Patriebalere sbarca su Spreaker la piattaforma web con la quale è possibile creare e condividere contenuti audio, live o podcast, un contenitore nel quale pubblicare liberamente le mie scemenze, una radio libera e personale sempre a disposizione.
Si comincia con il primo episodio de “La posta del cuore di Ivano Libanore”.
Si tratta di richieste di consigli sentimentali rivolte a Ivano Libanore, un ex maestro di ballo e gran puttaniere che ha vissuto tempi migliori e si trova adesso a trascorrere una malinconica vecchiaia in un istituto di suore (diciamo sorelle per non offendere le suore) assieme a un invadente compagno di stanza di nome Romolo.
Il linguaggio è un pochino scurrile, direi abbastanza, con dovizia di pudende. Ogni riferimento a cosa o persone reali è puramente casuale ma mi piacerebbe che non lo fosse.
E’ un esperimento e come tale lo dovete prendere.
Per ascoltare l’episodio clicca sull’icona qui a lato
P.S. per gli anonimi criticoni; io mi sono divertito moltissimo e questo mi basta.
Il primo lato del bagno in mare va dalla sassosa spiaggia dell’insenatura fino al limite destro della scogliera: qualche centinaio di bracciate per aggredire il freddo dell’acqua con i muscoli che lentamente si distendono e il calore del corpo che si assuefà alla temperatura del mare. Ha inizio così il mio quieto viaggio.
Si va verso i banchi di sabbia che danno al fondale un colore verde smeraldo in contrasto con il bruno azzurrato delle rocce. Le brevi distese di sabbia bianca si adagiano a una profondità di quattro metri e fanno da guida per proseguire: mantenendomi sul loro lato destro vado nella direzione corretta .
Durante questa parte del bagno mi piace contare, da uno a cento, respiro dopo respiro, e poi daccapo da uno a cento, e poi ancora. Concentrato sulla inevitabilità dei numeri ogni altro pensiero si affievolisce fino a scomparire, arrivato a trecento sarò in prossimità degli scogli affioranti della punta del promontorio, fuori dallo sguardo di coloro che stanno a riva.
Mi fermo e sollevo la testa: vedo solo la superficie ondulata dell’acqua e gli scogli, mi sento solo e libero.
Non mi piacciono quelli che si mettono seduti sulla riva e lanciano con noncuranza sassi in mare uno dopo l’altro, come un sopruso: un sasso sta in acqua o all’asciutto da centinaia di anni secondo un lento disegno, un lembo di corrente o la risacca dell’inverno hanno agito per lui magari spostandolo ogni volta di qualche centimetro, poi arriva un sconosciuto e stabilisce proditoriamente di alterare l’equilibrio naturale.
Non mi piacciono neppure quegli apprendisti castori che costruiscono piccole dighe di sassi ostruendo il flusso spontaneo della corrente, non mi piace chi parla a voce alta, chi sente la musica in spiaggia, non mi piacciono i bambini sulla spiaggia e chi fa cagnara, insomma quasi nessuno mi piace che venga a disturbare la perfetta quiete che ho trovato in questo luogo.
Perciò sto bene in acqua.
Occorrono sette/otto minuti per fare questo tratto di mare, secondo il movimento delle onde e l’energia di quel giorno fino a doppiare la punta degli scogli bassi. Sulla destra appena passato lo sperone di roccia c’è una minuscola rientranza di sabbia incapsulata fra gli scogli, è il punto dove, se mi va, posso poggiare i piedi a terra in un ultimo fugace contatto con la terraferma.
In solitudine mi avvio alla meta successiva: il piccolo promontorio che protegge l’imbarcadero turistico, i pontili galleggianti che vengono montati in estate su un lato esposto del golfo, un ormeggio privato che deturpa la magnifica insenatura del paese, e che già non basta, non basterà mai, vorrebbero un porto turistico anche qui per farne un ricettacolo di motoscafi e gommoni più di quanto già sia adesso.
Questo pensiero mi segue mentre percorro la distanza bordeggiando la riva per timore dei gommoni a noleggio che sfrecciano trenta metri più al largo; sulla destra si affacciano quattro belle case tra i pini, ma solo due hanno l’accesso al mare con i gradini intagliati nella roccia, non ho mai visto nessuno fare il bagno in questo specchio d’acqua.
In questo tratto osservo il fondale attratto dal movimento imprevedibile dei pesci, ma è la parte che meno amo, è faticosa, bracciate che servono solamente ad allungare il percorso; ci vogliono dieci minuti per arrivare a alla scogliera che nasconde le barche ormeggiate, però quando sono qui alzo lo sguardo e ciò che vedo mi piace: sono al punto più lontano del mio viaggio, da qui potrei tornare a casa a piedi risalendo il sentiero.
