conclusione che espose ai compari: la cosa  poteva funzionare  rosicchiando ogni giorno un poco di percorso dal giorno successivo, cioè allungando le tappe e, a un certo punto, sperare in Dio di trovare dove dormire, e visto che lui era credente ci sperava davvero.

Non era un gran piano a dirla tutta e il tempo per decidere stringeva perché quel  giorno  sarebbero arrivati a Redondela e da lì in poi si doveva  scegliere: dormire lì, come nelle previsioni originarie e come sarebbe stato utile per le loro forze non avrebbe consentito di rosicchiare qualcosa sulla tappa successiva, quindi implicitamente era già una scelta, e allora che si fa ?

Il forestale non era convinto per niente, sentiva la stanchezza risalire dai piedi su, su lungo la schiena fino a fermarsi alle spalle e pensava con invidia agli umarelli che a quell’ora se ne stavano all’asciutto a casa loro. Il ballerino era invece determinato al punto di minacciare di staccarsi e fare il percorso alternativo da solo, il camminatore stava coi frati e intanto zappava l’orto, ovvero dava un colpo al cerchio e uno alla botte, o forse stava solo menando il can per l’aia e ogni tre per due si lamentava dei soldi che gli avevano ciulato. Ci furono momenti di grossa tensione in quel baretto umido e la tensione continuò per la nuova salita ancora sotto la pioggia. Ognuno rimuginava dentro di sè e il rumore del rimuginio lo si poteva ascoltare echeggiare lungo il tortuoso sentiero. Erano diventati seri. Non ci furono canzoni e scherzi in quel tratto, ma sudore e pensieri bagnati, che potrebbe sembrare il titolo di un film porno ma vi giuro che non lo é.

“Sin sacrificio no hay gloria” era scritto a grandi lettere su un muro lungo il percorso, ed è vero non c’è gloria senza sacrificio, questo lo sapevano bene ma tendevano a dimenticarsene.

Arrivati in cima alla vetta di Santaguino de Antas era smesso di piovere, si fermarono, ancora chiusi nelle loro opinioni, e furono raggiunti da un garrulo gruppo di ciclisti spagnoli di Gerona che, tutti belli freschi e sportivi,  facevano il cammino in bicicletta, ovvero pedalavano. Si misero a chiacchierare del più e del meno e non si sa come il forestale fece loro sapere che era appunto un pezzo grosso della forestale e uno dei ciclisti spagnoli rispose “Yo tambien soy un forestal” ovvero sono anche io un forestale, e il nostro forestale disse “Io insegno a spengere incendi” e lo spagnolo in bici rispose “Yo tambien !”  che significa anche io, e il vecchio forestale disse piano agli altri due omarelli “Non è mica vero! Al massimo è un ingegnere“  perché lui ci teneva a essere l’unico esperto di foreste della zona. Avrebbe desiderato parlare ancora di incendi, ma gli altri non si dimostrarono  interessati e dissero   “Buen camino” e si involarono lungo la discesa verso Redondela lasciando una scia luminosa di invidia perché loro erano in bici e i tre umarelli a piedi e stracarichi e mentre i ciclisti sparivano lontano in fondo alla strada i nostri avanzavano a passo di lumaca.

Questa fu la conoscenza del giorno, non un granché, e non servi a tirare su il morale del vecchio forestale corrucciato che arrancava sempre più vittima di una crisi di gamba e di umore irreversibile.

Gli atri due un po’ per sfottere un po’ per fargli coraggio si misero a fare gli scemi camminando a passo di marcia per un bel pezzo. E dicevano “ Unò-due, unò-due, unò-due, unò-due- passoooo! “ E sbattevano i tacchi a terra e poi “front a sinis, front” Cadenzaaa  ta, ta, ta-ta-ta. – Passoo! ” e ricordavano i bei tempi del sevizio di leva che aveva segnato in negativo la loro giovinezza.  E il ballerino colto da un attacco di esaltazione faceva il sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket e gridava  “Avanti merde ! non vi fermate. Cosa sono le ginocchia doloranti ! cos’è il mal di piedi ! Niente ! Che ci fa a noi la stanchezza ? ci fa una segaaaa  a noi la stanchezza! Muovete le chiappe ! Mangiate la strada caproni !” e intanto si dava la carica e avrebbe voluto darne un poco anche al forestale che vedeva in difficoltà e piangeva dentro, ma l’energia proveniva dal sistema nervoso centrale e lo spingeva avanti metro dopo metro e non la poteva regalare a nessuno.

Questa scenetta disgustosa con uno sofferente e due grulli che scherzavano pur dolenti andò avanti svariati chilometri e portò i nostri tre eroici umarelli a Redondela, dove si fermarono a riflettere e a bere bevande gassate, dovete infatti sapere che il vecchio forestale oltre che di sigari era un appassionato di bibite gassate e se ne procurava in gran quantità.

Nel paese di Redondela c’erano molti ristorantini di polpo e altri locali e posti dove comodamente dormire, erano fortemente attratti, ma il ballerino spingeva e spingeva oltre e a un certo punto il vecchio forestale incazzatissimo disse “E va bene, andiamo !” si rimise in moto con la pancia piena di gas e tirarono  di lungo oltrepassando tutti quei bei localini e alberghetti e barettini allettevoli.

Quel che venne dopo non fu affatto bello: li aspettava un’altra salita ripida che fecero affannati e poi una mostruosa discesa che prosciugò ogni residua energia avessero in corpo. Un piede dopo l’altro con un ballino di cemento sulle spalle scendevano a spazzaneve per non rotolare in fondo e non parlavano più rinchiusi nelle loro ragioni e con rabbia arrivarono finalmente a Arcade, il posto dove secondo i suoi piani, li voleva portare li ballerino.

Anche l’individuazione del piccolo albergo con mezza stella dove dormire fu un supplizio, ma alla fine dopo venticinque chilometri di fatica ci arrivarono. E fu la terza sera.

Presero due camere e il forestale si rintanò risentito nella sua fino all’ora di cena non prima di aver fatto scorta di acqua gassata.

La cena di paella e baccalà fu scadente come tutto il resto, ma erano nel posto giusto per fare la deviazione. L’indomani avrebbero raggiunto Pontevedra e qui le alternative si dividevano: una strada tirava dritto verso Santiago, l’altra tornava indietro lungo la costa verso il cammino spirituale, ma loro erano in anticipo sulla tabella di marcia.

