I miei maestri

I miei maestri di ballo sono alti, giovani e belli; sono bravi, gareggiano nella classe A delle danze standard e fanno una gran bella figura. Noi allievi siamo fieri di loro.

Lei è gentile e comprensiva, lui un poco introverso e suscettibile, lei stimola con l’incoraggiamento, lui con l’analisi critica, insieme si completano e formano un team che attira molti allievi, fatto che talvolta li mette un po’ in crisi nella difficile gestione della sala sovraffollata.

A loro volta hanno i propri maestri, potremmo definirli i maestri al quadrato, che sono ancora più bravi, più belli e più giovani e che noi non vediamo quasi mai ma esistono realmente. Anche i loro maestri sono fieri di loro perché i loro corsi sono strapieni a differenza di altre scuole.

Una volta l’anno i maestri dei maestri vengono  a farci una lezione collettiva che a me sembra quasi uguale a quelle che riceviamo settimanalmente. Solo chi fa le competizioni prende lezioni private da loro pagando una certa cifra che non dico per rispettare la normativa sulla privacy.

Presumo che esista anche la categoria dei maestri al cubo, ovvero i maestri dei maestri dei maestri, che sicuramente vivranno in un diverso spazio-tempo, avranno piedi alati e faranno lezione solo a pochi eletti o a figli di emiri.

Ho conosciuto i miei maestri un giovedì sera di marzo, a seguito di un incontro fortuito, e fortunato. Mia moglie ed io avevamo riposto da anni le velleità di apprendere a ballare, delusi da brevi esperienze con insegnanti tristi o presuntuosi e fiacche compagnie di allievi, quel giovedì sera, quindi,  andammo non troppo convinti, anche perché uscire dopo una giornata di lavoro non rientrava nei nostri programmi.

Ebbene da quel giovedì non abbiamo perso una lezione, anzi facciamo pure degli allenamenti extra ed il sabato è diventato per noi il giorno dell’uscita in balera.

Contro ogni previsione Il ballo ha acquistato una posizione rilevante nella nostra vita e di ciò siamo felici.

I miei maestri si chiamano Fabio e Katia ed io devo loro riconoscenza perché ci hanno dischiuso una porta e guidati per mano verso una strada bellissima della quale, fortunatamente, non vedo la fine.

I miei maestri pesano trenta chili in due, sono esili e agili come figurini in controluce. Li ho visti ballare in esibizione: lei con un gran vestito bianco con paillettes e piume ed uno scollo vertiginoso sulla schiena e i capelli biondi raccolti in una crocchia con un fermaglio dorato, lui in completo nero e scarpe lucide. Sembrano finti ed invece si muovono a grandi passi e salti attraversando la pista fra un baleno ed un fruscìo.

Mi piace quando si accostano in velocità agli spettatori  seduti in poltrona quasi a sfiorarli e li evitano con un giro improvviso ed uno scarto della testa, è come assistere al passaggio della mille miglia a bordo strada e provare l’ebbrezza della velocità senza muoversi dal proprio posto.

E’ un videogioco dal vero, loro corrono e faticano e noi tratteniamo il respiro.

Per usare una metafora evangelica si potrebbe dire che quando ballano Fabio e Katia camminano sulle acque senza bagnare le scarpe  mentre noi portiamo alle caviglie piombi da cento chili che ci tengono immersi fino al collo e stiamo a galla solo grazie a loro che ci tengono su con un dito sotto il mento.

Katia è stracarina e stragentile con tutti, è una specie di sorella-amica-mamma che, a differenza di tutti noi, sa ballare come cristo comanda. Certe volte acchiappa un uomo del corso e fa qualche passo con lui, è capitato anche a me.

Beh, quelle volte uno si chiede perché insistiamo ad andare a scuola di ballo con la propria moglie tanto non ne caveremo un ragno dal buco, e mica solo per colpa della moglie.

Poi però fa un piccolo cenno della testa come per dire “va bene così” e si riparte con rinnovato entusiasmo.

Come ogni maestro di ballo che si rispetti, Fabio è fissato con la postura, e continua a sollevarci  gomiti e braccia ed a piegarci la testa di lato imperterrito, visto che dopo due passi ributtiamo mollemente giù tutto l’armamentario e ci guardiamo i piedi.

Ogni due brani ferma la musica, ci raccoglie a centrocampo, cammina verso il centro tutto serio e ci dà una strigliatina.

In genere attacca con la frase “Due cose: …….….”  e poi dice due cose che non vanno bene nella postura o nei passi o in qualcos’altro.

Sono sempre due cose sole, ma due cose per volta, per le innumerevoli volte in cui ferma la musica per più lezioni a settimana portano a tre o quattrocento cose al mese che non vanno.

Il che ci rende alquanto depressi.

Certe volte mi pare che sto ballando proprio bene, mi sento ispirato, magari sento che la mia dama mi segue, mi pare di avere indosso il frac e di trovarmi a Blackpool, quando sento la voce di Fabio: “Gianfranco stai su con i gomiti ! Gianfranco la testa !  Gianfranco allunga il passo !” certe volte, essendo io un pochino sordo, sento solo “Gianfranco..……..” e perdo la frase successiva, ma tanto so che c’è sicuramente qualcosa che non va e cerco repentinamente di rimettere a posto tutto: gomiti, testa, spalle, bacino e piedi.

Mi duole dire che purtroppo ha pure ragione e che sono molto, troppo lontano dal frac e da Blackpool e molto, ma molto vicino alla pista granigliata della casa del popolo di Candeglia.

Noi tutti aspettiamo a gloria la volta che verrà da uno di noi e dirà “Bravo hai ballato bene”.  Quella sera, da bere per tutti.