E invece si riparte per ritornare indietro nello stesso percorso fino a doppiare nuovamente la punta del primo promontorio quello che dà sulla nostra spiaggia, la cala triste come una volta l’hanno chiamata, che di triste non ha niente, io la chiamerei cala della solitudine o della riflessione o del silenzio o forse dei cani giocosi e remissivi che frequentano questo angolo di costa rocciosa, ma certamente non triste
Un tizio veniva qui tutti giorni con la moglie: lei sedeva al sole, lui camminava lentamente fra i sassi assorto, soppesando l’area con un lieve socchiudere degli occhi. Poi, con metodo e pazienza certosina, sovrapponeva pinnacoli di pietre una sull’altra poggiate sugli scogli, creando dal nulla magnifiche sculture, incastri e sostegni naturali, pietra con pietra, dalle forme slanciate come un vortice verticale, stalagmiti poggiate in un equilibrio prodigioso, minareti disseminati in maniera scenografica.
La moglie lo guardava compiaciuta e un po’ rassegnata alla geniale follia del marito, ogni tanto indicando con la mano e con complicità una pietra utile alla costruzione.
Il rito si ripeteva ogni giorno, costruiva questi menhir dalle fondamenta incerte miracolosamente eretti sul niente, stabili nella loro effimera precarietà, come un segnale per i bagnanti di passaggio.
Il giorno dopo li ritrovavamo disfatti, … hop…. le torri erano misteriosamente franate.
Accadeva che, come in uno specchio concavo, un alter ego contrapposto, un signore attempato faceva il suo giro serale e abbatteva con cinismo e meticolosità ciò che l’altro aveva costruito con perizia, contrapponendo la gravezza della distruzione alla leggerezza della edificazione, la materia allo spirito, come chi non sapendo costruire vuol manifestare un equivoco segnale di vita distruggendo.
Ebbene, ineffabile, l’architetto dell’equilibrio tornava e, superato lo stupore del disastro, ricominciava daccapo, lentamente riparando, aggiungendo nuove pietre ad erigere nuove torri sghembe, con la solita pazienza e la solita mira infallibile degli incastri.
E di nuovo al mattino successivo le sculture erano a terra, e così via, un giorno dopo l’altro per una intera estate.
Non so cosa ci insegna tutto questo. Invidia, incapacità ad accettare ciò che non si comprende, lotta della brutalità contro la fantasia, dell’estro contro il conformismo o più semplicemente un dispetto fra anziani bagnanti, una lite nata forse lontano dalla spiaggia per banali questioni di condominio o di parcheggio.
I due signori non si sono mai incontrati, ma il maestro dei pinnacoli alla fine ha rinunciato, ha vinto il distruttore come sovente accade, e tutti noi ospiti occasionali della spiaggia ci abbiamo rimesso un po’.
Si torna quindi a doppiare la punta e qui inizia il piacere più profondo: all’orizzonte vedo l’isoletta dei Garofani, poco più di uno scoglio che fa idealmente da limite di sinistra alla cala. Quella è la mia meta. Il ritmo ora acquista determinazione e passione, il respiro si fa più rarefatto, senza rumore, sento il fresco dell’acqua sulla pelle, il silenzio interrotto dallo swash delle bracciate vedendo sprofondare il fondale dai tre ai quattro metri giù, giù, fino a perdersi misterioso in un baratro dove talvolta ho scorto una razza muoversi mollemente ondeggiando la coda sottile in un rassicurante saluto.
Cosa posso fare se non pregare adesso ? Riemergono vecchie preghiere a domandare pietà, aiuto, consiglio, oppure ne invento di nuove senza regole, banali, per mantenere propositi, o folli desideri da sognare, come un mantra, in piena intimità con la mia anima, il mio corpo e la natura e niente altro. E’ il mio pellegrinaggio interiore.
E intanto vado al massimo delle mie forze, senza guardare indietro, mai ci si volta nel percorrer lunghe distanze, spingo, onda o non onda, perché amo questo momento mentre si avvicina l’isola dei garofani, mentre lo sciacquio delle onde ritmicamente mi accompagna e finalmente sto volando !
Nuotare è la cosa che più si avvicina al volo, aria e mare fusi in una inebriante sensazione di levità, sotto di me ci sono valli e campi e paesi e non alghe, sabbia, rocce. Mi sento leggero, pulito, in sintonia con il luogo, in uno stato di benessere.