A conclusione della giornata il ballerino di liscio nel suo letto fra un colpo di tosse e l’altro del camminatore bronchitico ripensò a quella giornata e rifletté a lungo.

continua …

Tre umarell… – 10° Secundo dia: da Tui a O’Porrino

Si cercò di avviare bene la giornata per rimediare ai dispiaceri del giorno prima e gli umarelli dimostrarono perché anziché a casa fossero lì, ancora in grado di alzare il culo dalle poltrone e di avventurarsi per il mondo. Si affidarono l’uno all’altro con fiducia, allegria e incoraggiamento, si consolarono e si diedero calore in quella mattina fredda e nebbiosa di Porto e dio sa se ce ne fosse bisogno. Si fiondarono in una pasticceria e si abbuffarono di pastelle alla crema perché bisogna sapere che in Portogallo le paste sono la fine del mondo a colori e le farciscono di tutto e le spalmano di lucidore appiccicoso che rimane attaccato ai polpastrelli che poi si ciucciano che un piacere. Un bengodi dolce, la casa di Hansel e Gretel senza la strega. Il ballerino si fece un selfie con un magnifico latte alla portoghese che gli ricordava l’infanzia e la mamma che lo preparava la domenica mattina col caramello un po’ bruciacchiato e lui ci andava matto e non  lo aveva più assaggiato di così buono.

Erano  commoventi quei dolci e dettero la carica giusta ai tre per andare verso un nuovo giorno con ottimismo.

Questa avventurosa giornata prevedeva il trasferimento da Oporto in Portogallo a Tui in Spagna tramite BudBus che è un pulman di linea. A Tui  l’acquisizione delle credenziali per la raccolta dei timbri, che in spagnolo si dice sellos, per certificare il percorso e indi poscia la partenza a piedoni. L’arrivo era previsto per l’ora di cena nel paese di O Porrino distante 18 chilometri.

Così si misero in moto col pulman e videro dai finestrini  un pochino di città di Porto senza capirne un granché, videro anche dei senzatetto addormentati sulle panchine e riconsiderarono con altri occhi le loro disavventure. Arrivati finalmente nel paese di Tui cercarono la Cattedrale che fu trovata insieme a  una pellegrina femmina vagante di origine tedesca della quale dimenticarono subito  il nome perché non era una gran bellezza pur vantando cosce poderose. La giovane si accodò al gruppetto degli omarelli fino all’uscita dal paese di Tui e poi se ne andò incontro al suo destino.

Finalmente partirono con gli zaini in spalla e immediatamente si pentirono di aver portato quella cosina in più che da casa sembrava indispensabile: un paio di calzoni extra, una camicia che-non-si-sa-mai, troppi calzini o il coltellino, ma ormai il carico era fatto e bisognava portarlo come la soma di un mulo.

Immersi nel paesaggio galiziano percorsero sentieri ben segnalati, attraversando ponticelli di legno su rive bucoliche. Il vecchio forestale dava il nome agli alberi “Lo vedete questo ? E’ un faggio. E  quest’altro un castagno e quello là vedete in fondo, un eucalipto”,  effettivamente il bosco era pieno di eucalipti dal profumo intenso.

Il camminatore che non voleva esser da meno rispondeva  ”Certo che lo so, che ti credi !” e cercava invano di coglierlo in fallo sulle piantine del sottobosco “Lo sai cos’è quello? E quella là ?” . Il ballerino ascoltava distratto a lui dei nomi delle piante  non era importato mai un granché,  sapeva solo che il pino brucia bene ma intasa la canna fumaria del caminetto e questo bastava.

Cammina cammina, dopo un po’ di strada sentirono il bisogno di fermare i piedi e di mangiare e si imbatterono in una bottega che guarda caso sorgeva  dal nulla proprio ai margini del cammino e dalla quale tutti i pellegrini venivano attratti come mosche sulla ….. come api sul miele.

In Galizia a chi possiede un minimo di iniziativa e una licenza  commerciale,  o anche no, conviene metter su un punto di ristoro lungo uno dei numerosi tracciati del Camino e guadagnare la giornata con poco sforzo perché i pellegrini sono notoriamente affamati e come trovano una seggiola ci si svaccano a gambe larghe e divorano qualunque cosa commestibile venga loro messa davanti, ma attenzione, se il ristoro non si trova esattamente  sul tracciato ma mettiamo a cento metri di distanza, non lavorerà per niente perché nessuno ha voglia di regalare metri in più.

In quel caso il posto era Pontes da Febres, il ponte della febbre, dove San Telmo recandosi in pellegrinaggio a Santiago fu colto da un attacco febbrile che lo fece tornare a Tui dove poi morì. In effetti c’erano un ponticello e una croce lungo il cammino e gli omarelli si erano fotografati in singolo e a coppia senza sapere di cosa si trattasse, era solo carino il posto, “Averlo saputo mi sarei fatto una foto sotto la croce” disse il camminatore denunciante.

In questo baretto  incrociarono altri pellegrini che arrivavano e altri che partivano e a tutti dicevano con fervore “Buen Camino” perché era dalla partenza che aspettavano di poterlo dire a  destra e a manca. “Buen Camino” – “Ola, Buen Camino” – “Buen Camino a voi” qualcuno rispondeva, altri tiravano di lungo. Comperarono una  frittata di patate e la birra e fumarono il sigaro tanto per ossigenare i polmoni. Mentre ripartivano arrivò anche la pellegrina tedesca dalle cosce poderose che si tolse le scarpe e si accasciò su una panca, “Buen Camino” le dissero anche se lei si era appena fermata.

Questa prima esperienza fu gratificante, fecero nel pomeriggio tutto il tratto che si erano proposti compresa la deviazione naturalistica di Orbenile che allungava il percorso di qualche chilometro attraverso un bel bosco di eucalipti. Il vecchio forestale smucciò un po’ perché tirava a risparmiare tempo e fatica, ma la maggioranza dei due terzi votò per passare di lì e fu carino. Il ballerino di liscio raccolse una pietra da portare a Santiago gli altri dissero che non credevano a queste superstizioni e il ballerino ci restò un po’ male, ma stette zitto e se la mise in tasca.

Come fu come non fu alla sera arrivarono a O’ Porrino che era proprio dove volevano arrivare  e fecero tutte le cose che si fanno quando in un paese sconosciuto si deve cercare un posto dove dormire che già si è fissato da casa, ovvero chiesero in giro.

