Sarò ripetitivo ma quando sono qui dimentico le mie abitudini e mi immergo totalmente in una nuova realtà, che sia mare, natura, ballo, formaggio o altro non ha importanza. Per coloro, e sono i più, che non l’avessero già letto lo scorso anno (settembre 2011), ricupero questa storiella su un ballo tradizionale di queste parti che rappresenta per me una specie di fissazione.
Una magica notte di una estate torrida, la festa del patrono sullo spiazzo davanti la chiesa: un’orchestrina suona classici di liscio rivisitati nello stretto dialetto gallurese, a un certo punto il cantante invita tutti a ballare assieme lo scottis o come si dice qui Lu scottisi.
Il sagrato si colma di coppie di ogni età.
Non se ne conoscono esattamente le origini, forse una danza dei mandriani giovinetti elaborata in scozia come suggerisce il nome.
Si legge che una danza detta scottish compare in Francia verso il diciannovesimo secolo, originaria dell’Inghilterra o della Germania. Secondo altri è stata introdotta nel 1848 in Inghilterra sotto il nome di Polka tedesca e poi rinominata “Scottish” agli inizi della prima guerra mondiale per evitare il riferimento alla Germania. L’etimologia del nome fa riferimento a “scottischer” ossia passo scozzese. Infine, non si sa come, migrata in Gallura. Misteri delle comunicazioni di allora!
Nella versione nostrana questi ostinati di sardi si rifiutano di indossare il kilt senza mutande al posto dei severi “cartzones” di orbace bianco infilati nelle uose di pelle, anche se pure loro hanno un gonnellino molto caratteristico, il “ragas”, un semplice rettangolo di panno arricciato in vita e indossato sopra i pantaloni.
E’ l’unico ballo di coppia che abbia preso piede in Sardegna, terra di danze di gruppo, e solo in Gallura, è una via di mezzo tra la polka e i valzer.
Lo schema più comune si evolve in tre parti: i ballerini fanno un passo di polka, ovvero due passi con una sospensione partendo con il piede sinistro per il cavaliere e destro per la dama, un passo di polka nell’altro senso partendo di piede destro per l’uomo, poi quattro passi girando in senso orario. con la coppia legata o con i danzatori sciolti, alternando passi saltellati con inchini e scambio di dama e con varianti che vengono scelte e a volte inventate secondo i paesi, più semplicemente come recita la canzone di Murrighili e Deriu
“Sedici tra passi e ghjri, illu scottisi a misura ghjusta si dè fa.
Fatt’un passu v’è l’inchinu, deci passi laterali, cattru ghjri illu finali
lestri lestri e di cuntinu torr’à cumincià”.
Fu durante uno dei giri di polka che Gavino Carrus patì l’incidente.
Nella formazione folcloristica di Macarenas Gavino faceva coppia fissa con Esmeralda una paciosa sarda di ottanta chili per un metro e cinquanta, pastora e affittacamere.
Coppia solo nel ballo in quanto Gavino era scapolo solitario e mite, dedito alla meditazione contemplativa e alla cura dei lussureggianti giardini pensili dei villaggi turistici, nonché grande appassionato di tradizioni galluresi.
>Quando si iscrisse al gruppo folcloristico di Macarenas gli fu assegnata, in quanto ultimo arrivato, la ballerina emarginata, quella con la quale nessuno voleva far coppia perché, quantunque fosse cordiale e allegra, era pesante come uno scoglio di granito e agile come una mucca da latte di Arborea, inoltre avendo il baricentro radente era anche difficile da guidare e bisognava stare sempre un po’ troppo sulle ginocchia.
Lui, in quanto mite, si adattò !
Fatto è che col ballu tundo e col ballu antigu Gavino riusciva a domarla, ma con lu scottis dove si gira e ci si inginocchia spesso occorreva imprimere una maggior potenza alle braccia, come potare una siepe di viburno alta due metri in punta di piedi, e Gavino, quella sera in occasione della festa di Santa Reparata, tira e strappa, forza e molla, a un certo punto sentì uno sinistro “cloc” e gli uscì la spalla.
La extrarotazione improvvisa e troppo energica portò alla fuoriuscita parziale della testa omerale dalla cavità glenoide, infortunio comunemente conosciuto come sublussazione traumatica della spalla, con conseguente bestemmia in antico gallurese e danno irreversibile dei legamenti deputati a mantenere la testa omerale nella sua sede.
Probabilmente l’incidente fu da attribuire alla cedevolezza del pavimento in tavole di compensato stese sullo stazzu per consentire il ballo della festa, o forse al fatto che Gavino era reduce da una settimana di dissenteria da ricotta avariata, fatto sta che il poveretto cacciò un urlo sardo e si mise a saltellare da solo rompendo la formazione del gruppo folcloristico di Macarenas.
Il pubblico parve apprezzare questa innovativa variante del solista che si stacca e salta qua e là furiosamente tenendosi la spalla e gridando richiami gutturali, tanto che gli applausi scrosciarono spontanei e gli altri ballerini si misero a darci dentro ancora di più. L’Esmeralda nel frattempo disarcionata, vagava come una pallina, si fa per dire, da flipper rimbalzando nel cerchio dei danzatori mentre la fisarmonica incalzava: “tara, tarattata, trallarallallà ……”.