E’ il lato più prolungato del viaggio, ma dura sempre troppo poco il tratto che mi porta a toccar la punta estrema dei Garofani, quando sarò lì mi volterò a guardare con appagamento la linea d’acqua di così breve e di così intenso viaggio.
Un respiro e si torna indietro per la lunghezza della baia nuovamente a toccare per la terza volta il promontorio. Senza fretta adesso, sollevo un poco di più la testa verso sinistra perché da questo lato ad ogni bracciata sul pelo dell’acqua si staglia il profilo di Tavolara e piegando la testa sulla destra si scorge il sole che si avvia al tramonto dietro le basse colline mentre ancora ascolto il suono dell’acqua falciata dal corpo ed ancora sento il fresco sulla pelle e tutti i sensi sono appagati e questo è un nuovo attimo di gioia, di presenza, sono vivo come mai nel resto del giorno.
E via così fino alla punta del promontorio, dieci minuti è il tempo per arrivare, un ultimo sguardo prima di cercare con lo sguardo verso la spiaggia il basso ginepro sotto il quale trovo riparo nelle ore più calde del giorno, e finalmente rientrare con lentezza esasperata dalla stanchezza e dal compiacimento, giocando con le onde in un abbandono cosciente, indugiando ancora alla ricerca di un particolare non ancora scoperto nascosto fra le rocce e la posidonia, lasciandomi trasportare languidamente dalla corrente, piano piano, fino a riva.
Certi vengono qui a caccia di polpi, le rare volte che ne ho scorto uno, piccolo, attorcigliato su se stesso come un gatto addormentato ho guardato con meraviglia e mai avrei potuto dargli la caccia, ho dentro di me una immagine atavica di mostri sottomarini, di calamari giganti che con un tentacolo mi afferrano un piede e mi trascinano sul fondo del mare imprigionandomi nelle loro caverne azzurre, reminiscenza di qualche film dell’orrore subacqueo.
Alla fine rientro a riva: mi sollevo dall’acqua scivolando sui sassi e mi giro indietro a guardare ciò che, immutabile, è lì, sempre, come una promessa di un nuovo appuntamento per l’indomani.
Questo è il mio modo di pregare col corpo e con l’anima. Vengo qui ogni giorno nel silenzio totale e in solitudine compio il mio percorso e non sono mai deluso, né triste o sconfortato, sono pieno di questa emozione di cui sono geloso e che oggi, qui, per la prima volta ho confidato.
Questa è la ragione per la quale non mi spiacerebbe che le mie ceneri venissero sparse in questo tratto di mare, perché qui vivo momenti bellissimi della mia vita, ammesso che un giorno lontano abbia delle ceneri tutte mie !
il 7 agosto, oggi, il signor Italo invia il suo commento a “A Diosa” ed io lo pubblico nella sezione commenti e pure qui, in prima pagina, perché è per me una grande gioia quando qualcuno mi prende sul serio. Grazie
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Io non sono sardo ma amo la Sardegna come pochi. Nella seconda metà degli anni 60 del secolo scorso ho lavorato a Nuoro per circa tre anni e sono stati gli anni più belli della mia vita. Non conoscevo “No potho reposare”, ma nel 2013 la dirigente dell’Hotel Le Rocce Sarde, a conoscenza del mio amore per la Sardegna, durante una cena che veniva organizzata per gli ospiti, chiese a due ragazzi che ci intrattenevano con i loro canti, di dedicare a me e a mia moglie una canzone in lingua sarda. I ragazzi ci dedicarono proprio “No potho reposare” e, per quanto possa sembrare incredibile, era come se l’avessi sempre ascoltata, riuscivo a canticchiarla e, non mi vergogno a dirlo, ebbi un momento di commozione. In effetti “No potho reposare” è un capolavoro e, naturalmente, trova posto tra le mie canzoni preferite.
c’è che dopo due anni ho riaperto il mio blog, questo blog !
E’ stato un casino di tempo passato fra faccende poco interessanti che mi hanno tenuto impegnato, è anche successo che insieme al vecchio computer avevo perduto le credenziali di accesso e non sapevo proprio come fare fino a ieri pomeriggio, quando a furia di aiutini di qui e di là ed un po’ di culo sono riuscito a rientrare ed ora eccomi qua con la voglia di riprendere i vecchi discorsi.
C’erano sei commenti fermi da più di un anno, in attesa che riaprissi il blog e li potessi leggere, due erano pubblicità (spam), quattro invece veri commenti fatti da lettori di ciccia, così generosi da spendere un pochino del loro tempo per leggere e scrivere.