Il ballerino era l’interprete del gruppo a causa della sua frequentazione assidua di balere, il camminatore stanco inseriva una parola in cripto-inglese ogni tanto per far vedere che aveva girato il mondo e il vecchio forestale, da persona autorevole qual’era, parlava semplicemente in italiano stretto perché riteneva che gli altri abitanti del globo fossero tenuti a comprenderlo e non lui a farsi capire.

Questo atteggiamento con le lingue prosegui invariato per tutto il viaggio e fu di gran divertimento per i tre umarelli che facevano a gara a domandare le cose in quell’idioma variopinto e a interpretare le risposte, sparando cavolate a ruota libera. Capitava di ridere da matti mentre chiedevano e questo non facilitava l’empatia in chi ascoltava, ma a loro piacque fin da subito.

Grazie a questi sforzi congiunti furono trovati in ordine crescente:

L’ostello con annesso bar

Un bicchiere di Estrella nel suddetto bar

La cortese personcina spagnola incaricata di accompagnarli alla residenza

La lussuosa residenza

Le camere che erano una cadauno così si poteva russare liberamente e non lavarsi i piedi

I bagni dei quali uno puzzava di suo e all’altro provvidero loro

Il bar dell’ostello che faceva anche da ristorante

La cena composta da callos, pulpo e cerveja Estrella

Una ulteriore dose di Estrella Galicia

Un giretto per il paese dove c’era una festa ma forse incominciava dopo la mezzanotte perché prima non c’era nessuno per le strade, e in Spagna queste cose strane le fanno.

Le telefonate a casa alle consorti tanto per far sapere che erano ancora vivi

La buona notte che sarà il caso di dormire che domani c’è un mucchio si di strada da fare.

Così andò questa seconda giornata che fu nettamente migliore della prima e li introdusse nel magico mondo del pellegrinaggio pedestre.

Intanto, visto che stentava a prendere sonno, il ballerino di liscio stava elaborando un piano strategico nella sua testolina …….

continua …

Tre umanell… – 9° O primeiro dia: Oporto

Le previsioni meteorologiche non promettevano niente di buono per i giorni a venire e questa incertezza mise un po’ di ansia ai nostri umarelli : se fosse piovuto sarebbe stato un guaio mantenere la tabella di marcia. “Mah, intanto partiamo e poi si starà a vedere” disse il più fatalista “ comunque io gli orari degli autobus ce li ho, non si sa mai !”

“Che mai ? giammai ! “ rispose un altro con un gioco di parole che a lui pareva sfizioso ma che non fece ridere nessuno.

Sul volo attaccarono bottone con tre pellegrine di Cesena dirette a Santiago e a qualcuno venne in mente che forse si sarebbe potuto combinare qualcosa se soltanto avessero avuto una trentina di anni in meno, tanto per unire il sacro col profano o l’utile al dilettevole o il pan per la focaccia o altre cavolate. Ma le cesenate se la svignarono appena ritirati gli zaini  tanto per non correre rischi di esser importunate da umarelli sciolti allo sbando. 

“Bella Porto – disse il ballerino alla vista della scala mobile – già sento che quest’aria fresca mi si confà“ che era da Bologna che aveva voglia di dirlo.

E così uscirono dall’aeroporto e fecero quei dieci metri che li separavano dalla metropolitana, dove stamparono un bel po’ di casino per capire che tipo di biglietti dovessero  comprare. Poi con l’aiuto di un tizio in divisa da portoghese che apposta stava lì sebbene non avesse alcuna intenzione di dare una mano a tre italiani che si divertivano a parlare ridendo un misto di idiomi incomprensibili, presero finalmente  i ticket e salirono sulla metro direzione centro città: Campo 24 de Agosto.

“Che meraviglia” “Guarda com’è pulita !“ “E che efficienza, mica come da noi !” “Si vede che qui comandano i socialisti” dicevano l’uno all’altro gli umarelli in mezzo alla gente che affollava il vagone fra una spinta  di qui e un acciancamento di là, e intanto ripetevano fra se le frasi utili per cavarsela in quel paese ignoto:

“Bom dia senhor, onde podemos comer o bacala ? “  Buongiorno signore dove possiamo mangiare il baccalà ?

“Onde esta el Duero ?”  Dove sta i Duero

“Onde o banheiro esta localizado ? “  Dove è la latrina ?

“Onde estao as mocas ?”  Dove sono le signorine ?

“Meus pés doem”   Mi fanno male i piedi

“Onde està Oporto Forever campo” – Dove si trova l’Oporto Forever Campo, che era il posto dove avrebbero dovuto passare la notte.

E così ridevano contenti guardando orgogliosi i loro zaini belli pesanti che spiccavano per intraprendenza fra le tristi valigie dei passeggeri, quando a un certo punto dopo tre o quattro fermate il camminatore tastandosi dappertutto  disse a bassa voce “Non trovo il portafoglio” . Gli altri due lo guardarono sorridendo pensando a una simpatica facezia, ma il camminatore sempre più terreo ripeté  a voce più acuta: “Non trovo più il mio portafoglio!” e poi ancora  a voce più alta che tutti si girarono verso di lui   “Cazzo! Cazzo! Cazzo ! Il portafoglio !”

Stentavano a credere che veramente lui, il camminatore intramontabile, l’esperto di trekking in giro per il mondo, colui che si vantava di esser stato sul Kappadue e sull’Imalaia si fosse fatto ciulare  o, peggio, avesse perso il portafoglio dopo appena  un quarto d’ora dallo sbarco in Portogallo, eppure le cose stavano veramente così.

La decisione, saggiamente dibattuta e approvata con procedura d’urgenza, fu quella di tornare mestamente all’ aeroporto di Oporto – nessuno rise a questo giochetto di parole – e qui alla stazione di polizia, tentando di farsi capire in qualche modo e sperando nel contempo nel piano B, ovvero in una botta di culo di ritrovarlo intatto da qualche parte o in un disperato piano C consistente in una invocazione a Sant’Antonio, protettore degli oggetti perduti: “Sant’Antonino , Sant’Antonino Pio fammi ritrovar quel che ho perso io “ che disse il ballerino di liscio che era il più credente dei tre.