Lo spettacolo proseguì ancora per i sette minuti del pezzo, nessuno osava interrompere, nemmeno Gavino che per una volta si sentiva protagonista del ballo e, pur trafitto da un lancinante dolore, tentava di abbozzare un sorriso sgangherato peraltro molto somigliante a una smorfia.
Se va bene la testa omerale può riposizionarsi spontaneamente nella sua sede naturale in pochi secondi, si chiama riduzione spontanea, altrimenti la riduzione deve essere eseguita tempestivamente da uno specialista ortopedico.
In assenza sul luogo di questa figura professionale intervenne prontamente Efisio Camedda, il fabbro del paese detto “Filu-ferro” per la duplice connotazione di abile artigiano e grande bevitore di grappa.
Efisio non si intendeva di ballo e di tradizioni popolari galluresi, né tanto meno di ortopedia applicata, ma era dotato di una forza erculea associata a una certa precisione, se sobrio, che gli avevano procurato un certo credito nella raschiatura di portoni ossidati da salmastro.
Sciaguratamente quella sera Efisio non era sobrio, ma completamente strafatto di mirto e spiedini di porceddu: da un’oretta stava fissando con sguardo assente il balletto, quando questo terminò si accorse dell’incidente e, colto da un raptus di altruismo, balzò sul palco di compensato, afferrò saldamente Gavino alle spalle, senza dargli troppo tempo per protestare e bofonchiò
“Sapè io como fari, aju fattu milli volte a lu cabaddu”(So io come fare l’ho fatto mille volte alla cavalla) e girò con decisione.
Ciò che avvenne dopo è raccontato a veglia nelle lunghe sere di inverno nei ripari dei pastori di Gallura come monito a non farsi i cazzi altrui.
Gavino svenne immediatamente, ma la festa continuò con altri balli e canti fino al mattino, il gruppo di Macarenas si fermò a cena gratis e poi tutti se ne tornarono a casa alla spicciolata.
Il poveretto fu depositato su un covone di fieno e lì rimase disteso per dodici ore, il giorno seguente fu preso e condotto all’ospedale dove, per errore, gli fu riscontrato un fecaloma concallato e gli fu inserito un catetere rettale in neoprene a doppio palloncino. Si sa, al pronto soccorso c’è sempre confusione.
La spalla era oramai disarticolata ed il braccio pendeva triste sul fianco. Quando ci si accorse del malinteso era trascorso un po’ troppo tempo per rimediare efficacemente, Gavino non protestò neppure, si trattava veramente di un tipo accomodante.
Per la mortificazione Efisio si diede alla macchia, nessuno lo ha più visto in officina né in paese, si dice che vaghi sul Sopramonte insieme a branchi di mufloni e cinghiali selvatici (Sus scrofa meridionalis) ai quali fa dei piccoli lavoretti di falegnameria.
Gavino adesso ha il braccio destro completamente inerte, spenzolante a lato del corpo, ha perduto il suo lavoro di giardiniere e di ballerino del gruppo di Macarenas, però l’Esmeralda, sentendosi colpevole dell’incidente, l’ha in un primo tempo assunto come aiuto pastore d’altura, poi si è perdutamente innamorata della sua mitezza e ora fanno coppia fissa e vanno a vedere gli altri che ballalo lu scottisi.
Come ancora recita la canzone di Murrighili e Deriu
“ ..zitti zitti , cori a cori
so sbucciati tanti amori
cori a cori spaddha a spaddha senza cuntrastà”
Recentemente, grazie ai costanti progressi della scienza medica, gli è stato prospettato un intervento in artroscopia a cielo aperto che, seguendo le istruzioni su google, si è offerta di eseguire gratuitamente la signora Agnese Inzaina, abile sarta e rammendatrice di Calangianus.
Gavino ci sta pensando su.
LU SCOTTISI
Testo Giaccomo Murrighili Armonizzazione Carlo Deriu
Chistu baddu, a cantu pari
era danza rusticana
di la Scozia luntana
ch’è sbalcata da lu mari cent’anni sarà
Da un seculu in Gaddhura
c’è lu baddhu ch’ogghj ammiri.
Sedici tra passi e ghjri,
illu scottisi a misura ghjusta si dè fa
Fatt’un passu v’è l’inchinu,
deci passi laterali,
cattru ghjri illu finali
lestri lestri e di cuntinu torr’à cumincià
Lestri baddhu chi si baddha
zitti zitti, cori a cori
so sbucciati tanti amori
cori a cori spaddha a spaddha senza cuntrastà
Senza dissi mancu muttu,
zitti, ma tra ghjri e passi
li so corilu di fassi
s’hani dittu suttu suttu tuttu illu baddhà
Baddh’a tempu di sunettu
o di rittimu cantatu
da tinori accumpagnatu
da lu falzittu cumprettu cun dilliridà
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Gianfranco Salis – http://www.youtube.com/watch?v=-_hcXn82r9I&feature=related
Gruppo Folk Olbiese http://www.youtube.com/watch?v=-BYnJpsQ4j0