A loro sono debitore di un grazie e di una risposta che dò solo adesso e mi scuso per il ritardo ingiustificabile.
Il 28 maggio 2017 Stefano Sanna a proposito del “A Diosa” scrive
“Primo Badore era un avvocato (senza nulla togliere ai pastori) Addiosa significa Arrivederci .. Arrivederci Amata .. perché solitamente si usa il Maschile Adidiosu . Della Poesia vi sono due Parti .. Prima parte e la seconda parte. Scusa se mi permetto è giusto per aver una miglior conoscenza delle cose della Mia terra.. Il Sini la scrisse per la Morte della adorata moglie.”
“Il ballo sardo é una cosa seria, le tue parole decisamente meno. A proposito – flumen in sardo non vuol dire niente.”
Il 12 ottobre 2017 Costantino Gonario Forno Pilia a proposito del “A Diosa” scrive:
“Particolarmente felice che la canzone “A Diosa” di Badore Sini venga utilizzata per promuovere Nuoro come Città della Cultura. Io conosco una diversa (ma bellissima vicenda) sulla canzone. Intanto è vero che Badore Sini di Sarule è stato anche pastore (giovanissimo), diventato avvocato, svolse l’ufficio di “patrocinatore ” nella Pretura di Orani (a circa sei km da Sarule). Durante questo incarico, abitava a Orani in casa dei miei Nonni materni (Daniele Pilia e Tomasina Pirisi). Il non ancora brillante avvocato (ex pastore), mi ha sempre raccontato mia madre (nata nel 1905), s’invaghisce di una ragazza vicina di casa dei suoi ospiti, purtroppo per Badore già maritata. Le origini della canzone scritta sono da collocare prima del 1919, quindi Sini passa al tribunale di Nuoro e incontra il direttore della banda Civica, Giuseppe Rachel (cagliaritano, originario veneto con ascendenze nizzarde). Io conservo ancora una copia del foglietto (due pagine) con il testo sia quello indirizzato a Diosa, sia quello della risposta a Diosu, stampato nella Arti Grafiche “Velox” di Nuoro il 10 febbraio 1938 XVI.”
Questo lo dovevo, del resto quattro commenti in un anno non sono un granché, non c’è da esserne molto fieri, per questo siete per me preziosi, cari Costantino Gonario, Stefano, Anonimo e Anonimo.
A Voi amici miei rispondo cumulativamente:
tutti i commenti riguardano articoli (post) sulla Sardegna: mi vien fatto di pensare che i miei pochi lettori geograficamente si collochino li o che solo quando scrivo di cose sarde attiro l’attenzione. Comunque sia trascorro abitualmente un po’ di tempo in Sardegna ed ho imparato ad amarla.
Mi si accusa di non dire cose serie e ciò è assolutamente vero, non dico cose serie, non ho la competenza nè la presunzione di volerlo fare, preferisco stare sul leggero e un poco stupidello (ma preferirei dire surreale che è meno offensivo).
non sto affatto male caro amico Anonimo che hai postato a gennaio, direi che sono piuttosto tranquillo e soddisfatto di quello che faccio, anzi, questi anni di silenzio mi hanno intristito un poco, ho voglia di ricominciare a cazzeggiare. Spero tanto che non mi trascurerai.
A coloro che hanno messo nome e cognome nel commento ed hanno integrato ed arricchito i miei post dico solo: grazie, grazie e ancora grazie, vi prego non mi lasciate da solo con gli Anonimi.
Un lettore anonimo scrive oggi questo commento a proposito dell’articolo intitolato “La Beguine”
Ma se non date prove visive per praticarlo (tale ballo) come volete che la gente di balera si affezioni ?
Oopps ! Giusta osservazione, e non è la prima, aggiungo.
Beh il fatto è che non ho video da mostrare, che non sono insegnante di ballo né ne ho la pretesa o l’ambizione e che scrivo sul ballo per puro cazzeggio. Youtube è pieno di insegnanti o presunti tali.
Sicuramente da questo blog non imparerete a ballare, l’obiettivo è piuttosto quello di fare amare l’ambiente e l’atmosfera del ballo in tutte le sue forme, più o meno sgangherate che siano.
cerco domenico che ultimi ani 80 primi 90 gestiva/faceva anche da Pr al mitico Golden boy…..non ricordo il cognome mi sembra avesse un negozio di abbigliamento intimo e non verso pontebuggianese/borgo a buggiano qualcuno se lo ricorda?
firmato : Eva
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Come non pubblicare l’appello di Eva ?