Ma Sant’Antonino non sentì ragioni e la botta di culo ovviamente non ci fu, e così i nostri tre umarelli che avevano fatto tanti progettini per la serata trascorsero le prime ore del loro soggiorno in Portogallo, l’unico momento che avevano per vedere qualcosa della città, alla stazione di Polizia cercando di farsi capire in uno slang misto di anglo-ispano-toscan-portoghese.

Il poliziotto di servizio si dimostrò paziente, anche se non era un tifoso di Ronaldo perché  diceva che si dava troppe arie, e alla fine redasse o redigette o rediderè o come cavolo si dice una denuncia per furto barra smarrimento delle cose del camminatore con dentro soldi, bancomat, tessera sanitaria, carta d’identità e amor proprio.

Alle eresie che tirava il camminatore prendendo coscienza ora dopo ora che il pacco dei soldi era andato, defunto, kaputt, facevano da contraltare le battutine sommesse e le risatine degli altri due umarelli che nella sventura si divertivano a fare gli interpreti pur non capendo un acca di quello che dicevano.

Fecero però un patto tra di loro: non lo avrebbero abbandonato ne economicamente né  logisticamente: tutti per uno a questo giro, o si va tutti o non va nessuno, e fu un patto difficile da sottoscrivere per il vecchio forestale e il ballerino di liscio che erano partiti per questa avventura con tanto entusiasmo e vedevano prossimo il naufragio, ma lo fecero comunque in nome dell’amicizia che li legava. In cambio si sarebbero sentiti liberi di prendere per il culo il camminatore distratto per tutto il tempo. Era il minimo, anche se lui non avrebbe gradito.

Trascorsero lunghi momenti di incertezza confusi fra l’ilarità, perché il camminatore sbadato faceva comunque ridere per natura, e la seria preoccupazione di veder saltati tutti i loro ingegnosi piani per i giorni a venire.

Il poliziotto fu efficiente e concluse la pratica che  non  sarebbe servita  a nulla a meno che non fosse saltato fuori il portafoglio da li alla mattina successiva quando sarebbero partiti per la Spagna e buonanotte al secchio. Ma almeno i piani originari erano salvi.

Fu una serata diversa dalla solite e poi si trasformò in una nottata alla ricerca di un ristorante aperto che trovarono per vero culo a mezzanotte e finalmente poterono ordinare il baccalà, “cavolo, che ci sono venuto quasi apposta” disse uno dei tre.

Il baccalà alla Brasa è salato di suo, ma il ballerino di liscio ignaro pensava che Brasa fosse la città di Braga, cioè baccalà come lo fanno a Braga, e non un modo di cottura alla brace  e aveva risalato il tutto prima di assaggiarlo.

Così il piatto non fu terminato nonostante il camminatore esagitato divorasse con avidità dovuta al dispiacere. Il vecchio forestale fece invece lo snob ordinando un’altra cosa non baccalesca e tutti bevvero grossi boccali di birra speciale che lì chiamavano cerveja, “E’ la prima volta che assaggio la Estrella Galicia, cavolo,  non lo scorderò mai, molto meglio di quella sarda ” disse il ballerino di liscio.

E’ perché qui siamo al nord” disse un altro a spiegazione. “Cosa c’entra il nord con la birra” fece il terzo “Ricordatevi che i sardi sanno fare solo i pastori e al massimo il pecorino” “Vero !  Non sono come i cinesi che sanno fare tutto e ci rubano il lavoro”. E così la discussione saltava di palo in frasca senza logica, ma tanto bisognava far passare un po’ di tempo per digerire e tanto valeva ragionare di qualcosa fra di loro visto che una conversazione con gli altri era impossibile perché non capivano un accidente d’italiano e si ostinavano a parlare nella loro lingua di portogao, birrao e baccalao che non si capiva una segao.

Andarono a letto frastornati di cibo, sale e birra quasi alle due, ma ormai con i passaggi burocratici compiuti ed il pericolo di annullare la spedizione scongiurato. L’indomani si sarebbe finalmente partiti tentando di dimenticare questa primo giorno trasandato.

Boa noite, specialmente al camminatore inconsolabile.

continua …

Tre umarell… – 8° Conto alla rovescia

Si avvicinava la fine dell’estate e quello era il segnale che era giunto il momento di preparare  gli zaini, prendere i soldi, fare la scorta di cerotti e ungere i piedi.

Ma prima facciamo un passo indietro e occupiamoci delle fasi propedeutiche.

La preparazione atletica

Qualcosina era stato fatto seppure  in maniera un po’ disordinata

Il vecchio forestale si era sforzato con caparbietà di camminare ogni giorno con un caldo torrido intorno al laghetto del Villone, dalle parti dell’ospizio, annoiandosi a morte e attirando la curiosità degli infermieri e dei guardoni speranzosi di aver trovato un nuovo collega che desse qualche nuova dritta.

Il camminatore  instancabile lamentava nuovi acciacchi, nel corso di un’escursione a funghi si era trapanato un braccio con un ramo e si trovava in modalità risparmio energetico. Il ballerino di liscio era stato un mese al mare ed aveva nuotato a stile libero tutto il tempo: le braccia erano toniche, ma le gambe completamente molli.

Il ciclista indomito non si era limitato alla bicicletta e al gommone, ma era andato a fare escursioni a piedi in montagna, ma questo non contava perché lui era uno di quelli che stava a casa,

Lo scalatore infartuato ed ex esponente politico era in convalescenza e si consolava seguendo con rassegnato sgomento  la crisi di governo e il bolognese, infine, faceva come sempre vita di città completamente avulso dal contesto preparatorio del viaggio.

Nel complesso la squadra non era affatto pronta ma questo lo si sapeva fino dall’inizio.

Preparazione psicologica

“Il viaggio si fa prima con la testa e poi con le gambe” – sosteneva il ballerino di liscio, aggiungendo sottovoce – “ se proprio non se ne può fare a meno” .

E nella testa tutti e tre i nostri coraggiosi umarell stavano alacremente preparandosi: due di loro avevano spifferato la faccenda ai quattro venti, raccontando dei preparativi, della compagnia, delle modalità e della attesa spasmodica, gasandosi nell’immaginare quel che sarà e stendendo una cappa di entusiasmo su tutti gli ascoltatori disinteressati, al contrario il ballerino di liscio l’aveva detto solo alla moglie, neppure ai figli e alla suocera. Credeva portasse male parlarne prima e sotto sotto ancora non ci credeva.

