Cavanatte

Lo chiamavano Cavanatte perché segnava porri, verruche e malocchio nel paese e dintorni, ma di mestiere faceva il contadino ed aveva un bel podere tutto suo.

Non gli mancava niente e segnava gratis per quelli che glielo chiedevano, pare anche che le sue segnature funzionassero tanto che lo impegnavano fino a tardi dopo cena dopo che era tornato dal lavoro vero. Lui lo faceva volentieri,  aveva il “dono” ereditato geneticamente dalla madre e come lei sentiva di doverlo condividere con generosità  con chiunque avesse bisogno di lui.

Era un omone alto e grosso con braccia nerborute e fianchi tosti, un colosso da far paura e con lo sguardo accigliato, ma buono come il pane e grezzo come si conviene. Un uomo semplice.

Il sabato sera andava al Cucharacha, la balera del comune vicino specializzata in balli caraibici e ballava il merengue e la bachata ancheggiando come una puttana.

Aveva una partner fissa che si chiamava Adele Imperial e che faceva la sarta; non arrivavano mai assieme al locale, lei con la panda,  lui col furgone, sedevano a tavoli vicini ma ognuno per conto proprio come se non si conoscessero e l’incontro avvenisse per caso, poi appena partito il primo pezzo di bachata ritmata, si gettavano in pista e si avvinghiavano cosce contro cosce, bacino contro bacino sculettando a più non posso ed agitando braccia e spalle.

Sguaiati come pochi si dimenavano sbracciandosi e sudando a refe nero. Pareva che lui volesse farsela lì, in mezzo alla pista.

L’Adele faceva Imperial di cognome, ma non era discendente da una famiglia nobile né tanto meno imperiale: era sarta brava e laboriosa, con un po’ di annetti sulle spalle e un matrimoniaccio fallito con un pezzo di delinquente.

Si cuciva dei vestitini da ballo che erano una favola e una promessa: grandi scolli e spacchi, stretti in vita, anche se la vita non era più stretta. La foderavano, come si dice, come un guanto, mettendo in mostra una mercanzia sovrappeso matura, ma sempre appetibile per uomini forti di braccia e di lombi.

Non aveva ufficialmente nessuno, ma tutti sapevano che se la faceva col Cavanatte come degno finale di serate di balli provocanti e famelici.

Lavorava duro per tutta la settimana fregandosene dei pettegolezzi e delle battutine di chi non ha di meglio da fare; era una donna forte che ne aveva passate di tutti i colori e non era certo qualche chiacchiera in più che  avrebbe potuto intimorirla, faticava per mantenersi indipendente e libera dagli uomini come il suo ex e per potersi scegliere chi le pareva e quando.

Si era così conquistata una rispettabilità accettabile anche in quel paesone un po’ bigotto della pianura e si riteneva una donna quasi libera, il quasi era legato all’ex marito che poteva sempre costituire una minaccia per la sua tranquillità.

Per quello le piaceva il Cavanatte perché era buono e giusto, e pure grosso, avrebbe saputo difenderla e, all’occorrenza, le levava anche il malocchio..

La storia era nata per caso dopo una serata di merengue sempre più appiccicosi fatti di inciuci, sombreri, sciarpe e strofinamenti che avevano eccitato i sensi di lui in maniera  vistosa, tanto che le aveva fatto una corte serrata, ma tanto serrata che a mezzanotte erano finiti nel retro del furgone di lui a completare la festa in maniera adeguata.

Al Cucharacha ormai erano di casa: passavano la settimana ognuno per conto proprio a faticare e tirar la carretta e si davano appuntamento da un sabato all’altro, compresi prefestivi e santo patrono.

Il giorno prima lui ripuliva per bene il furgone dalle granaglie e dagli attrezzi del campo e ci piazzava dentro un materassone gonfiabile da campeggio con tanto di luce di cortesia e coperte, poi al sabato si scatenavano in sala fingendo di essere lì per caso e, più tardi si scatenavano in altra modalità sul retro del furgone.

Era un menage che funzionava e che nessuno dei due aveva il coraggio di cambiare addentrandosi in relazioni più serie e impegnative.

Tutto filava liscio fino al giorno infausto in cui al Cucharacha, dopo una spiata da parte di ignoti, si mormora che gli ignoti non fossero tali bensì quelli del Macumba locale concorrente del paese vicino, accaparono assieme la Guardia di Finanza, la Siae e la Asl ovvero la peggior congiunzione di cataclismi che si possa temere, e scoppiò la tempesta perfetta dei locali da  ballo.

Non c’era praticamente niente in regola: scontrini due ogni dieci, libri contabili neanche a parlarne, uscite di sicurezza bloccate, bagni orrendi e pure gli estintori erano finti.

Risultato: sigilli al locale  e denuncia per il gestore, niente bachata al sabato sera e niente appuntamento per Cavanatte e Adele.

Quel sabato quando i due si presentarono ignari, ognuno per proprio conto e trovarono il Cucharacha chiuso, rimasero talmente sorpresi da non riuscire a reagire in alcun modo. Si fermarono davanti l’ingresso con altri avventori capitati senza saper niente a far congetture sulla sorte del locale e della serata, poi, lentamente, ognuno riprese la strada verso altre destinazioni e, sconsolatamente Adele lanciò uno sguardo al Cavanatte fece una smorfia di delusione e senza dire niente, risalì sulla panda verso casa.

Anche lui si avviò mestamente verso il furgone,  salì e se ne andò.

Passarono le settimane, i due senza il Cucharacha non avevano la scusa per ritrovarsi, era come se  mancasse il movente per far scatenare la passione, come se la loro relazione traesse ragione e vigore solo grazie a quel locale.

Cavanatte segnava i porri distrattamente e non li mandava più via, levava il malocchio senza convinzione e le sciagure non abbandonavano i malcapitati, era triste e sconsolato.

Adele aveva smesso di cucirsi nuovi abitini leggeri, si limitava al suo lavoro di routine senza passione.

Passarono anche i mesi e Cavanatte aveva voglia di lei e il locale era sempre sigillato e il furgone era sempre sporco.

La storia potrebbe finire qui, con i due che non si ritrovano, perché il Cucharacha di fatto non fu più riaperto: ci volevano troppi soldi da investire per risistemarlo ed il gestore se ne era scappato a Cuba a veder ballare i caraibici dal vero.

Però l‘Adele era sveglia, più sveglia di lui è ovvio, e anche cocciuta, e non voleva perdersi l’uomo per colpa di un cretino di amministratore che non faceva bene il suo lavoro di localaio.

Così decise di fare il primo passo e andare da lui con la scusa di farsi segnare il malocchio.

Cavanatte quando se la vide davanti provò un brivido prolungato fra il groppone e le spalle, gli mancava da morire e non sapeva come dirglielo. Allora si limitò a segnarle il malocchio con tutta la concentrazione possibile e poi le chiese se voleva fare un giro in furgone. Adele non aspettava altro.

Morale della favola: la sera non era sabato ma mercoledì, il furgone non era pulito ma pieno di balle di sementi, l’Adele non aveva il suo vestitino provocante e non c’era la musica, ma mai  quel rapporto fu più dolce di quella volta e delle volte che vennero in seguito.

Per la cronaca l’Adele non aveva il malocchio.

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