Forza, cerchiamo di ricuperare Domenico, se qualcuno sa dove si trova lo scriva qui, ammesso che Domenico voglia farsi trovare ………..
“Pastiche” una commediola di Gianfranco Lotti in sette puntate ambientata nella Parigi del dopoguerra e accompagnata dalle bellissime canzoni di Edith Piaf e Yves Montand.
Personaggi Interpreti
Il narratore Paola Vecchi
La vedova Lecocq Maria Teresa Rubani
Gustave Vermeulen Gianfranco Lotti
JeanJaques – l’ispettore Juve Raffaello Vettori
Cocò Baguette Graziana Mariani
Minou Mèsange detta Minou LaBella Anna Scarola
Genevieve Teladarau Enza Muzzicato
Pepe Manolesta Andrea Cioni
Alain il Banconiere – Fantomas Gianfranco Lotti
Le puntate saranno trasmesse da
RADIO DANZA il luned’ alle 14 con replica alle 21.
succede che qualche volta un anonimo lettore di questo blog scriva un commento, non succede spesso purtroppo.
Succede che qualche volta il commento stesso sia qualcosa di più, assuma una vita propria, che si tratti di una idea, una proposta o un ricordo, e meriti di stare in prima pagina e meriti di suscitare a sua volta altri commenti, altre riflessioni.
Succede raramente e mi dispiace molto, ma stavolta Gabriele (o più semplicemente il “Passini” ) ha usato una mia vecchia recensione su Candeglia, chiamatela pure casa del popolo o circolo arci o più semplicemente balera, per “stappare” i propri ricordi .
Ne è venuto fuori il commento (o articolo) seguente che non grande piacere pubblico sperando che “il Passini” stesso lo legga ed altri comprendano perchè ci ostiniamo a racccontare di storie di sale da ballo.
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Leggo con piacere questo articolo (si sta riferendo alla recensione di Candeglia in “Le mie balere”)
Ho vissuto nel circolo Arci, allora si chiamava la casa del popolo di Candeglia, dalla età di 8 anni, quando la mia famiglia si trasferì dalla vicina Sant Alessio, fino ai 23, 14 anni indimenticabili quando non avevamo niente ma avevamo tutto.
Gli anni più belli della mia gioventù.
Potrei raccontare mille storie e mille volti di vecchi amici (purtroppo qualcuno non e’ più con noi). La passione per la musica ha sempre fatto parte del circolo di Candeglia con le serate da ballo allietate dai vari gruppi o complessi musicali come si chiamavano allora che davano a noi giovani una gioia immensa
Ho dato molto al circolo da sempre legato alla musica, preparavo la sala per le serate da ballo di solito al sabato, o nelle festività comandate, tavoli rotondi con tovagliette in panama colorato, sedie di rafia plastificata, celesti rosse gialle dai colori sbiaditi ma che negli anni 60 e primi anni 70 andavano più che bene. Il pavimento è lo stesso anche oggi, facemmo, io e non ricordo chi, sulle pareti disegni raffiguranti una cantina, il palco aveva una tettoia in canniccia….. che spasso !
Ci sono stati momenti di crisi nelle sale da ballo di allora ed a Candeglia fino al 1972/1973 di ballo liscio si parlava poco, i complessi musicali allora suonavano di prassi lenti e veloci. In effetti il ballo liscio classico in questo circolo ebbe sostanzialmente inizio verso il 1974/1975, spesso con l’orchestra Lottini.
Eh già, i mitici Lottini
“Orchestra Lottini – quattro elementi quattro”, il suono di questa orchestra aleggerà sempre fra le pareti di questo circolo: Pallino il cantante era alla batteria, suo fratello alla tromba, poi c’erano il bassista e il fisarmonicista che abitava oltre la casa del medico su per la strada che va verso la montagna.
“ Il cielo è una coperta, ricama a taaaaa…..” era la voce calda e calma di Pallino, amplificata da un piccolo impianto voce Krundaal Davoli a valvole, un ampli per il basso, e ampli per la fisarmonica, poca roba, ma sufficiente perché il talento non necessita di grande mezzi quando c’è, e con i Lottini semplicemente c’era !
Bei tempi, bei tempi !.. ciao Pallino……. suona sempre su nel tuo cielo ricamato.
Da quegli anni li in poi il circolo Arci di Candeglia ha avuto un progressiva escalation fino a diventare quello che vediamo oggi, grazie alla grande volontà di tutti i soci frequentatori che si sono sempre prodigati per dare al circolo e al paese continuità e vita.
Saluti Gabriele, per gli amici locali,.. il passini…..