Pensava che prima di partire sarebbe dovuto andare dalla Cesarina a farsi togliere il malocchio.

Preparazione spirituale

Non pervenuta

Preparazione emotiva

Quando mancava meno di un mese, il tempo a sera si fece più fresco e cominciarono  le palpitazioni.

Il ballerino  di liscio cominciò a temere per la propria incolumità: viaggiava in motorino col terrore di cadere e di farsi male e non poter partire e quando ballava era molto prudente nei saltelli. Aveva paura del freddo, non sapeva più se portare roba estiva o invernale, maledicendo quel periodo di autunno prescelto che non  si capisce un cazzo se farà caldo o freddo o se pioverà in Galizia e ci vorrebbe un baule da portarsi dietro per esser tranquilli e invece bisogna fare i conti col peso sulla schiena e vaffanculo  ai pellegrini che viaggiavano con un saio e un bastone e qui invece sembra di andare sulla luna per un mese e quand’ero giovane mi bastava poco e ora ho bisogno di portarmi dietro il Voltaren e il cuscino gonfiabile che sennò non dormo tranquillo e via e via……e  porca di qui e miseria di là. Insomma era in piena fase di omarino brontolone, era in ebollizione come una pentola di fagioli fumante.

Il camminatore imperterrito andava a funghi tutti i giorni ma non ne portava mai agli amici e questo fatto non arrecò benefici alla sua popolarità.

il vecchio forestale insisteva con la teoria della tabella di tappe forzate, ogni giorno avrebbe voluto che marciassero per quindici chilometri per allenarsi incurante del fatto che tutto quel camminare potesse venire a noia prima ancora di partire. Quando passeggiavano insieme parlavano e parlavano, ricordavano la gioventù, i parenti, gli amici di un tempo, le ragazze vagheggiate e quelle di ciccia, rievocavano aneddoti e vecchie esperienze, e incidenti mortali e viceprefetti e catastrofi di varia natura.

Finì che al momento della partenza non avevano più niente da raccontarsi avendo praticamente consumato tutti gli argomenti di conversazione che sarebbero stati molto utili nei lunghi pomeriggi di marcia. “Ottimo ! – pensò uno di loro –  almeno si sta zitti per tutto il viaggio”.

“Ma lo vedete quanto è ganzo ? “ diceva un omarell “ci si diverte un mondo già prima di partire”

“Si si, ma che si fa poi quando siamo li ?”  rispondeva un altro

Come sarebbe a dire ?”  ribatteva il primo

“Io di camminare ‘un ce n’ho digià più voglia ! “ diceva il terzo.

Meglio palaja! ” e via e via….

Anche la ricerca dell’attrezzatura subì un’impennata: a  una dozzina di giorni dalla partenza,

Il camminatore indefesso era sempre più ossessionato dal peso dello zaino : ogni giorno riduceva  quella  cosa e tagliava via l’altra. Una maglia in meno di qua, fuori le mutande di là, a un certo punto era arrivato a sette chili tutto compreso e voleva ancora abbassare. Per arrivare allo scopo continuava a cercare equipaggiamento  che già possedeva in quantità ma che pesasse qualche grammo in meno, come una specie di fissazione. Il fatto era che essendo l’esperto in fatto di escursioni sentiva il peso della responsabilità, non voleva far brutte figure con gli altri andando in difficoltà alle prime tappe. Sarebbe stata una beffa e un motivo di presa per il culo per il resto della vita.

Il vecchio forestale che già aveva rimediato tutta l’attrezzatura raccattando tra figli e parenti e rufolando negli armadi di casa, si fece prendere dalla paura di non essere tecnologicamente  adeguato e si mise a cambiare pezzi, rifacendosi un corredo completo da escursionista all’ultima moda.

Il ballerino di liscio insisteva invece sulla sua posizione oltranzista di non voler investire troppo in questa missione nonostante i consigli degli altri due. Aveva tatto l’elenco  delle cose essenziali da riporre nello zaino e pure usando tutta la ragionevolezza del viandante avveduto era arrivato a quarantatre oggetti da infilare dentro a forza, ognuno dei quali doveva essere custodito in una singola busta di plastica antipioggia chiudibile a zip.  Aveva così preso l’abitudine di pesare i vari componenti dello zaino, compreso gli auricolari che di fatto non pesano un cazzo,  ma evitava di fare la somma perché covava il sospetto che a forza di 100 o 200 grammi doveva essere oltre i dieci chili abbondanti, un peso insopportabile anche per uno sherpa nepalese.

Fecero poi il famoso pranzo propiziatorio a Montecarelli con le consorti ed andò bene, tutte furono comprensive e tolleranti ed i sei umarell presero coscienza che le mogli erano molto più accorte e ragionevoli di loro.

Ma questo già lo sospettavano.

Gli ultimi giorni furono dedicati alle rifiniture e al raccoglimento, nel senso che bisognava raccogliere tutte le energie per mettersi in moto e alla fine, ineluttabile, arrivò il giorno nel quale si dovette lasciare la propria casetta con la confortevole camera da letto e il bagno ben fornito di carta igienica profumata e di bidet e andare verso l’ignoto.

C’erano voluti nove mesi tra il concepimento e il parto, proprio come fare una creatura: era il 13 dicembre  quando avvenne l’inseminazione dell’idea alla trattoria della Cugna ed era il 25 settembre dell’anno successivo quando con la luna calante si compirono i giorni e salirono sull’aeromobile (termine tecnico qui utilizzato per indicare l’aeroplano).

A salutarli sulla rampa di lancio accorse l’omarello bolognese originale che si mise in fila con loro per il check-in e scherzarono insieme infastidendo un poco gli altri passeggeri. Fu un bel gesto. L’altro umarello ciclista provetto telefonò e li definì affettuosamente  l’avventuroso, il riflessivo ed il poeta, insomma volevano far sentire la loro vicinanza. L’ultimo omarello, quello infartuato, faceva intanto i cazzi suoi sul divano di casa seguendo distrattamente Cronache dal Parlamento. 

Il racconto di ciò che fu prima termina qui, ciò che accadde dopo è un’altra storia. Ora basta chiacchiere, ora bisognava camminare.

Buen camino a tutti !

continua…

Tre umarell… – 7° Preparativi

Il successivo incontro preparatorio non si svolse in trattoria perché onestamente non si poteva rompere i coglioni agli altri tre ragionando sempre della spedizione, oramai la faccenda aveva assunto il tono e la rilevanza della  “spedizione a Santiago”, quindi si ritrovarono solo i tre umarelli audaci, senza mangiare nulla per non appesantire il fisico.

L’argomento era che non  c’era un argomento preciso, ma era tanto per ricordare a tutti e tre che c’era questa cosa in ballo e che nessuno facesse il furbo, ognuno di loro aveva infatti in cuor suo il timore che gli altri dessero forfait all’ultimo momento e si ritrovasse da solo come un cane sul cammino di Santiago. Come si dice: si marcavano stretto,

Si addivenne comunque a una serie di importanti determinazioni:

  • Venne predisposto un calendario di avvicinamento per ottimizzare la preparazione fisica secondo il quale ognuno poteva fare quello che gli pareva, più che altro sarebbe stato bene camminare un po’, tanto per abituarsi.  Il ballerino di liscio che notoriamente era il più restio a muoversi, promise che se anche non avesse percorso chilometri  avrebbe però ballato molto.
  • Si affrontò a malincuore l’argomento delle medicine da portarsi dietro.

Il vecchio forestale aveva bisogno di pasticche quotidiane per

Pressione alta

Colesterolo

Dilatatori nasali per il russamento

Aspirina per dolori muscolari

Astringenti e lassativi da usare alternativamente per  i bisogni corporali in quanto aveva un intestino suscettibile alle variazioni termiche

Il camminatore imperterrito  aveva bisogno di prevenzione giornaliera per

Flebiti

Trombosi

Pressione alta

Pompetta per l’asma

Il ballerino di liscio portava con se

Duotrav gocce per il glaucoma

Voltaren per calcoli renali

Metarelax Magnesio

Glucofen per le articolazioni

Unguento Ciderma per escoriazioni, dermatiti e punture di insetti

Deltacortene per le punture di vespe, api, coleotteri, ragni e altri essere volanti dotati di pungiglione

Tachipirina, che non si nega mai a nessuno

Roba di vario genere per il mal di testa

Mascherina per gli occhi e tappi per le orecchie

Per tutti  cerotti per vesciche, bende, fasciature, disinfettante e sapone di marsiglia.

Nelle trincee della prima guerra mondiale c’erano meno medicinali. Fu deciso di non portarsi dietro l’apparecchio per  la pressione per non essere proprio ridicoli.

  • Fu ribadita la massima unità di intenti   “ Tutti per uno, uno per tutti ….e ognuno per conto suo” che significava   non sentirsi troppo vincolati agli altri.

La mozione venne approvata all’unanimità.

  • Fu deciso che il ciclista impavido, nonché gommonauta di lungo corso, avrebbe accompagnato i tre all’aeroporto di Bologna il giorno della partenza, anche se ancora non ne era al corrente, prima o poi bisognava dirglielo, mentre per il viaggio di ritorno si sarebbe sperato nella provvidenza.
  • Il vecchio forestale avrebbe fatto le foto con la sua macchinina leggera perche non volevano  farsi vedere sul cammino con il cellulare in mano, il ballerino di liscio avrebbe tenuto il diario, questo diario qui, e il camminatore instancabile avrebbe ….. camminato.
  • Fu deciso di fissare un pranzo di buon auspicio a Montecarelli prima della partenza coinvolgendo le mogli di tutti e sei gli umarell per la benedizione degli zaini anche se questo  fatto di coinvolgere le gentili consorti rappresentava un fattore di rischio:

avrebbero socializzato le mogli fra di loro ? Avrebbero rotto i coglioni singolarmente o in gruppo?  Avrebbero portato sfiga ? Avrebbero mandato a puttane i loro ribottini annuali ?

L’incertezza regnava sovrana

Si trattò quindi di un incontro molto costruttivo, poi cominciarono le vacanze e …..”addio Carola ! “

continua …

Tre umarell… – 6° Il grande negozio di articoli sportivi

In una calda mattina d’estate, quando mancavano  tre mesi alla partenza, i tre umarell misero piede nel grande negozio di articoli sportivi.

Prima di tutto si dilettarono a girovagare tra i reparti a far confondere, incuriositi dagli attrezzi ginnici, toccando tutto, facendo domande interessate di qui e di là, chiedendo prezzi di canoe, parapendii e bombole da sub tanto per chiacchierare, poi un commesso li catturò e molto gentilmente chiese cosa stessero cercando di preciso.

Il camminatore inesauribile prese in mano la situazione, che in effetti stava sfuggendo, e si recarono  tutti in gruppo al reparto bastoncini da trekking: pareva  infatti indispensabile l’utilizzo di doppi bastoncini per scaricare il peso dello zaino uniformemente su tutte le membra.

Di bastoncini ce n’erano di tutti i tipi e forme da rimanere basiti, “Ma bada te ! chi ci avrebbe pensato mai a questa cosa dei bastoncini”  disse uno che era ignorante in materia. Alla fine i più attrattivi furono ritenuti i pieghevoli in alluminio anodizzato color oro, costosi ma leggeri e allungabili a misura umana. Il camminatore esperto diede la sua benedizione all’articolo, ma il ballerino di liscio timidamente chiese se fossero proprio  indispensabili  questi bastoncini pieghevoli perché quando c’era stato l’altra volta vent’anni prima non aveva alcun bastone.

Lo guardarono tutti sdegnati, ma lui non si fece convincere e se la cavò dicendo che si sarebbe  fatto un bastone di frassino direttamente sul cammino, anzi per ripicca si sarebbe fatto un vero e proprio bordone da pellegrino, lungo un paio di metri.

Fu a quel punto che gli altri risero di gusto.

Si passò quindi ai calzini

Quelli che credevano che per i calzini fosse sufficiente tirarne fuori qualcuno dal cassettone e metterseli furono redarguiti dall’esperto camminatore coadiuvato dal commesso del negozio di articoli sportivi.

Uno precisò  che avrebbe dovuto chiedere alla moglie dove teneva i suoi calzini perché era sempre stato un compito suo ed essa moglie non voleva che lui mettesse le mani nei cassetti a far disordine, disse proprio così.

Fatto sta che il commesso del negozio di articoli sportivi, dopo aver dissertato col camminatore infaticabile sulle bellezze naturali delle prealpi bellunesi, estrasse da un espositore dei magnifici calzerotti variopinti.

Questo ll’è i’mmeglio che l’offre i’mmercato “  assicurò il commesso del negozio di articoli sportivi, che era di Firenze.  

O che sarebbe questa roba tutta colorata ?” chiese ridacchiando un po’ a presa di bavero un umarell incuriosito e nel contempo affascinato.

 “Semplice: gli è un carzino trekking corto argento x-staticmedium weightmaglia in coolmax + fibra lycra – spugna a media densità in coolmax+x-static+fibra lycrafascia elastica antitorsione nel piede e alla caviglia – struttura anatomica con zone di ventilazione e cucitura piatta invisibile anti-frizione composizione: 51%pl-coolmax-41%pa5%lycra-3%x-static. HG !La sono stato esaustivo ?” rispose tutto d’un fiato il commesso di articoli sportivi che, ricordiamo, era di Firenze.

Il camminatore instancabile fece un lento cenno di assenso muovendo il capoccione su e giù e gli altri due umarell intimiditi senza fiatare ne comprarono subito tre paia cadauno con i colori più astrusi possibile. Tutto sommato quella dei calzini fu una scelta rapida.

Già che erano nel negozio di articoli sportivi a contatto con un esperto commesso di Firenze i tre decisero di affrontare l’argomento più spinoso e più dispendioso: gli scarponi.

A parte il camminatore inesauribile che aveva a casa una dozzina di scarponi e scarponcelli per tutte le altitudini e le condizioni atmosferiche e che avrebbe potuto prestarne a tutti gli altri se non fosse stato per il residuo fetore di piedi che aveva intriso le calzature, gli altri sentivano l’impellente necessità di possederne di nuovi, ed era anche la scusa per stare lì, in quel negozio di articoli sportivi.

Il vecchio forestale assunse un atteggiamento agnostico.

Il ballerino di liscio era il più restio a spendere soldi extra per gli scarponi che avrebbe indossato una volta nella vita per dodici giorni quando sapeva di dover ricomperare gli scarpini da ballo con la suola in velluto che quelli si che gli sarebbero stati utili davvero mica un paio di scarponi pesanti che al ritorno da Santiago sarebbero ammuffiti in soffitta, tanto io in montagna non ci torno neanche morto.

 “Guarda – disse il commesso di Firenze che era passato al tu confidenziale –  questi la sono i più adatti a quello che tu vo’ fare: la c’hanno  tutti gli accorgimenti tennici moderni, la sono  leggeri che tu ci poi andare anche a Parigi d’inverno, la c’hanno i’ggoterex e  anchi’’ssurrounde – espressionedi stupore del ballerino di liscio che era rimasto al dolby surround dei cinema e non vedeva come lo si potesse applicare ai piedi – la costano 170 euri, ma la sono  i’mmeglio.”

“No, no per carità 170 euri non ce li metto negli scarponi –  disse il ballerino di liscio – voglio spendere meno, ma molto meno sennò vo’ al Decathlon che la roba sarà pure cinese ma te la tirano dietro”

Il commesso di Firenze che sapeva il fatto suo prese atto e iniziò il duro lavoro di convincimento, del resto lo stipendio bisogna sudarselo:

“Come la vole lei – rispose ripassando al lei – La ci sarebbero questi a poco prezzo. La sono un pohino duri ma la costano i’ggiusto e poi la son boni sa, perché qui noi la c’abbiamo solo roba bona,  miha come ai r’ decatlonne.”

E tirò fuori un paio di scarponi in cemento da 10 chili e 40 euri, a saldo nel magazzino.

Il ballerino di liscio che voleva spendere poco li provò fiducioso, si alzò per fare qualche passo e si sentì improvvisamente appesantito ed ebbe paura di rovinarsi i menischi trascinando i piedi con quel fardello e compromettere per sempre il suo giro a sinistra del valzer viennese. Chiese di provarne un altro paio.

“Okkei, andiamo un po’ più su co i’ pprezzo . La provi questi e vedrà che la si troverà dimorto ma dimorto bene.”

E iniziò così una pantomima che prometteva di durare parecchio, tanto che gli altri due umarell si stancarono  e ricominciarono a  girovagare per il grande negozio di articoli  sportivi chiedendo  informazioni a caso su qualsiasi articolo di qualsiasi sport li colpisse, tanto i commessi sono lì per lavorare mica per non far nulla e loro avevano da passare la mattinata.

Dopo una dozzina di modelli di vario tipo provati con la singolare caratteristica che in ogni scarpone si stava meglio del precedente e guarda caso costava un po’ di più, finalmente aveva trovato quelli giusti, un po’ cari, ma portabili, magari non per andare  a Parigi, ma a Parigi le volte che c’era stato non era mai andato con gli scarponi, e si fece consegnare la scatola.

Gli altri intanto si erano riavvicinati e il camminatore instancabile dall’alto della sua saggezza disse:  “Ormai che sei qui prova anche  quelli  che ti aveva consigliato, tanto che ci rimetti ?”

Astutamente il commesso di Firenze estrasse dal nulla lo scarpone col dolby surround  da 170 euri e il ballerino disse “Vai, li provo, tanto per curiosità”.

Li provò e naturalmente li comperò entusiasta senza dire una parola.

Il vecchio forestale che sembrava agnostico stava invece elaborando  un ragionamento interiore che lo fece partire subito dal famoso modello da 170 euro, e qui si vede quel che fa di un commesso di articoli sportivi un bravo commesso di articoli sportivi:

“ Oh perché un tu provi  questi qui che la sono ancora meglio ?”

e tirò fuori un modello super super super extra che costava ancora di più e che il vecchio forestale indossò già persuaso dal colore che era verde sottobosco e ovviamente comperò immediatamente. Ma lui era un vecchio forestale  e sapeva che un paio di buoni scarponi in casa hanno sempre un loro motivo di essere.

C’era ancora un po’ di tempo prima di tornare a casa a mangiare, così si divertirono a comprare qualche altra cosa inutile perché una volta preso il via con le spese non si sapevano più controllare e vennero fuori termos, magliette, camicie, impermeabili, fantasmini, cappellini e altri oggetti di largo consumo.

Spesero ognuno un fracco di soldi perché avevano allentato i freni inibitori e ogni cosa sembrava indispensabile per andare a Santiago. E poi quell’oggetto  era per farsi il regalo di compleanno, quello per l’onomastico e l’altro per Natale.

L’unico che  non  comprò nulla fu il camminatore infaticabile che aveva già tutto un campionario a casa e forse una percentuale sulle vendite del negozio.

Alla fine il bravo commesso di Firenze fu contento di aver passato una mattinata in compagnia degli umarell e disse “Tornate presto “.

continua …

Tre umarell… – 5° Cosa portare

Dall’alto della sua esperienza l’instancabile camminatore ecologico fece l’elenco delle cose da portare nello zaino, gli altri che lo prendevano regolarmente per i fondelli quando parlava di donne lo guardavano con rispetto quando dissertava di scarponi e sacchi a pelo e si fidavano ciecamente delle sue opinioni in materia.

Cosa comprendeva l’elenco ?

Le mutande, naturalmente.

Come sicuramente saprete esistono mutande usa e getta reperibili su Amazon  al modico costo di 11,99 euro per cinque paia, spedizione compresa. C’era chi propendeva per questa soluzione:  dodici paia e ci si leva il pensiero, facciamo tredici per sicurezza, si arriva a sera e si butta via la mutanda usata e l’indomani è un nuovo giorno. Come afferma la pubblicità  “….con gli slip One-Wear potrai indossare un paio di slip puliti ogni giorno senza doverli lavare o rivoltare”.  Ora, cosa significhi rivoltare gli slip e riutilizzarli non è chiaro e non pareva comunque una grande idea, di converso questi slip monouso sono consigliabili  per il ricovero in ospedale, la degenza post operatoria e le incontinenze garantendo una assorbenza assimilabile  al pannolone ed infine, proseguiva, “ Niente colori psichedelici, solo un classico design bianco su cui fare affidamento”.

Cionondimeno  l’elasticità e il conforto del buon vecchio slip in cotone non ha eguali, sostenne un altro, senza tralasciare l’inevitabile  rischio di infiammazione del sottocoscia che lo sfregamento dovuto alle lunghe tappe avrebbe potuto causare indossando mutande sconosciute acquistate su Amazon e sicuramente  fatte dai cinesi con l’uranio impoverito.

A proposito dei cinesi  – disse uno degli umarell –  ma  lo sapete voi che hanno comprato mezza Prato e comandano loro ! Si sono estesi a macchia d’olio come le cavallette e noi della piana non si conta più nulla!”  e l’altro rispose “le cavallette non si estendono a macchia d’olio, al massimo tracimano”. “Ben detto !” disse il terzo.

C’era poi da fare la scelta fra i boxer, assolutamente sconsigliabili, i gambaletti e gli slip classici:  su questo punto si trovarono tutti d’accordo che gli slip scosciati erano i più indicati proprio in funzione del sopra-coscio sopra-citato, e a questo ilare gioco di parole i tre risero di gusto. In quanto al colore fu lasciata libera scelta anche se il bianco è sempre una garanzia di lindore. Vi fu infine un acceso dibattito sulla quantità di capi da portare: tre fu considerato il minimo per la sopravvivenza con  la necessità di lavarne un paio alla sera per appenderlo allo zaino il giorno  successivo ad asciugare e riaverlo pulito ed asciutto due giorni dopo. Una rotazione efficace e funzionale sebbene, affermò uno, un quarto paio di mutande  avrebbe consentito una turnazione più agevole, mentre un eventuale quinto paio avrebbe gravato, pur nella leggerezza del capo specifico, sul peso complessivo del carico da portarsi sulle spalle. Il particolare che nessuno dei tre avesse mai lavato un paio di mutande non fu ritenuto rilevante. C’era poi la possibilità di portarsi un costume da bagno che all’occorrenza avrebbe potuto fungere da mutanda di emergenza.

La discussione fu costruttiva, come sempre nei ranghi del partito, e si protrasse anche troppo, tanto non c’era niente da fare, tuttavia non si addivenne ad una risoluzione univoca: per cui ognuno avrebbe fatto come cazzo gli pareva.

Visto che si era passato molto tempo a disquisire delle mutande senza concludere  nulla di concreto, si decise che per gli altri capi di abbigliamento “normali”, dove per normali si intende quelli che ognuno di noi ha a casa, si sarebbe replicata la  metodologia del “fate come cazzo vi pare”.

Il camminatore instancabile insisteva che ci vuole roba tecnica “Ve lo dico, statemi a sentire che poi vi trovate male”, cioè gli ultimi ritrovati della pionieristica vestiaria fatti col medesimo materiale  delle tute aerospaziali che non  fanno sudare, non  odorano, sono leggeri, lavabili, riciclabili, non si stirano, si appallottolano e via e via e che costano dei bei soldini. Gli altri due invece pensavano a cosa avevano negli  armadi che potesse andare bene, magari roba che non  usavano da anni, ma che poteva esser la volta buona, tanto sul cammino di Santiago se si sembra un po’ straccioni viene anche più naturale.

Vennero così fuori scelte opinabili come una tenuta completa della Fiorentina,  maglia e calzoncini viola acceso con lo stemma gigliato, un vecchio pulloverino di lana perché come dicevano i nostri vecchi “quel che para lo caldo para lo freddo”, una camicia  a quadri che tanto non la metto più almeno serve a qualcosa e quando sarà sporca la posso buttare direttamente via, le magliette del Decathlon da due euro che irritano le ascelle ma sono leggerissime, i calzoni corti da barca, quelli lunghi  regalati dal figlio per le scalate invernali un pochino pesanti, ma chissà potrebbe anche venire freddo e le magliette in cotone Fruit of the Loom, che ricordavano la giovinezza,  da comprare al mercato che per 10 euro te ne danno tre.

A sentire queste nefandezze il camminatore instancabile si trasformava via via in camminatore sbalordito e camminatore inorridito, ma ciononostante il principio  di fare ognuno come cazzo gli pareva non  fu minimamente scalfito.

In quanto agli zaini, ovviamente indispensabili, stranamente ce li avevano già, di varia metrature  capacità, enormi o minuscoli, ammuffiti e nuovi di pacca, propri o dei figli, ma avrebbero fatto con quello che c’era.

Su alcuni articoli però non era possibile arrangiarsi con la roba di casa e fu  così che il vecchio forestale, il ballerino di liscio e l’indefesso camminatore decisero che era giunta l’ora di recarsi  nel grande negozio di articoli sportivi caldamente suggerito dall’esperto e colà trascorrere una mattinata differente, senza furia.

Nella fattispecie si trattava del Nencini Sport di Calenzano.

continua …